CATALOGO

Discorrendo di Antonio Labriola e Luigi Credaro *

Marco Antonio D'Arcangeli

Per Andrea

 

Consiglio della Facoltà di Filosofia e Lettere dell'Università di Roma “La Sapienza”, adunanza del 27 maggio 1902:

 

[...] Si dà lettura della domanda del Prof. Credaro per il trasferimento alla cattedra di pedagogia in questa Facoltà, e della lettera Ministeriale che l'accompagna. Labriola fa la seguente dichiarazione:

“Mi pare di dover ritenere che il sig. Ministro abbia già accettata la proposta del mio passaggio alla cattedra di fi losofia teor etica, senza di che la interrogazione circa la domanda del Credaro sarebbe o prematura o superflua.

Mi pare inoltre di dover ritenere che, dato il mio passaggio alla filosofia teoretica, il Ministro intenda di dividere in due l'insegnamento da me precedentemente tenuto in unica cattedra, perché nella domanda del Credaro non si fa parola della fi losofia mora le.

Dunque io propongo alla Facoltà il seguente ordine del giorno:

Ritenuto che il Ministro intenda, giusta il voto della Facoltà, di far passare il prof. Labriola alla F ilosofia teo retica e ritenuto che la cattedra dal Labriola acquistata per concorso nel 1873, e che fu istituita per decreto del ministro Scialoia di due materie formanti un solo corso, dopo che egli abbia cessato di occuparla , verrebbe ad essere divisa in due, propone:

1) che l'insegnamento della F ilosofia mora le venga messo a conco rso per il posto di str aordinari o, qualora alla Pedagogia venga provveduto secondo il desiderio espresso dal prof. Credaro.

2) che al prof. Credaro, le cui pubblicazioni sono quasi tutte pedagogiche, venga accordato il trasferimento da Pavia a Roma giusta il suo desiderio.

Inoltre la Facoltà riconferma in tale occasione i suoi voti per la promozione ad ordinario del prof. Halbherr.”

Barzellotti approva in tutto la proposta del Labriola e ricorda i meriti del prof. Credaro per gli studi pedagogici in Italia.

Si mette quindi ai voti l'ordine del giorno proposto dal Labriola, e viene approvato all'unanimità dai presenti.

La seduta è tolta alle ore 6 ½.

Il segretario                                                                                                                  Il Preside

N. Festa                                                                                                                         G. Cugnoni [1]

 

Chi ben conosca la vicenda biografica e l'opera di Antonio Labriola – presumibilmente, dunque, una significativa percentuale dei fruitori di questo Catalogo – rimarrà presumibilmente incuriosito (e magari riformulerà, adattandolo alla circostanza, l'interrogativo di Don Abbondio su Carneade), per l'accostamento, che qui si propone, fra il grande Cassinate e Luigi Credaro, studioso (storico della filosofia e pedagogista) e uomo politico (Ministro della P. I. con Luzzatti e Giolitti, dal 1910 al '14) di origine valtellinese (nato a Sondrio il 15 gennaio 1860, si spense a Roma il 16 febbraio 1939).

In effetti, nella letteratura storico-critica labrioliana Credaro “entra in scena”, di rado e fugacemente, soltanto dopo la scomparsa dell'autore di In memoria del Manifesto dei Comunisti ; in talune circostanze la sua è una presenza del tutto estrinseca, [2] in altre sembrerebbe aprirsi la possibilità di un discorso di merito, circa l'interpretazione del pensiero di Labriola da parte del Valtellinese: ma si tratta di cenni. [3] In tutti i casi, però, ad essere richiamato è quel contesto – la Facoltà di Filosofia e Lettere della “Sapienza” capitolina, e la cattedra di Pedagogia della medesima – nel quale, e con il quale, si è voluto far iniziare questo nostro contributo. E non a caso, anzi quasi obbligatoriamente: perché quella seduta del 27 maggio 1902 rappresenta – per tutto ciò che gli si “annette” e “connette” – il terminus a quo , ed insieme ad quem , nonché la fons et origo di qualsivoglia ricerca e riflessione sul rapporto Labriola-Credaro.

In effetti – stando a quello che a tutt'oggi si è riusciti ad accertare – il “passaggio di consegne” del 1902, del quale fra breve si dirà diffusamente, fu la prima occasione nella quale i “destini” dei nostri due “protagonisti” vennero in concreto, ed ufficialmente, ad incrociarsi. Sino a che punto questo “incontro” rimase un semplice “avvicendamento”, oppure venne ad incidere sulla qualità, anche nel senso della costruzione di una continuità e/o identità teorico-pratica dell' insegnamento universitario della pedagogia alla “Sapienza”, è l'interrogativo di fondo che motiva quanto segue – questione critica che per essere risolta reclama senz'altro un'esplorazione dei rapporti (accademici e professionali, e/o scientifici e culturali, e/o politico-ideologici e/o umani, personali) fra Labriola e Credaro, ante e post 1902, e dunque un'analisi del reale significato, soggettivo e “oggettivo”, di quel trasferimento, posti però, il “passaggio” e quelle relazioni, non al centro dell'indagine, ma al servizio del prioritario obiettivo di cui sopra.

Del resto, non sarà un caso che nell'unica occasione – oltre alla presente – nella quale i due nominativi si trovano affiancati in un titolo, il tema trattato sia proprio la storia della “scuola” di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” di Roma – nel suo segmento iniziale, appunto Da Labriola a Credaro . [4] E in questo saggio Giacomo Cives, nel ricercare, oltre l'acclarato dato della “successione” istituzionale, motivi e tratti di possibili affinità, convergenze, continuità fra i due professori dell'ateneo capitolino, sui piani della teoresi e delle idealità, e soprattutto della concezione, impostazione, conduzione del lavoro (non solo didattico) fra le mura accademiche, dimostra, fra le righe, ma inequivocabilmente, come l'Università s'imponga senz'altro come “luogo” privilegiato ove leggere più a fondo e cogliere nelle loro effettive “ricadute” (naturalmente, senza “risolverle” in sé) anche le altre “vicende” nelle quali possiamo ritrovare “coinvolti” sia l'autore di L'Università e la libertà della scienza sia Credaro – ad esempio (esplicitando l'allusione, anche per avvicinare il nostro lettore “labrioliano”), la storia dello herbartismo in Italia. [5]

Lo studio di Cives, animato dall'intento di aprire un possibile nuovo “fronte” di ricerca, e non certo dalla pretesa di esaurirlo, di fatto non ha avuto seguito: [6] né sarà possibile riprenderlo, in senso pieno, in questa sede. [7] Qui ci si limiterà, in effetti, a un primo approfondimento dell' affaire del trasferimento sulla base della documentazione conservata all'Archivio Studenti dell'Università di Roma “La Sapienza”, e dunque, in pratica, dei Verbali dei Consigli di Facoltà.

Scriveva nel 1979 Patrizia Guarnieri nel suo Luigi Credaro . Lo studioso e il politico , che dopo decenni di oblio ne riproponeva la figura e l'opera agli “addetti ai lavori”, e che a tutt'oggi è ancora da considerare una delle più complete e dettagliate biografie del Valtellinese:

 

[...] Di Herbart si interessavano nello stesso periodo [fra Ottocento e Novecento] anche Nicola Fornelli ed Antonio Labriola, docente di Pedagogia all'Università di Roma. Quest'ultimo, certo apprezzando le varie iniziative intellettuali e politiche di Credaro, proprio a lui lascia la sua cattedra, nonostante che – (ma forse il professore marxista allora non se ne era reso conto abbastanza) – profonde fossero, e ancor più dovessero rivelarsi le distanze fra i loro orientament[i] culturali e politici. [...] [8]

 

La Guarnieri avrebbe successivamente reiterato in altre autorevoli sedi le tesi in questione, mai corroborandole, però, con l'esibizione di un qualche riscontro di fatto. [9] Ciò nonostante, l'idea di una sorta di “investitura” del giovane collega da parte del maturo filosofo marxista ha fatto strada, consolidandosi, per dir così, nel “senso comune” storico-critico. Ma il verbale del Consiglio di Facoltà del 27 maggio 1902, sopra riprodotto, ad esempio, non autorizza illazioni in tal senso, ché anzi testimonia di un piccolo “pasticcio” formale – la procedura relativa all'istanza di Credaro fu avviata senza che si fosse stata ufficialmente esaudita quella del Cassinate – e di un certo qual disappunto di Labriola di fronte al medesimo. [10] Vero è che fu lui a proporre l'O.d.G. approvato all'unanimità dal Consiglio nel quale si esprimeva parere favorevole alla richiesta di trasferimento: ma una deliberazione di segno diverso avrebbe potuto complicare l'iter anche della domanda dello stesso Labriola, il quale, fra l'altro, evidenziava nella circostanza un'approssimativa conoscenza dell'opera di Credaro, attribuendogli «pubblicazioni [...] quasi tutte pedagogiche», mentre egli ne vantava numerose di carattere storico-filosofico.

È francamente difficile immaginare un Labriola che elegge, o quasi, un successore, senza conoscerlo a fondo e senza rendersi conto delle marcate differenze esistenti fra la propria impostazione culturale e politica e quella del “prescelto” (come a dire che ad esempio al Cassinate potessero sfuggire le «distanze» fra radicalismo – al quale pure aveva per un certo tempo aderito – e comunismo...): ma è comunque altrettanto implausibile ritenere che si sia limitato, in una circostanza nella quale si decideva il destino di una cattedra comunque profondamente “sua”, a un calcolo di convenienza e a un atteggiamento “notarile”. Se quel trasferimento non lo avesse almeno in buona parte convinto, è da supporre che, se non altro, avrebbe effettuato un qualche tentativo per ostacolarlo. Né gli sarebbero mancati degli alleati, e di un certo calibro, in tal senso: ma nella successiva seduta dell'11 giugno, allorché le decisioni prese in Consiglio il 27 maggio vennero sottoposte ad un vero e proprio attacco frontale, Labriola confermò, risolutamente, il proprio punto di vista. [11]

Certo è che l'“operazione” del 1902 rivestiva un senso profondamente diverso nei rispettivi itinerari biografici e intellettuali. Per Antonio Labriola ci troviamo, com'è noto, nella fase conclusiva della sua purtroppo breve esistenza: l'aggravarsi del cancro alla laringe (l'«organo pedagogico») che doveva determinarne la prematura scomparsa, aveva reso via via più gravoso il tenere lezione di fronte a uditori numerosi, suggerendogli l'idea di abbandonare la cattedra di Filosofia morale e Pedagogia per insegnamenti meno frequentati. L'occasione per realizzare tale desiderio si presentò a seguito della scomparsa, nel 1901, del titolare di Filosofia teoretica della “Sapienza”, Sebastiano Turbiglio: vedremo fra breve l'ulteriore svolgersi degli eventi, ma risulterà già evidente come l'approdo alla più prestigiosa fra le cattedre filosofiche, che veniva delineandosi, significasse in realtà, per il Labriola, certamente in parte un ripiego, comunque una triste necessità.

Prospettive di ben altro segno animavano, al tempo, Credaro, il quale infatti, non appena venne a conoscenza delle intenzioni di Labriola, inviò all'allora Ministro della P. I. Nunzio Nasi una lettera nella quale avanzò la richiesta di essere trasferito, una volta definito il passaggio a Teoretica del professore della “Sapienza”, alla cattedra di Pedagogia. [12] Per il poco più che quarantenne studioso, sin dal 1889 docente di Storia della Filosofia dalla Facoltà di Filosofia e Lettere dell'Università di Pavia, quella di incardinarsi alla “Sapienza”, e per di più assumendo la titolarità dell'insegnamento pedagogico, rappresentava un'opportunità assolutamente da non perdere: insieme, un punto d'arrivo, una vera e propria consacrazione, e un trampolino di lancio verso nuovi traguardi e successi, forse non del tutto impossibili da prefigurare, già in quella ouverture del nuovo secolo. Anche perché consentiva di risolvere – con la “concentrazione degli interessi” e delle attività del Valtellinese nella Capitale – i non lievi problemi organizzativi che le sue recenti scelte di vita, e professionali, avevano finito per provocare.

Credaro, infatti, dal 1895 sedeva sui banchi della Camera nel gruppo radicale, come deputato per il collegio lombardo di Tirano; e dopo aver contribuito in misura decisiva alla fondazione dell'Unione Magistrale Nazionale e averne assunto la Presidenza, nel 1901, impegnandosi in un'intensa opera di proselitismo e assumendosi, de facto , la rappresentanza degli insegnanti elementari nel Parlamento nazionale, si trovava in evidenti difficoltà nel conciliare i propri interessi e le proprie attività di natura politica, che venivano concentrandosi a Roma, con l'impegno accademico pavese. [13] D'altro canto, queste opzioni e queste iniziative riflettevano un mutamento profondo, nell'uomo come nello studioso, segnalavano il dispiegarsi di quella “svolta” in direzione di un impegno a tutto campo sul terreno della praxis , che doveva poi caratterizzare tutto il percorso di Credaro, e nel quale va a sua volta compreso e “riletto” quel progressivo ma netto spostamento dell'asse dei suoi interessi e delle sue prospettive teoriche, di cui si è detto, con la definizione di un herbartismo pedagogico coniugato, sul più generale terreno filosofico ed epistemologico, a un realismo problematico, non dogmatico, frutto della maturazione del suo giovanile “kantismo” in un integrale fenomenismo e radicale empirismo, che poneva sugli scudi, rigettando ogni tentazione metafisica e ontologica, le moderne scienze della natura e dell'uomo [14] .

In quel primo scorcio del Novecento, dunque, Credaro non abbisognava unicamente e semplicemente di una più “comoda” sede universitaria: l'approdo anche accademico alla pedagogia si poneva, per lui, insieme, alla luce dei mutamenti in atto nella sua fisionomia di intellettuale, e per conferire unità a quest'ultima, insieme come “naturale” e “necessario”. L'«adunanza del 27 maggio 1902» del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” romana, con il trasferimento che ne seguì, [15] costituì dunque un momento decisivo nella sua vita e nella sua carriera: ratificò il definitivo “passaggio” dell'autore di Lo scetticismo degli Accademici (2 voll., 1889, 1893) dalla storiografia speculativa alla teoresi (ed anche, di nuovo, storiografia) educativa, già in gran parte reso esplicito dalla pubblicazione, nel 1900, di La pedagogia di Giovanni Federico Herbart (che raggiunse nel 1935 la quinta edizione), e lo pose, anche “geograficamente” (geopoliticamente, geoculturalmente) al centro di un variegato movimento d'idee, di un composito schieramento filosofico-educativo a cui avrebbe di lì a poco dato “forma” e “voce” fondando l'Associazione Nazionale per gli Studi Pedagogici e la «Rivista Pedagogica» (1908-1939); e segnò l'avvio della sua sfavillante ascesa nell'agone politico-parlamentare, che doveva condurlo nel 1906 al Sottosegretariato della P. I., e fra il 1910 e il '14 – come si disse – addirittura al timone della “Minerva” (ove si distinse, fra l'altro, per l'aver condotto ad approvazione la legge 14 giugno 1911, n. 487, che oltre al suo nome reca quello del suo predecessore Daneo, che ne aveva avviato l'iter parlamentare, parzialmente avocativa della gestione delle scuole elementari dai Comuni allo Stato). [16]

Dalla valenza indubbiamente “epocale”, per Credaro, del trasferimento del 1902, potrebbe essere derivata una sorta di “distorsione” negli “strumenti di rilevazione” dei suoi interpreti. Per questo, sarà forse il caso di ripartire dalla “lettera”, dalla “prosa” di quell'evento, per cercare di coglierne i retroscena e i reali significati. Scorrendo i verbali delle sedute della Facoltà immediatamente precedenti, appare ad esempio subito chiaro che lo stesso passaggio di Labriola fu assai meno “pacifico” di quanto sia potuto, sin qui, sembrare. Risulta, ad esempio, che nell'ottobre 1901, a ridosso della morte di Turbiglio, Filippo Masci (allievo di Spaventa, poi caposcuola “neokantiano”, 1844-1923) avanzò la richiesta al Rettore e al Preside di «interrogare la Facoltà [...] per sapere se gradirebbe il suo trasferimento da Napoli alla cattedra rimasta vacante» di Filosofia teoretica – e Labriola, presente, per le assenze di vari colleghi, fra cui il titolare di Storia della Filosofia Giacomo Barzellotti, chiede e ottiene di rinviare «qualunque discussione e proposta su questo argomento» [17] . Neanche due settimane più tardi, le domande sono divenute quattro: affiancano Masci Giovanni Cesca e Nicolò D'Alfonso (quest'ultimo, già Libero docente della disciplina presso la Facoltà romana), mentre Francesco Saverio De Dominicis – come Credaro più tardi – presenta richiesta per Pedagogia «nell'ipotesi del passaggio del prof. Labriola alla cattedra di filosofia teoretica» – del quale «passaggio», però, non v'era menzione nei verbali precedenti – e ancora una volta viene deliberata una sospensiva, «dovendosi attendere il nuovo regolamento di Facoltà ora sottoposto dal Ministro all'approvazione del Consiglio Superiore», pur fissandosi come termine improrogabile, per una decisione in merito, «le vacanze di Natale» [18] . Al principio di dicembre la situazione sembra sbloccarsi: Labriola dichiara di voler rinunziare al passaggio, e lascia libera la Facoltà di decidere, ma questa si divide fra l'ipotesi di un concorso per professore straordinario (sostenuta da Barzellotti), e quella della chiamata di un ordinario (caldeggiata da Ceci): prevale, ai voti, la prima tesi, contro il parere dello stesso Labriola, ma non se ne farà, comunque, nulla. [19] La diatriba (che si lega anche alla promozione a ordinario di Federico Halbherr, cui si fa cenno anche nell'O.d.g. del 27 maggio, ma che si realizzò, in realtà, unicamente dopo la scomparsa del Cassinate) ebbe termine solo nell'aprile 1902, con la definitiva opzione per il passaggio a Filosofia teoretica da parte di Labriola, motivata dalla decisione ministeriale di limitare l'obbligatorietà di questo esame agli studenti del corso di laurea in Filosofia, con la quale venivano meno le ragioni che lo avevano dissuaso, in precedenza, dall'effettuarlo: ma in quella stessa seduta Labriola, ricordando alla Facoltà che, nel caso che la medesima avesse acconsentito alla sua richiesta, si sarebbe poi dovuto decidere se far rimanere associati o dividere i due insegnamenti di Filosofia morale e Pedagogia, poneva una ulteriore questione, di estrema delicatezza non solo sotto il profilo istituzionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista degli “equilibri interni” della Facoltà – e forse, non solo di quest'ultima. [20]

È appena il caso di notare – facendo un ulteriore “passo indietro” – il fascio di problemi che pone, ma anche i motivi d'interesse che suscita, per la ricerca storico-educativa, e si può dire anche in generale per la storia delle idee, questa singolare «cattedra [...] di due materie formanti un solo corso», per riprendere la definizione labrioliana di poco sopra: anzitutto, nel suo riflettere, con l'“accoppiamento” che propone nella sua denominazione, comunque – e cioè anche al di là delle ragioni contingenti e strumentali che pure potrebbero, in buona parte, averne motivato l'istituzione – una Weltanschauung non solo “pedagogica”, e che si può supporre legata, e non occasionalmente, con lo herbartismo; ragion per cui, sembra opportuno che la stessa venga studiata ancor più a fondo di quanto non si sia fatto sinora, anche sotto il profilo della sua configurazione ed evoluzione a livello di leggi, regolamenti, atti ministeriali, nonché di ordinamenti, programmi, orari ecc. in Facoltà. [21] In ogni caso, il trasferimento di Credaro del 1902 rappresenta, anche, la definitiva “separazione” delle due discipline, per lo meno per quanto riguarda l'ateneo romano: un evento dai molteplici risvolti, non solo di carattere giuridico-amministrativi, il cui rilievo non sembra sia stato sin qui debitamente segnalato dagli “addetti ai lavori” [22] .

Ma per tornare ai quei giorni, e precisamente all'aprile 1902, va evidenziato come Labriola, pur “chiudendo la partita” per Filosofia teoretica, effettuasse un cospicuo “rilancio” aprendo i giochi, in pratica, per due cattedre nella più prestigiosa Università italiana. Se le cose fileranno sostanzialmente lisce per Credaro, anche se con gli strascichi polemici di cui si disse, non così accadrà per la cattedra di Filosofia morale, cui giungerà nel 1903, per chiamata della Facoltà avversata però dallo stesso Labriola, [23] l'ordinario Pietro Ragnisco (1839-1920).

Per concludere: dopo il trasferimento decretato dal Consiglio del 27 maggio 1902, lo stesso Antonio Labriola che aveva affermato, scrivendo a Luise Kautsky da Roma, il 30 maggio 1895

 

[...] Il compare Ferri è stato già rinominato professore ordinario all'Università di Pisa, lui martire, dal Ministro tiranno. Così è l'uso in Italia, che i professori siano nominati alla vigilia delle elezioni generali, perché possano entrare nel sorteggio se ne riescono più di dieci. Tanto a lui non importa nulla di nulla: è un allegrone. E poi ora ha trovato tanti concorrenti. Più di venti professori si sono presentati candidati socialisti – De Marinis di Napoli (riuscito) che secondo il giornale La Vigilia ha scoverto il collettivismo – Panebianco ( cristallografo - Padova) che raccoglieva dei fondi per un giornale da intitolarsi «il Loria» – il sanscritista Pullé – il Credaro (riuscito) professore di filosofia a Pavia, che io ho sempre combattuto nei concorsi, perché è ultraspiritualista: – e così via. Ma i radicali dicono che questo è loro, cioè Credaro.

È una vera commedia. [...] [24]

 

si rivolgerà al giovane collega così:

 

[Roma], 24/11. 902

Carissimo Credaro.

Di quel lavoro su „L'insegnamento della storia (1876)„ non ho che l'unica copia che ti mando in prestito . A quel 1.° studio (di stile herbartiano ) non tenne dietro nessun altro perché non trovai pubblico . Poi dopo qualche anno quello studio divenne ricercatissimo .

Due degli scritti precedenti _ „la dottrina di Socrate” (1871) _ e „morale e religione” (1873) sono irreperibili. Io ne ho una copia sola .

Invece del terzo ossia „del la li bertà m ora le” (1873) ho ancora qualche copia (ne ho ripescato presso un libraio fallito!). Te ne mando uno in dono . A quel lavoro anche di s til e herba rtian o, io ci tengo ancora. Anzi, salvo le differenze di terminologia, lo considero come at tualmente mi o.

Aggiungo tre altre cosette più o meno pedagogiche. E così ­_ se mai _ ti faccio un po' ritornare su la mia gioventù.

Ti mando poi la recente ristampa dei miei saggi di mat erialis mo s toric o. [Sono] [4] vol. mi 3 in italiano. Un quarto è in preparazione. Della ristampa francese ti mando un solo volume. Dell'altro non dispongo.

Come ti mando questo pacco di libri per mezzo di terza persona, ti prego di mandarmi due righi di avviso.

Ossequio la tua signora

Aff. A. Labriola [25]

 

Caro Credaro _ Tante grazie dei due volumi e degli opuscoli.

Di questi giorni non sono stato bene: o meglio, sono stato più male. Vieni tu la sera all'Aragno? Io non sono uscito più di sera dal 5 giugno.

Ossequio la tua signora.

Aff. mo A. Labriola [26]

 

Il che testimonia – ci si perdoni l'estrema sintesi – che non è impossibile pensare a un “incontro” fra i due, che potrebbe magari aver anche significativamente inciso sulla pedagogia e la didattica, universitaria e non, e - perché no? - altresì sulla filosofia, la politica ecc. di Credaro: ma a partire dal, non antecedentemente al, “passaggio” romano. Ma di ciò, più ampiamente e dettagliatamente in altra sede.


* Quanto segue è parte di un più ampio contributo che verrà pubblicato in “I Problemi della Pedagogia”.

[1] Archivio Studenti dell'Università di Roma [di qui in poi, ASUR], Verbali Facoltà Lettere 8 dicembre 1891 – 21 gennaio 1907 [in seguito, Verbali Facoltà ], Adunanza del 27 Maggio 1902 , pp. 354-355 [pp. 352-355].

[2] Cfr. L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana , Torino, Einaudi, 1975, p. 439, note nn. 37 e 38: Credaro è menzionato come incaricato di pronunziare il discorso commemorativo a nome dell'Università ai funerali di Labriola, nonché di compilarne il necrologio per l' Annuario della “Sapienza”. Al valtellinese vennero affidate queste mansioni in qualità di rappresentante ufficiale della Facoltà romana di Filosofia e Lettere, della quale era divenuto Preside a non più di un anno dal suo trasferimento alla medesima: cfr. ASUR, Verbali Facoltà , Verbale dell'adunanza del 14 Novembre 1903 , p. 402 (Credaro fu eletto con 8 voti su 23 votanti, superando sul filo di lana Dalla Vedova - 7 preferenze - e Barzellotti - 6. Labriola non era presente). L'incarico di redigere il necrologio di Labriola venne conferito a Credaro dalla Facoltà nel primo Consiglio svoltosi dopo la morte del Cassinate, il 20 febbraio 1904, ad apertura del quale «il Preside», cioè lo stesso Credaro, «propo[s]e, e la Facoltà approv[ò]» che fossero inviate «condoglianze alla famiglia del compianto prof. Labriola» (cfr. ivi, Seduta del 20 Febbraio 1904 , p. 415).

[3] Si allude a N. Siciliani de Cumis, che in Il Labriola professore , nel suo Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione – Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, p. 212, nota n. 5 [pp. 209-228] – dedica una breve disamina al necrologio redatto da Credaro, Antonio Labriola (Cassino 1842 [ sic !] – Roma 1904) (cfr. Regia Università degli Studi di Roma, Annuario per l'anno scolastico 1903-904 , Roma, Tip. F.lli Pallotta, 1904, pp. 163-166) sottolineando la presenza, in questo profilo labrioliano, di chiavi interpretative e di lettura critica, quali il « Labriola-Socrate », e ancora il suo «difficile herbartismo (“metafisica” sì o no, ma piuttosto no )», sostanzialmente affini a quelle successivamente avanzate da Croce nel suo Giovanni Bovio e la poesia della filosofia. Parte seconda (Antonio Labriola –Giovanni Bovio) («La Critica», 1907, vol. V, pp. 417 ss.) (il saggio di Siciliani de Cumis è stato successivamente ripubblicato, con il titolo Il problema dell'università in Labriola filosofo ed educatore , in Luigi Punzo, a cura di, Antonio Labriola filosofo e politico , Milano, Guerini e Associati, 1996, pp. 333-352; per quanto sopra v. p. 336, nota n. 5). Ma perché questa breve menzione non tragga in inganno, va sottolineato come tutto il lavoro compiuto da Siciliani de Cumis su Labriola, che lo pone fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell'opera del grande filosofo marxista, specie se considerato in quel nesso, quel virtuoso “circolo” fra piano scientifico e didattico che del resto ne rappresenta un dichiarato, ed effettivamente praticato, presupposto, rivesta il significato di un serrato approfondimento del patrimonio teorico-pratico, della “tradizione” e dello “stile”, delle cattedre di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza”, certo a partire, e con peculiare insistenza, sul magistero del filosofo marxista, ma come chiave di lettura, fra somiglianze e differenze, del complesso di quell'itinerario più che secolare. Un'altra, significativa rilettura delle vicende della cattedra di pedagogia della facoltà filosofico-letteraria capitolina è quella di Giacomo Cives, di cui si dirà fra breve; qui si può suggerire ancora la possibilità di un confronto il discorso di Credaro ai funerali di Labriola, cui accenna Dal Pane, che si potrebbe almeno in parte ricostruire sulla base delle cronache giornalistiche del tempo, e il testo del necrologio redatto per l' Annuario .

[4] Cfr. G. Cives, La “scuola” di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” di Roma.Da Labriola a Credaro , in «Scuola e Città», a. XLV, n. 12, 31 dicembre 1994, pp. 513-522, nel quale lo storico della pedagogia romano si sofferma, fondamentalmente, su Labriola; su Credaro sarebbe tornato, ampiamente, di lì a poco, proseguendo la sua ricostruzione in Id., La “scuola” di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” di Roma. Da Credaro a Visalberghi , ivi, a. XLVI, n. 1, 31 gennaio 1995, pp. 3-16. Il saggio di Cives, che riproduceva il testo della relazione da lui presentata al Convegno dedicato a Le grandi Scuole della Facoltà (riferito, come sarà chiaro dal contesto, a quella di Lettere e Filosofia della “Sapienza” capitolina), tenutosi a Roma l'11 e il 12 maggio 1994, è stato poi ristampato con il titolo La scuola di pedagogia in Università degli studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e Filosofia, Le grandi scuole della Facoltà , Roma, 1994 (stampa Tip. Abilgraf, 1996), pp. 188-237: la sezione su Antonio Labriola è alle pp. 188-202, quella su Luigi Credaro alle pp. 203-218.

[5] V., al proposito, la recente accurata ricostruzione di Ignazio Volpicelli in Herbart e i suoi epigoni. Genesi e sviluppo di una filosofia dell'educazione (UTET, Torino, 2003). A L'herbartismo di Antonio Labriola , vero “cuore” della trattazione, è dedicato il capitolo quinto, pp. 93-153; per Credaro cfr., in specie, nel settimo e ultimo capitolo dell'opera, La formazione alla professione docente , il paragrafo Credaro e la “clinica pedagogica” , pp. 208-220. Volpicelli non fa cenno all'avvicendamento romano del 1902; esamina invece l'interpretazione di Credaro dello herbartismo labrioliano (cfr., ivi , pp. 94-94 e note nn. 3 e 4), presentandola con termini affini a quelli sopra riportati di Siciliani de Cumis.

[6] Sul tema è tornata, in parte, Luciana Bellatalla nel suo Classici e storia della pedagogia: una lezione di Credaro del 1903 (in G. Cives, G. Genovesi, P. Russo, a cura di, I classici della pedagogia. Atti del seminario del CIRSE Cassino, 3-4 dicembre 1997 , Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 109-124), dedicato all'analisi della Prelezione con la quale Credaro inaugurò, il 15 gennaio 1903, il suo primo al Corso di Pedagogia alla “Sapienza” romana: L'insegnamento universitario della pedagogia (Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, G. B. Paravia e Comp., 1903). L'articolata visuale della “enciclopedia” e della didattica universitaria della pedagogia, proposta nell'occasione dal Valtellinese, è sottoposta ad un'accurata disamina dalla Bellatalla, che analizza i dialettici rapporti, in Credaro, fra le posizioni di partenza, neokantiane ed herbartiane, la tradizione positivistica, l'insorgente neoidealismo. Fra questi numerosi «riferimenti» teorici, «espliciti ed impliciti», la Bellatalla non inserisce però Labriola, da lei menzionato unicamente a proposito delle «pagine conclusive» della prolusione, nelle quali vengono celebrati, con evidente «cedimento “retorico”», i docenti che avevano preceduto il Valtellinese «nell'insegnamento pedagogico», e «in particolare» proprio il Cassinate – le uniche che denunziano «l'occasione e il luogo», e pertanto le meno riuscite (cfr., nel cit. saggio della Bellatalla, p. 109; sul riferimento a Labriola di Credaro cfr. di quest'ultimo L'insegnamento universitario della pedagogia , cit., p. 26, e nota n. 2 – v. anche nel prosieguo).

[7] Vanno comunque ricordati – come prime conclusioni, punti di partenza per la prosecuzione dell'indagine – i «principî e orientamenti di fondo comuni» individuati nel 1994 da Cives nel magistero di Labriola, Credaro e Aldo Visalberghi: il carattere «risolutamente antidealistico» del loro insegnamento, avverso allo «spiritualismo vecchio e nuovo», ma anche a tutte le «visioni meccanicistiche ristrette e riduttive», di matrice «laica» e «dalla tonalità democratica avanzata», aperta «alla realtà della società e alle sue esigenze di libertà e giustizia, nel quadro di un processo di crescita civile»; l'«assidua valorizzazione della dimensione filosofica», ma «non esclusiva e prevaricatrice bensì in rapporto dinamico con l'autonoma ma non solipsistica pedagogia», con «forte disponibilità e attenzione per la scienza»; «un rapporto diretto e vivo con la scuola, coi suoi insegnanti, colla sua realtà didattica e organizzativa», e una «visione dei problemi educativi e scolastici [...] posta [...] su base [...] comparativa e internazionale»; «l'insegnamento pedagogico» non ridotto «a una riflessione logico-metafisica», bensì «articolato in un'ampia gamma di settori, dalla storia della pedagogia alla pedagogia generale, dalla didattica [...] alla pedagogia sperimentale». «In sostanza», conclude lo storico della pedagogia romano, professore emerito della “Sapienza”, «lo spirito della tradizione romana pedagogica si è mosso risolutivamente contro le vecchie impostazioni moralistico-esemplari, esortativo-edificatorie e ha puntato a costituire una pedagogia non dogmatica, aperta alla storia, alla società e alla scienza, tendenzialmente diretta allo sviluppo civile e all'innovazione della cultura», volgendo il suo «impegno per una teoria dell'educazione e una sua pratica moderne, in una società che si trasforma e si emancipa dalle vecchie ingiustizie, dai vecchi condizionamenti». G. Cives, La scuola di pedagogia , in Università degli studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e Filosofia, Le grandi scuole della Facoltà , cit., pp. 188-189. Aggiungeremmo, come tratto comune alle due personalità di cui ci veniamo occupando, un'idea e una “prassi” del lavoro intellettuale per le quali quest'ultimo – sia pure da punti di vista e con significati ed esiti tra loro alquanto differenti – si qualificava per, e legittimava nel, richiamo costante alla concretezza (anche durezza ) delle cose , e/o come binomio indissolubile di interpretazione e trasformazione del reale .

[8] P. Guarnieri, Luigi Credaro . Lo studioso e il politico , Sondrio, Società Storica Valtellinese, 1979, p. 35.

[9] Già ivi, p. 27, «[Credaro] è chiamato [...] all'Università di Roma da Antonio Labriola». Poi, «Credaro [...] lascia la cattedra di storia della filosofia [a Pavia] e si separa dal maestro [Carlo Cantoni – su cui v. infra ], per assumere l'insegnamento di pedagogia all'Università di Roma, dov'è chiamato da Antonio Labriola» - cfr. Eadem, Lettere di Luigi Credaro a Carlo Cantoni (1883-1900) («Giornale Critico della Filosofia Italiana», a. LIX, 1980, p. 144 [pp. 141-166]. E ancora: «[...] Nel 1902 il C[redaro] fu chiamato, per interessamento di A. Labriola, alla cattedra di pedagogia, prima tenuta da quest'ultimo, presso la facoltà di lettere dell'università di Roma [...]» - cfr. Eadem , Credaro, Luigi , in Dizionario biografico degli italiani , vol. XXX, Cosattini-Crispolto , Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1984, p. 585 [pp. 583-587].

[10] Ove Labriola argomenta «che il sig. Ministro abbia già accettata la proposta del mio passaggio» a filosofia teoretica, in quanto, in caso contrario, «la interrogazione» del Consiglio stesso «circa la domanda del Credaro sarebbe o prematura o superflua». La “precedenza” accordata a Credaro (anche rispetto ad altre domande, come si vedrà in seguito), rimanda e fa pensare, considerando che il vertice della “Minerva” era allora appannaggio di Nunzio Nasi, notoriamente affiliato alla Massoneria, ai controversi (cioè, da lui sempre negati) rapporti di Credaro con Palazzo Giustiniani; ma anche Antonio Labriola , sia pure diversi anni prima, nel 1888, era stato, per riprendere la felice espressione del massimo storico italiano in materia, Aldo Alessandro Mola, tra le colonne , avanzando una richiesta d'iniziazione alla quale però, poi, non diede seguito. Si individua, qui, in queste incerte e contrastate “interferenze” con il Grande Oriente, un ulteriore terreno d'indagine sul rapporto Labriola–Credaro. Per quanto sopra accennato cfr. A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni , Milano, Bompiani - RCS Libri, 1999: per Labriola le pp. 221, 237, 254, 291, 362 e l'Appendice III, Antonio Labriola tra le colonne , pp. 865-877; per Credaro le pp. 304, 316, 372 (Mola, che propende per l'appartenenza di Credaro alla Massoneria, lo definisce esplicitamente «Fratello», però, solo nella prima delle p. citate).

[11] In apertura della seduta del Consiglio dell'11 giugno 1902, in sede di approvazione del verbale della seduta precedente, la concessione del trasferimento a Credaro fu infatti aspramente contestata sia nel merito (Ernesto Monaci fece mettere a verbale una lettera nella quale rimarcava, sulla base dell'esperienza di 26 anni di docenza negli atenei, l'incompatibilità dell'«esercizio dell'insegnamento universitario [...] con quello altrettanto laborioso della rappresentanza alla Camera, specialmente quando si tratti di insegnamento non puramente professionale») sia nel metodo (Luigi Ceci e Baldassarre Labanca sottolinearono in negativo la fretta con la quale si era deliberato, su materia per la quale l'ordine del giorno non prevedeva, esplicitamente, una votazione). Labriola difese non solo «la connessione» nel suo O.d.G. della «deliberazione» sulla domanda Credaro con la proposta di «provvedimenti per la cattedra di filosofia morale», la cui legittimità era stata revocata in dubbio da Ceci; ma sostenne altresì, contro quest'ultimo – smorzando i toni dell'appena sopra ricordata premessa all'O.d.G. del 27 maggio – che la richiesta del collega pavese dovesse «esser presa in considerazione» senza «attendere la decisione del Ministro circa il [suo, di Labriola] passaggio [...] alla [...] Filosofia teoretica», «perché il Ministro» stesso aveva trasmesso l'istanza credariana «con una lettera in cui chiedeva il parere della facoltà». La forma, alquanto vibrata, e la sostanza delle obiezioni sollevate in questa seduta,  potrebbero anche autorizzare l'ipotesi che nel Consiglio precedente fosse stato operato un vero e proprio “colpo di mano”: del quale Labriola, visto il suo comportamento nella prima come nella seconda circostanza, sembrerebbe, se non regista, senz'altro protagonista (non va dimenticato che la domanda di Credaro fu esaminata al termine dell'adunanza, circostanza che rafforza senz'altro l'impressione di un blitz ). Cfr. ASUR, Verbali Facoltà , Adunanza dell'11 Giugno 1902 , p. 357-358, e A. Staderini, La Facoltà nei primi decenni del Novecento (1900-1920) in Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Facoltà di Lettere e Filosofia, Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza” , a cura di L. Capo e M. R. Di Simone, Roma, Viella, 2000, p. 460 [pp. 451-507]. La Staderini, che definisce «il trasferimento nel 1902 da Pavia di Luigi Credaro» una «sostanziale novità dei primi anni del secolo, dal punto di vista politico e culturale» nella vita della Facoltà, sembra confermare il punto di vista della Guarnieri sostenendo che lo studioso di Herbart venne «chiamato alla cattedra di Pedagogia per insistenza di Antonio Labriola»: ma anche in questo caso non sono esibiti elementi di fatto a supporto di tale recisa affermazione.

[12] Questa lettera, variamente menzionata nelle fonti, purtroppo non è stata ancora reperita.

[13] Dal Fascicolo personale Luigi Credaro, conservato presso l'Archivio Generale dell'Università degli Studi di Pavia, risulta che durante l'ultimo anno accademico in cui insegnò a Pavia (1901-1902), il Valtellinese giunse a chiedere al Rettore Golgi e al Preside Cantoni, a causa dei suoi impegni alla Camera, di poter concludere in anticipo il suo corso.

[14] Ci permettiamo di rinviare, per questa lettura dell'itinerario biografico e intellettuale del Valtellinese, al nostro L'impegno necessario. Filosofia, politica, educazione in Luigi Credaro (1860-1914) , Roma, Anicia, 2004. Ma si v. anche i volumi scaturiti dai due convegni sin qui tenuti su Credaro, dovuti, in particolare, alla passione scientifica e al lavoro organizzativo del prof. Arturo Colombo, emerito di Storia contemporanea dell'Università di Pavia: P. Guarnieri (a cura di), Luigi Credaro nella scuola e nella storia . Atti del Convegno Internazionale Sondrio, 15-16 settembre 1979, Sondrio, Società Storica Valtellinese, 1986; N. Credaro Porta, A. Colombo (a cura di), Luigi Credaro il coraggio dell'impegno . Atti del Convegno [tenutosi a Sondrio il 16 ottobre 1999], Sondrio, Istituto Sondriese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea, 2001.

[15] R.D. 7 luglio 1902, con effetto dal 1° novembre di quello stesso anno.

[16] Credaro fu anche, dal 1917 al '23, Vice-presidente del Consiglio Superiore della P. I.; nel 1919 Nitti lo nominò Senatore e lo inviò come Governatore Generale Civile nella Venezia Tridentina, incaricò che ricoprì sino all'ottobre 1922.

[17] Ivi, Adunanza del 21 Ottobre 1901 , p. 318.

[18] Ivi, Adunanza del 2 Novembre 1901 , p. 320.

[19] Ivi, Adunanza del 4 Dicembre 1901 , pp. 323-324.

[20] Ivi, Adunanza del 23 Aprile 1902 , pp. 344-345.

[21] Talvolta le stesse fonti ufficiali presentano oscillazioni nell'indicazione della denominazione di cattedre e corsi, semplici refusi, probabilmente, ma forse anche segnali di un cambiamento culturale, e di mentalità, in atto: si v. ad es. l' Annuario della R. Università degli studi di Roma per l'anno scolastico 1875-1876 , Roma, Stabilimento Civelli, 1875, relativo all'anno accademico nel quale Labriola tenne l'«insegnamento complementare» di «Psicologia empirica» (ivi, pp. 160, 189-191), ov'egli figura anche, unicamente, come professore di «Pedagogia» (ibidem; ma l'anno seguente si tornerà alla dizione «Filosofia morale e pedagogia», v. Annuario della R. Università degli studi di Roma per l'anno scolastico 1876-1877 , Roma, Stabilimento Civelli, 1876, pp. 97, 134-135). E più essenziale, v'è la questione di una cattedra che resta unica mentre i corsi si sdoppiano: a partire dall' Annuario della R. Università degli studi di Roma per l'anno scolastico 1877-1878 (Roma, Stabilimento Civelli, 1877), l'orario dei corsi di Filosofia testimonia dello svolgimento separato delle lezioni di Filosofia morale e di Pedagogia (cfr. ivi, p. 117); e sarà così, in pratica, sino al passaggio di Labriola a Teoretica.

[22] È da verificare, e sarà senz'altro un'ulteriore ricerca da compiere, se negli altri atenei italiani, fra l'Unità e il primo Novecento, vi fossero cattedre con identica o affine denominazione a quella labrioliana, o nelle quali, comunque, la pedagogia si trovasse coniugata ad altre discipline filosofiche.

[23] ASUR, Verbali Facoltà , Adunanza del 10 Novembre 1902 , pp. 369-370. Ragnisco fu preferito a Giovanni Marchesini, benché si vociferasse di una preferenza del Ministro per quest'ultimo, alla quale accenna, nella circostanza, Barzellotti (cfr., ivi, p. 369). Ma si v., in Archivio Centrale dello Stato (d'ora in poi, ACS), Fondo Luigi Credaro, b. 2, fasc. 4, Corrispondenza con le Segreterie di varie Università 1903 , la cartolina postale inviata da Giovanni Vidari a Credaro da Vigevano il 31 ottobre 1902, nella quale il primo, già allievo del secondo e di Carlo Cantoni a Pavia, chiede conferma al suo corrispondente della notizia «datami soltanto ieri della nomina del prof. M[arches]ini a codesta cattedra di Filos. morale», e la risposta abbozzata, sul retro della medesima, da Credaro: «Sono qui da poco; e non posso dirti solo [ sic !] quanto mi riferì il Labriola ieri sera. La notizia è vera. Ma non pare che il M. sia destinato a questa Un.». Ed è da v. anche in ACS, MPI, CSPI – Atti (1849-1903), b. 466 (1902), fasc. 578, ove si rinviene una pratica relativa al trasferimento Ragnisco, avviata da una istanza della Facoltà del 12 novembre 1902. Dalla documentazione risulta un parere negativo espresso in merito dal Consiglio Superiore nella seduta del 15 novembre di quello stesso anno, motivata dal numero già elevato di ordinari, superiore a quello previsto dalla legge Casati, in servizio presso la Facoltà letteraria capitolina. La relazione, che determina il giudizio sfavorevole, è di G. Fraccaroli. Il Consiglio era stato interpellato, a norma dell'art. 73 della Legge Casati, che ne richiedeva il parere solo nel caso di soprannumero degli ordinari. Il testo non è chiarissimo, ma sembra che l'unica “scappatoia” fosse rappresentata dalla chiamata per “singolare perizia”, che in questo caso, però, non sembrava al Fraccaroli praticabile.

[24] Il contesto in cui s'inserisce il brano è quello di una spietata polemica contro gli atteggiamenti compromissori e le confusioni teoriche e sul piano dell'azione politica che caratterizzavano, a suo modo di vedere, il socialismo francese e quello italiano. Cfr. A. Labriola, Carteggio , III, 1890-1895, a cura di Stefano Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2003, p. 568 (l'intero testo della lettera, con le note del curatore, è alle pp. 567-570; a proposito della nota n. 10, di carattere biografico, su Luigi Credaro – ivi, p. 569 – ci si permette di segnalare che quest'ultimo è nativo di Sondrio – per l'esattezza, della frazione detta Colda, che però non costituiva una entità amministrativa autonoma – e non di Montagna, e che il suo insegnamento di pedagogia all'Università di Roma ebbe inizio nel 1902).

[25] ACS, Fondo Luigi Credaro, b. 2, fasc. 4 ( Corrispondenza con le Segreterie di varie Università 1903 ). In calce alla prima pagina dei 4 fogli ms. si legge, a matita, di pugno di Credaro: «26.11. Mandato: 2 vol. Acc. ci 1 op. Ghislieri», che consente di datare come posteriore il messaggio labrioliano riportato – proprio per tale ragione – di seguito nel testo. La lettera, fra l'altro, rende esplicito che alcuni – anzi, per la verità: gran parte – dei volumi di Labriola posseduti da Credaro e oggi conservati nel Fondo, che reca il suo nome, presso la Biblioteca “Pio Rajna” di Sondrio gli furono donati dall'autore: circostanza che ne rende ancor più necessario esaminarli, per verificare se e in che modo e misura, attraverso i medesimi, si fosse sviluppato un “dialogo” fra i due studiosi (si allude, a eventuali appunti dell'uno – di “introduzione” –  e dell'altro – di commento – ai testi).

[26] Ivi. Il breve messaggio è su un biglietto da visita «Prof. Antonio Labriola Roma – 251 Corso Vittorio Emanuele».

 

 

 

 

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