EDUCAZIONE RELIGIOSA
E <PATTI LATERANENSI> : IL CASO GIOVANNI GENTILE.*
di Vincenzo GABRIELE
<<La religione è
una materia di insegnamento come tutte le altre; ma ha questa speciale virtù,
che schiettamente compresa e appresa, non solo attua l'ideale di una istruzione
educativa, ma moralizza ogni altro sapere moralizzando lo spirito che ne viene
in possesso, poichè lo orienta stabilmente in un mondo dove tutto ha il suo
posto [....]. La scuola laica non può abolire l'insegnamento religioso senza
sostituirvi nulla che risponda ai fini leggittimi della religiosità>>.1
Queste parole oltre a riassumere in modo sufficientemente completo le
posizioni di Giovanni Gentile sul
significato e l'importanza dell'istruzione religiosa preannunciano, circa un
decennio prima della sua 'istituzionalizzazione', il ruolo che all'interno
della Riforma Scolastica del 1923 avrà questo insegnamento. Il tema
dell'insegnamento di religione nella scuola trova nella firma dei Patti
Lateranensi tra Stato italiano e Chiesa cattolica nel 1929, un sicuro punto di
riferimento, che integra un più antico e generale dibattito sulla laicità della
scuola e sul contenuto concreto da dare a questa espressione. Un dibattito che
ha ritrovato particolare vigore dopo la revisione, nel 1984, degli accordi del
'29 ; revisione che proprio nel campo scolastico sembra aver portato ulteriore
confusione in materia.[2]
Vale la pena sottolineare però che, da un punto di vista più
strettamente legato alla filosofia dell'educazione, la questione quì affrontata
non può non trovare un irrinunciabile approfondimento nella analisi e nella
discussione del pensiero filosofico-educativo di Gentile e più in generale del
Neo-idealismo italiano, sullo sfondo della storia politica e culturale di
questo secolo, che li ha visti, almeno nella sua prima metà, tra i protagonisti.
E' in quest'ottica, dunque, che il presente scritto intende offrire, anche se
in maniera consapevolmente sommaria, alcune riflessioni e spunti di ulteriore
indagine storico - pedagogica sull'argomento.
Volendo intanto dare alcune chiavi di lettura è bene tenere presente
tre punti principali di riferimento: 1. nella
riforma Gentile l'elemento più contraddittorio, anche se inserito nell'ottica
della specualazione filosofica del suo artefice, sembra essere proprio il ruolo
ed il peso assegnato all'educazione religiosa da un ministro che si professava
difensore dello Stato laico; ma è
questa difesa, in particolare, che và analizzata per farne emergere le
contraddizioni e anzi la sua ‘mistificazione ' [3];
2. il 1929 ed il Concordato rappresentano, al di là della loro valenza
storico-politica, un momento importante per valutare gli errori e le ambiguità
della politica scolastica di Gentile; ma segnano anche una svolta nei suoi
rapporti con il Fascismo: proprio mentre la Chiesa sacrificava il Partito Popolare
e la parte più democratica del Cattolicesimo sull'altare dell'accordo con il
Regime infatti, quest'ultimo si accingeva a ripudiare la dottrina del Filosofo
siciliano, con la quale era sembrato fino ad allora identificarsi[4]; 3.affrontare il tema della teoria
educativa di Gentile e la sua concezione di scuola pubblica significa
inevitabilmente, ed in maniera inscindibile, chiamare in causa la sua visione
dello Stato, della laicità e della libertà politica: lo stesso Gentile aveva fin dall'inizio, voluto
precisare che
<<la scuola è tale solo in quanto è vita dello Spirito e in questo
senso essa è lo strumento attraverso cui si forma la vita spirituale della
Nazione. E' quindi uno strumento politico, che deve essere gestito dallo Stato
etico, espressione della vita dei cittadini formatasi attraverso la scuola
governata dalla filosofia>>[5].
I PATTI LATERANENSI: UNA BREVE STORIA.
Ma oltre a queste iniziali coordinate sembra giusto tracciare, anche ai
fini di una contestualizzazione più ampia, un breve pro-memoria del Concordato
e delle sue ripercussioni nel campo scolastico. La politica concordataria, già
avviata da Benedetto XV, venne ulteriormente ricercata e promossa da Pio XI
nello sforzo di far riconoscere sempre maggiori diritti alla Chiesa cattolica
nella vita pubblica. Egli, a differenza del suo predecessore, aveva una
concezione che si potrebbe dire intransigente, teocratica e totalitaria del
cattolicesimo e dei suoi rapporti con la società civile. Gli strumenti per
realizzare questo programma dovevano essere da un lato la volontà di
avvicinamento allo Stato italiano e dall'altro il Movimento dell'Azione
Cattolica: una visione, che per essere perfettamente parallela a quella della
politica governativa di Mussolini, si poneva immediatamente in contrasto con
essa. Anche nella mente del Duce infatti vi era uno Stato totalitario, grazie
al quale poter respingere facilmente le eventuali aspirazioni a tendenza
teocratica e le invadenze clericali. Nei disegni di Mussolini, la Conciliazione
doveva risolversi in una stretta subordinazione della Chiesa ai fini dello
Stato[6].
Nel corso del 1923, il Vaticano abbandonò di fatto il Partito Popolare
per avvicinarsi al Fascismo; e proprio in quest'anno Gentile aveva portato a
termine la sua riforma della scuola, caratterizzata da concessioni senza
precedenti alla Chiesa cattolica, in particolare nel campo dell'istruzione
religiosa ma non solo. Una coincidenza questa, che come avremo modo di vedere
più avanti non sembra del tutto casuale. Del resto, quelle concessioni assumevano
un significato ed una portata maggiori proprio alla luce degli accordi
dell'undici febbraio 1929, ai quali si giunse dopo una lunga e complessa
trattativa[7]. Gli articoli del documento
riguardanti la scuola erano il 5, il 35 e il 36: essi regolavano rispettivamente
il reclutamento dei docenti di religione, l'esame di Stato per gli Istituti
religiosi e l'insegnamento della religione in senso stretto. Vi erano poi gli
articoli 37, 38 e 43 che avevano attinenza con la scuola e l'organizzazione
della gioventù. Sulla base del Concordato l'insegnamento religioso, già
introdotto nelle scuole elementari nel 1923, venne esteso alle secondarie nel
1930. Ma va ricordato che il R.D. del 3aprile 1924, n.965, aveva previsto tale insegnamento, come facoltativo, nelle
scuole Complementari e negli Istituti Magistrali; la circolare n.95 del 25 novembre 1926 aveva poi
esteso, tale facoltà, a tutte le scuole secondarie[8].
Anche l'esame di Stato veniva ulteriormente collegato, grazie ai Patti, con lo
sviluppo e gli interessi della scuola privata, in quanto, reso meno selettivo,
si trovò suo naturale alleato e contribuì a sviluppare l'istituto della
parificazione che, nel 1942, si trasformò in 'riconoscimento legale' degli
Istituti privati[9].
Ma l'idillio Chiesa - Fascismo, per i motivi che abbiamo in parte
accennato, era destinato ad avere, almeno ufficiosamente, una breve durata: già
la trasformazione del Ministrero della Pubblica Istruzione in Ministero
dell'Educazione Nazionale, alcuni mesi dopo i Patti Lateranensi, rimise in campo
la questione del monopolio statale sulle direttive da dare all'istruzione
scolastica. Si trattava più chiaramente di una ulteriore tappa di quella
fascistizzazione della scuola che passava necessariamente anche attraverso
ritocchi ed aggiustamenti all'impianto generale della riforma Gentile e che era
il vero fine ultimo del governo Mussolini. La fragilità della 'diarchia educativa' si rivelerà dunque
ben presto, non potendo la Chiesa tollerare alcuna sostanziale modifica al suo
magistero. L'anno del Concordato non è ancora trascorso quando l'enciclica Divini Illius Magistri (31 dicembre
1929), risponde direttamente all'equazione, tutta idealista, fatta dal
Fascismo, tra istruzione ed educazione, affermando la più assoluta
intransigenza per quanto riguarda le finalità essenzialmente religiose
dell'educazione e condannando la scuola laica[10].
Gli episodi segnalati non sono che la parte più evidente di un disagio
concreto che Chiesa cattolica e Stato
fascista tendono a manifestare, con sempre maggiore frequenza ed asprezza, nei
rispettivi ambiti; tuttavia, per ragioni di convenienza politica, i rapporti
tra Italia e Santa Sede, fino al 1938, anno di emanazione delle leggi razziali,
furono in complesso 'tolleranti'. A riprova
di ciò si può tenere presente l'enciclica Non
abbiamo bisogno (29 giugno 1931), seguita al provvedimento di scioglimento
della Azione Cattolica da parte delle autorità governative, nella quale
nonostante si deplori l'ingratitudine, verso l'istituzione religiosa, da parte
del Regime, si tenta di mantenere aperto il dialogo accettando, con la formula
<salva la legge di Dio e della Chiesa>, il giuramento di fedeltà dei
piccoli balilla alla causa fascista.
Và tenuto presente del resto, come ha rilevato Tina Tomasi, che
l'accordo tra Stato e Chiesa, in particolare sul piano educativo, non riposava
solo su motivi tattici di pura convenienza politica,
<< ma anche sulla convergenza
di alcuni princìpi fondamentali della pedagogia cattolica e di quella fascista,
a cominciare dalla convinzione che educare significa guidare dall'alto,
comunicare verità prestabilite. Il Fascismo mutua inoltre da Gentile alcune idee
gradite alla Chiesa, quali l'assunzione della educazione religiosa come
efficace antidoto al materialismo, cioè alle ideologie sovversive, la
predilezione per i contenuti letterairi retorici, la diffidenza verso il
pensiero scientifico, l'avversione alla coeducazione in vista della diversa
destinazione sociale della donna, il rifiuto della pedagogia straniera
impregnata di laicismo democratico>>[11].
LE POSIZIONI DI GENTILE.
Gentile aveva partecipato al dibattito tra la stampa fascista e quella
cattolica, a proposito della 'Questione romana', fin dall'autunno del 1927. Ma
le sue posizioni di intransigenza circa le prerogative dello Stato e della sua
autonomia sembrano essere inficiate su due fronti: da una parte dalle sue
personali responsabilità nell'avere aperto, con la sua opera teorica e pratica,
un varco alle richieste del mondo cattolico di intevenire nei vari campi della
vita pubblica; dall'altra dalla presenza, all'interno del suo pensiero
educativo, di contraddizioni, comuni anche a tutto l'idealismo e che Remo Fornaca ha così riassunto:
<< confusione tra religione e
religiosità; attribuzione di
un'anima religiosa ai bambini e ai ceti
popolari; convinzione che per i bambini e per i ceti popolari è impossibile e
controproducente un comportamento etico a matrice laica; scelta istituzionale
della Chiesa cattolica, sia come garante dell'insegnamento sia come detentrice
del messaggio cristiano, ivi compreso il riconoscimento alle gerarchie
ecclesiastiche del diritto-dovere di scegliere gli inseganti, i contenuti, i
metodi di insegnamento ed i testi. A parte la collocazione dell'atteggiamento
religioso, resta il principio che la filosofia e quindi la pedagogia
idealistica hanno una matrice
teologica ,metafisica e quando scendono sul piano istitutzionale, anche
religioso, rivelano il proprio conservatorismo>>[12]
Sulla base di queste premesse,
possiamo dire che <<L'Osservatore
Romano>> aveva buon gioco nel rimproverare a Gentile di avere
dimenticato le sue posizioni non certo ostili verso l'istruzione privata e di
essere stato l'assertore convinto della libertà della scuola in Italia, nonchè
il fautore della battaglia contro il falso principio ' liberalesco ' del
laicismo[13].
Da un analisi delle posizioni di Gentile sul tema in questione e da una loro successiva storicizzazione
emerge in questo senso, abbastanza chiaramente, una linea oscillante tra un
presunto laicismo intransigente ed il riconoscimento di una religiosità di tipo
dogmatico; una linea di condotta che appare strettamente legata alla esigenza di
affermare, sia sul piano teorico che su quello pratico, le tesi
dell'Attualismo. Una data obbligata per cominciare a seguire questo percorso
gentiliano è il settembre del 1907, periodo in cui si svolge il Congresso della
FNISM dove Gentile si schiera, fatto non secondario, lui da solo, contro quella
concezione di scuola laica, di stampo positivista, che prevarrà nelle tesi
finali del Congresso. Così Gentile sintetizzava, in quella sede, la sua idea di
laicità:
<< [...] si afferma che lo
Stato oggi deve essere laico; che è come dire al solito non legato a una forma
di religione: separato dalla religione [...]. Lo Stato laico, che separandosi
dalla religione nega la religione, non riesce a vuotarsi di una sua interna
religiosità [...]. Lo Stato si laicizza diventando fine a sè stesso [...] e
fine a sè stesso non può diventare negando ogni fine, bensì soltando
affermando sè come fine; sè ripeto come un chè di assoluto dotato di valore
divino: divinizzandosi [...] e però
non potendo più riconoscere una istituzione che non essendo esso, lo Stato, tuttavia professi di
rappresentare il divino>>[14].
E' l'inizio dell'equivoco. Ma Gentile ha davanti a sè un chiaro
programma d'azione: con il Positivismo ormai in crisi, l'attenuazione del <Non expedit> e l'inizio del riavvicinamento
dei cattolici alla vita politica che sfocerà nel Patto Gentiloni, il Filosofo
vede nell'appoggio alla tradizione del cattolicesimo moderato e clericale una
strada da percorrere per favorire l'abbattimento, innanzitutto a livello
filosofico-culturale e quindi, dal suo punto di vista, educativo, del sistema
liberal-riformista a direzione prevalentemente giolittina, la sconfitta del
quale potrà ridare vitalità a quel 'sano conservatorismo' [15], tanto caro a Gentile, che sul piano
politico si concretizzerà con la celebrazione dello Stato etico e l'adesione al
Fascismo, mentre sul piano educativo giustificherà la formula <poche scuole
ma buone>[16].
Sono proprio gli anni dal 1906 al 1912 (in cui la produzione pedagogica
si intensifica) a presentare il Gentile banditore entusiasta del rinnovamento
della scuola italiana; ma al tempo stesso è da notare come, sempre in questi
anni, quell'entusiasmo si lega alla adesione esplicita ai princìpi del
cattolicesimo tradizionalista contro le idee 'eversive' del Modernismo[17];
e ciò fornisce un ulteriore indizio delle mire del progetto gentiliano.
L'esperienza della Prima Guerra Mondiale e il dibattito-scontro tra neutralisti
ed interventisti offrono, in questo senso, un momento di ulteriore svolta per
analizzare le posizioni di Gentile ed il suo percorso speculare al programma
che si è prefissato. Lo Stato che è andato teorizzando con la sua quasi
ventennale riforma pedagogica è quella
organizzazione caratterizzata da una moralità intensa, quella moralità della
filosofia che non può tollerare ovviamente, per il suo stesso integralismo
culturale, l'azione della Chiesa. Il 1918 è stato un anno significativo dal
punto di vista della riforma della scuola di cui, Gentile, và fin d'ora
elaborando i contenuti. Se egli sente sempre più intensamente questo suo
compito, non sa rinunciare, d'altro canto, a mantenere un dialogo aperto e
mediato con la Chiesa, che pure rappresenta ancora un valido punto di appoggio
contro il laicismo agnostico ed estremista dei liberali e dei socialisti. In
questa prospettiva si può spiegare la distanza tra le posizioni assunte nel
biennio 1918-1919 e quelle di appena un anno dopo.
Nel '18, ancora fresco lo scontro con le gerarchie ecclesiastiche sul
significato della guerra e sul ruolo del pacifismo, Gentile scrive che
<<tutta la nuova
Italia è fin dai suoi inizi [...] Stato radicalmente ed essenzialmente laico
[...] . Lo Stato con il solo fatto di separarsi dalla chiesa afferma di non
avere bisogno di quella religiosità che sola può conferire un valore assoluto a
una realtà spirituale; ma di averla in sè stesso [...] per effetto di libera
elezione e come norma di una attività intrinsecamente morale. Ma lo Stato non è
niente di autonomo e non può riuscire perciò alla garanzia delle libere energie
di ogni coscienza individuale [...] se questa fede vale di fronte ad esso come
un potere costituito esterno, da cui gli tocchi prendere norma, al quale gli
convenga prima o poi sottomettersi>>[18].
Ancora nel 1919, a proposito del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa,
Gentile auspica decisamente la non risoluzione della 'Questione Romana' e scrive:
<<la convenszione presuppone
una sovranità di fronte all'altra e invece lo Stato italiano è sorto dalla
negazione d'ogni altra sovranità che voglia esercitarsi sul suo territorio
[...]. Lo Stato italiano per la sua origine e per la sua essenza, ignora un
Papato politico>>[19].
Nel giugno 1920 intanto, Benedetto Croce viene nominato ministro della
pubblica istruzione nell'ultimo ministero Giolitti. E' questa la grande occasione per saggiare l'energia del
gruppo di studiosi vicini a Gentile; più che per andare fino in fondo, per
preparare il terreno. Il tentativo di riforma scolastica di Croce, che verrà
interrotto dalla caduta del governo, tiene quasi sempre presente quelli che
sono gli obiettivi del suo amico-rivale e del gruppo idealista (a cominciare da
Ernesto Codignola e Giuseppe Lombardo Radice). E' in questo periodo che inizia
la messa in atto di quello che è stato definito, non a torto, un programma di '
teocrazia laica ' [20], che ben si adatta alla enunciazione
della teoria dello Stato etico. Su questa strada si avrà l'incontro di Gentile
con il Fascismo, che egli tenterà di utilizzare per <<surrogare gradualmente la Chiesa di Roma con uno Stato laico
[...] ma non per questo meno intenso di quello teocratico>>[21] e che lo porterà la sua laicità di
elementi ancora più ambigui, nel tentativo di conciliare la sua idea di
religione con quella del Cattolicesimo.
Dal punto di vista della teoria educativa gli anni Venti sono gli anni
in cui Gentile nello sforzo di affermare definitivamente le ragioni
dell'Attualismo in campo politico e scolastico
finisce per enunciare e consolidare, non solo con la Riforma, tutte
quelle posizioni che il Fascismo da una parte e la Chiesa cattolica dall'altra,
utilizzeranno per giungere alla stesura e alla leggittimazione del Concordato e
poi per emarginare il Filosofo siciliano dalla scena culturale ed educativa.
Anticipando, di circa un decennio,
le giustificazioni che Giuseppe Bottai, a nome del Fascismo, addurrà per
spiegare il perchè la religione insegnata nelle scuole dovesse essere quella
cattolica e contraddicendo le posizioni espresse in precedenza, nel 1920,
Gentile scrive:
<<se lo Stato non deve
essere qualcosa di astratto ed utopico,ma la forma concreta della vita di un
popolo nello Stato - per esempio nella sua cultura come è rappresentata nella
scuola - non è realizzabile una forma religiosa che non abbia radice nella
coscienza popolare [...] e in questo lo Stato deve guardare alla Chiesa come
propria alleata>>[22].
Ancora nel 1923, quasi a voler rafforzare questa tesi in concomitanza
con l'approvazione della Riforma, egli tornerà sull'argomento per spiegare che
<<il popolo italiano è
cattolico, sinceramente cattolico. Le altre religioni sono ammesse [...]. Ora
la scuola deve essere amata dal popolo, deve vivere nel cuore del popolo [...].
Lo Stato non intende imporre la sua volontà a nessuno. Se uno non si sente di
fare il maestro di scuola, potrà fare un'altra cosa [...] ma la scuola essendo
italiana, perciòcattolica, porta con sè le esigenze del popolo italiano>>[23].
L'adesione al Fascismo, sempre nel '23, segnava un'altra novità nel
percorso ideologico e riformatore di Gentile, il quale vedeva nel governo
Mussolini un nuovo ed ulteriore strumento per realizzare concretamente il suo
modello di Stato; uno Stato che, come si è detto, rappresentasse la mediazione
tra il momento logico-gnoseologico e quello pedagogico-politico della sua
dottrina. E quando a partire dal 1925, proprio in coincidenza dei primi
tentativi di dialogo tra la Chiesa ed il Fascismo, si moltiplicano gli attacchi
alla Riforma della scuola per cercare di modificarne i contenuti meno graditi
al mondo cattolico ma oramai anche al Regime, Gentile si accorge in modo evidente
della necessità di evitare che la politica di Mussolini si colori troppo di
clericalismo. In modo particolare le sue preuccupazioni sembrano riguardare un
certo clima che si va creando intorno all'Attualismo il quale, soprattutto a
causa dei progressivi attacchi da parte cattolica, veniva sempre più presentato
come un reale ostacolo alla 'conciliazione' tra Italia e Vaticano; di quì
l'invito pressante e mal celato al capo del governo di portare avanti,
parallelamente all'azione diplomatica, una trasformazione della cultura
italiana; la qual cosa equivaleva ad abbandonare la filosofia attualista al suo
destino.
<<La grande abilità delle
forze che la Conciliazione mise in atto - ha scritto Eugenio Garin - fu di sfruttare, deformandole politicamente, tutte le caratteristiche
dell'Idealismo: odioso sul terreno nazionalistico perchè di origine non
italiana; pericoloso politicamente perchè legato al Liberalismo e padre del
Marxismo; distruttore della fede dei padri; nemico della scienza [...]>>[24].
Sul piano educativo, inoltre, aggiungiamo noi, l'Idealismo era negatore
di quella trascendenza di stampo Neo-scolastico tanto cara ai pedagogisti
cattolici contemporanei di Gentile. Ma questa esigenza di sottrarre il Fascismo
all'influenza della Chiesa non sfociava, in lui, nella affermazione risoluta e
inequivoca del vero significato e dei veri compiti dello Stato laico; ma
piuttosto, accentuando il legame tra politica e religione, esaltava, sul piano
pedagogico, l'aspetto che potremmo definire di 'integralismo autoritario' della
sua dottrina pedagogica:
<<combattiamo il laicismo
della cosiddetta scuola neutra - afferma Gentile nel 1925 - [...];
una volta era dogma che bisognava rispettare la coscienza del
fanciullo e non preoccuparla con insegnamenti
religiosi [...]. Era effetto reale di una autentica ignoranza della vita dello
spirito: il quale è sempre libero,
sempre maturo, sempre razionale e pure non è mai libero, nè mai maturo, nè mai razionale [...]. Perciò
combattiamo e dobbiamo combattere quest'altra sorta di laicismo che vuole essere il bando della
politica dalla scuola; dalla scuola come rapporto tra insegnanti e scolari e dalla scuola come coscienza
dell'insegnante e ideale di vita che egli debba perseguire>>[25].
Il ' rischio ' della Conciliazione mette sempre più in primo piano, per
Gentile, la necessità di una maggiore sottolineatura del significato e del
ruolo dello Stato etico, unitamente alla convinzione che
<<il problema
scolastico s'intreccia, anzi si immedesima in un certo senso con quello dei rapporti tra Stato e Chiesa [...]. Lo
Stato è una sostanza etica [...]: non è una forza esterna alla coscienza
dell'individuo [...]. Cosi concepito lo Stato, non essendo niente di meccanico
e niente di estraneo allo spirito
individuale, è eminentemente educatore>>[26].
Ma questa continua mediazione tra lo spirito laico e quello religioso,
tra la concezione dello Stato come 'assoluto' e la validità del sentimento
religioso 'particolare' come condizione inesauribile dello spirito
umano,dimostra la consapevolezza di Gentile nel ritenere i tempi non ancora
maturi per una rottura definitiva con il Cattolicesimo e finisce per dare
coloriture ancora più ambigue al suo pensiero:
<<l'autorità dello Stato - scrive nel 1927 - non viene a patti, non transige, non divide
il suo campo con altri princìpi
morali o religiosi, che possano interferire nella coscienza [...]. Di quì il
carattere squisitamente politico dei rapporti tra lo Stato fascista e la
Chiesa. Lo Stato fascista italiano [...] o non è religioso o è cattolico [...];
religioso non può non essere [...] e cattolici non si è se non vivendo nella
Chiesa e sotto la sua disciplina. Dunque necessità per lo Stato fascista di
riconoscere l'autorità religiosa della Chiesa; necessità politica,
riconoscimento politico ai fini
della realizzazione dello stesso Stato>>[27].
L'EPILOGO
L'attuazione concreta del Concordato poneva fine all'ideale gentiliano
della rifoma politico-religiosa della
società italiana e metteva di conseguenza lo stesso Gentile nella impossibilità
di realizzare, tramite il Fascismo, il suo progetto. Il 1929 segnava dunque,
per l'Attaulismo in generale, l'inizio di un declino ideologico che aveva tra le sue cause concrete
proprio la volontà del governo italiano di
ristabilire rapporti amichevoli
con la Chiesa; la critica all'Attualismo da parte della cultura cattolica, se
si eccettuano i primi anni di dittatura del Fascismo, nei quali vi era stato un
deciso appoggio alla politica di Gentile, diventa sempre più serrata man mano
che in Vaticano ci si rende conto della volontà di Mussolini di arrivare alla
Conciliazione.
D'altro canto, in una prospettiva più ampia, la crisi della filosofia
di Gentile se da una parte, con il passare degli anni, creava spazio per
l'intransigente ostilità dei cattolici verso la scuola di Stato, soprattutto
così come egli l'aveva concepita, dall'altra aprirà nuove possibilità per
quella corrente liberal-socialista della pedagogia, facente capo storicamente a
Gaetano Salvemini, la quale fin dai tempi del ministero Croce aveva
concretamente denunciato il pericolo della clericalizzazione della scuola[28].
Gentile dal canto suo si sforzò di mascherare in qualche modo, con
argomentazioni teoriche e con un estremo richiamo alla sua fiducia nel
Fascismo, una chiara sconfitta culturale e politica ad un tempo. Proprio nel
1929, rinnegando tutte le sue precedenti convinzioni, arrivò a celebrare il
riconoscimento del Regno d'Italia da parte del pontefice, e quindi il
Concordato, come <<l'ultimo sigillo
all'opera del Risorgimento e la definitiva instaurazione dei fondamenti morali
dello Stato italiano nella coscienza degli italiani>>[29].
Ma è nelle parole scritte due anni più tardi che, nonostante l'apparente
fermezza e perentorietà, egli lascia cogliere la consapevolezza della sua
sconfitta:
<<lo Stato ormai lo ha
detto con discorso e con i fatti [...] che esso si ritiene in diritto e dovere
di educare (e non soltanto di istruire); il che non vuole dire che lo Stato
educatore escluda la religione [...] ma rispetto ai suoi fini [...]
contenendola, la governa, pur rispettandone
il carattere e dentro la sua sfera riconoscendone l'autonomia [...]; perchè
esso è Stato etico e chi se ne
scandalizza [...] è fuori dalla coscienza dello Stato moderno>>[30].
Alla luce delle concessioni che i Patti Lateranensi avevano fatto alla
Chiesa cattolica e delle conseguenti trasformazioni nel sistema dell'istruzione
pubblica, le parole appena riportate, appaiono per lo meno ingenue per un
intellettuale e politico come Giovanni Gentile. In questo contesto e su
queste basi, le posizioni espresse in Genesi
e struttura della società (1943), l'opera considerata il suo testamento
intellettuale perchè scritta alla vigilia della suo assassinio e con il
naufragio dell'esperienza fascista di fronte agli occhi, appaiono al tempo
stesso come una dignitosa ri-affermazione delle proprie idee ed un tentativo,
tardivo ma sincero, di ritrovare una coerenza nel proprio pensiero teoretico:
<<Non c'è Stato che
ignori la religione del suo popolo [...]
- scrive Gentile - questa è la laicità superiore
dell'uomo (e dello Stato) che sà la religione elemento essenziale della propria
esistenza, e cura perciò il suo sviluppo, promuove il suo insegnamento [...].
Lo spirito laico (lo Stato laico) è
una favola>>[31].
E quando,dunque, nel febbario del 1943, durante l'intervento tenuto
nell'aula Magna dell'Università di Firenze, afferma << io sono cristiano.Sono cristiano perchè credo nella religione
dello spirito. Ma voglio subito aggiungere a scanso di equivoci io sono
cattolico>>[32],
Gentile sembra essersi riconciliato con Gentile.
* Il presente contributo è stato già pubblicato nella rivista
telematica Dialegestai; esso inoltre può essere utilmente messo in relazione
con un precedente articolo, a firma dello stesso autore, su G.Gentile:
la politica dell'educazione ed il <<Giornale critico della filosofia
italiana>> (1920-1936), in <<Scuola e Città>>,
n.8, 1996, pp. 7-16 e inserito anche, in una versione più elaborata, nel volume
di G. Spadafora (a cura di ), Giovanni Gentile. La pedagogia, la scuola.
Atti
del Convegno di pedagogia (Catania, 12-13-14 dicembre 1994) e altri studi,
Roma, Armando,1997, pp. 541-547. Per quanto riguarda gli studi più recenti
sulla figura di Gentile in generale, sono da tenere in considerazione, oltre a
diverse iniziative e convegni svoltisi nel 1994 in occasione del Cinquantenario
della morte del Filosofo, anche
contributi come quello di G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia,
Firenze, Giunti, 1995, G. Sasso, Le due Italie di Giovanni
Gentile, Bologna, Il Mulino, 1998
e dello stesso autore, La Potenza e l'Atto. Due saggi su G.Gentile,
Firenze, La Nuova Italia, 1998; Giovanni Gentile, in Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999, pp.196-212.
Si veda anche il I Convegno Internazionale di Studi su Giovanni Gentile e la pedagogia
come scienza filosofica, organizzato dall'ASSI, Roma, 1994 con
l'intervento di vari studiosi.
[1] G.
Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, in G. Gentile. Opere,
a cura della Fondazione G.Gentile , vol.I, Firenze, Sansoni,1954. Per comodità,
circa gli scritti di Gentile utilizzati in questo articolo, si rimanderà sempre
alla edizione generale delle Opere curata dalla Fondazione Gentile.
2 Al tema dell'educazione laica è stato dedicato
nell'ottobre del 1994, presso l'Università di L'Aquila, un convegno dal titolo Nuova
laicità, cultura pedagogica e educazione democratica, che ha visto la
partecipazione di studiosi di pedagogia di vario orientamento. Per quanto riguarda
la revisione concordataria del 1984 si veda, tra gli interventi di questo
convegno, quello di G. Cives,Il problema dell'insegnamento religioso, in <<Scuola
e città>>, n. 3, 1995, pp. 130-135 con una breve ma utile
bibliografia a riguardo. Cfr. inoltre G.M.Ferretti, Stato etico e Concordato
socialista. La dottrina di G.Gentile e i patti Stato-Chiesa del '29 e dell'84, Milano, Giuffrè,
1986. Ancora più di recente si può utilmente vedere il saggio di G. Spadafora, Gentile
e la scuola laica, in G. Cives, G. Bonetta (a cura di ), Laicità
ieri e domani. La questione educativa, Argo, Lecce, 1996, pp.173-203.
Segnaliamo inoltre I. Volpicelli,
Giovanni Gentile, in <<Cadmo>>, 1996, n.10-11,
pp.139-144.
[3] <<A proposito della dimensione spirituale e
laica dell'educazione, Croce e Gentile, ma più quest'ultimo, sono all'origine
di una serie di equivoci da cui la cultura pedagogica italiana non è ancora
riuscita ad uscire. Equivoci dovuti al fatto che i due Filosofi parlavano di
uno spiritualismo laico, ma nel medesimo tempo riconoscevano ed auspicavano una
formazione religiosa tradizionale fino all'adolescenza [...] >>. R.
Fornaca, La pedagogia filosofica del '900, Milano, Principato, 1989,
p.43. Si veda anche H. A. Cavallera, Giovanni Gentile: l'attualismo e la cultura
italiana del Novecento, in <<Nuova
Secondaria>>, 1996, n. 9, pp. 55-58 e dello stesso autore, La
parte e il tutto. L'immagine della pedagogia attualistica a fine Novecento, in
<<I problemi della pedagogia>>, 1992, nn.2-3, pp. 177-192.
[4] Si
vedano a questo proposito le posizioni di G. Bottai e A. Nasti, rispettivamente
sul numero del 1 aprile 1930 e su quello del 1 novembre 1931 di <<
Critica Fascista>>, entrambi a p. 404.
[6] Cfr
G. Carocci, Storia del fascismo,
Roma, Newton Compton, 1994, pp. 34-35
[7] Cfr. F. Pacelli, Diario
della Conciliazione, Città del Vaticano, Libreria edit. Vaticana, 1959
e Y. De Bagnac, Taccuini mussoliniani, Bologna, 1990.
[8] A
questa evoluzione contribuirono sicuramente una serie di pressanti campagne
condotte, attraverso diversi articoli, soprattutto dalla << Civiltà
cattolica>>, ma avallate anche, in qualche modo, dagli organi di
stampa del Fascismo. Cfr. L. Borghi, Educazione e autorità nell'Italia moderna,
Firenze, La Nuova Italia, 1951, pp. 258-259 e G.Canestri - G.Ricuperati, La
scuola in Italia dalla legge Casati ad oggi, Torino, Loescher, 1976. Si
veda anche <<Critica Fascista>>, 1 gennaio 1928, p.11.
[9] Cfr.
G.Canestri-G.Ricuperati, già cit, p.102
[10] Cfr.
G. Cives, L'educazione in Italia. Figure e problemi, Napoli, Liguori,
1984, pp.125-147
[11] T.
Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firenze, La Nuova
Italia, 1969, p.98. Cfr. anche a P. Genovesi, La riforma Gentile tra educazione
e politica. Le discussioni parlamentari, Ferrara, Corso,1996 e H.A.
Cavallera, Attualità di Giovanni Gentile, in <<I Problemi della Pedagogia>>,
1994, n.1, pp.1-7.
[12] R. Fornaca,
L'eredità pedagogica dell'idealismo, in G. Tassinari (a cura di), La
pedagogia italiana nel secondo dopoguerra, Firenze, Le Monnier, 1987,
p.22.
[13] Cfr.
D.Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ad oggi, Roma, Editori Riunuti,
1967, p.337. In questo senso non sembra
di poter condividere il riconoscimento a Gentile di una posizione coerentemente
intransigente sull'argomento; riconoscimento che emerge in più di qualche
biografia sul Filosofo. Ci riferiamo in particolare a S. Romano, G.Gentile.La
filosofia al potere, Milano, Bompiani, 1984, e G. Turi, già cit. Più equilibrata appare la
posizione di M. Di Lalla, Vita di G.Gentile, Firenze,
Sansoni, 1975.
[14] G.Gentile,
Educazione
e scuola laica, in G. Gentile.Opere, a cura di H.A. Cavallera, vol.XXXIX, Firenze, Le Lettere, 1988,
pp.75-76.
[15] << [...] Nel discorso pronunciato per l'inaugurazione dell'anno accademico
1920-1921, all'università di Roma, [...] il Pensatore spende alcune parole per
l'inquietudine dell'ora presente [...]. L'ansia del nuovo, che scuote le fibre
più riposte del Paese, non può non invetsire gli ordinamenti istituzionali di
ogni tipo [...]. Il sano conservatorismo liberale della borghesia italiana può
salvarsi solo con la fresca ebbrezza del nuovo. E' significativo che una tale
affermazione venga fatta in occasione di uno dei tanti interventi sulla scuola.
E' la dimostrazione dell'ormai ribadita identità tra il tema del rinnovamento
dell'istruzione in Italia e la esigenza di nuove prospettive politiche
generali, che diano consistenza a tale rinnovamento>>. Cfr. M. Di Lalla, op. cit.,
pp.304-305
[16] Gentile
usò questa espressione per la prima volta nel 1918 in una lettera aperta,
all'allora ministro della P.I. Berenini e pubblicata su <<Il
Resto del Carlino>>. Cfr. G.Quazza (a cura di), Scuola
e politica dall'Unità ad oggi, Torino, Stampatori, 1977,
pp.79-81. .
[17] << [...] Il cattolicesimo liberatosi dai modernisti, rinverdirà sul suo
tronco secolare>>. G.Gentile, Il modernismo
e i rapporti tra filosofia e religione, in G.Gentile.Opere,
già cit., vol.XXXV, p.75.
[18] G.Gentile, Guerra
e fede, in G:Gentile.Opere, a cura di H.A. Cavallera, già
cit., vol.XLIII, p.108.
[19] G. Gentile, Dopo
la vittoria, in G.Gentile. Opere, a cura di H.A. Cavallera,
già cit., vol.XLIV, pp.100-101. Da notare che proprio in questo contesto e in
questo periodo, Gentile modifica la sua posizione verso il modernismo,
auspicando l'incontro tra cattolicesimo democratico e liberalismo. Cfr. ancora
G.Gentile, Guerra e fede, già cit., pp.108-110.
[20] La definizione è di M. Di
Lalla, op. cit., pp.397-401.
[21] Ibidem, p.398. In
particolare Di Lalla scrive che << la
posizione di centralità della Riforma a direzione laica ha significato un
continuo equilibrio instabile, che era facile alterare e che Gentile spesso ha
alterato in una direzione o in
un'altra >>. Si veda anche H. A. Cavallera, L'organizzazione del sapere
ovvero la prassi come formazione in Giovanni Gentile,
in M. Gaeta (a cura di ), Giovanni Gentile. La filosofia, la politica,
l'organizzazione della cultura, Venezia, Marsilio, 1995, pp.92-117.
[22] G. Gentile, Discorsi
di religione, in G.Gentile.Opere, già cit., vol.XXXVII, p.30.
Per quanto riguarda la posizione di Bottai si veda <<Critica Fascista>>,
15 luglio 1931, p.145.
[23] G. Gentile, La
riforma della scuola in Italia, in G.Gentile.Opere, a cura di H.A. Cavallera, già cit., vol.XLI, p.174. Di parere
diverso, Gentile, era sembrato essere nel Sommario di pedagogia, dove aveva
scritto: <<quì non si tratta di
determinare se nella scuola ci debba essere un insegnamento religioso, ma
quale: e la lotta sorge sempre contro forme determinate di religione, le quali
sono viceversa forme essenziali per lo spirito dei loro adepti. Di guisa che
resta a ciacsuno di pigliare partito secondo la propria coscienza e di combattere socialmente per la propria fede>>.
Si veda G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica,
già cit., vol.II, pp. 192-193.
[24] E. Garin, Cronache
di filosofia italiana (1900-1943), con appendice quindici anni dopo (1945-1960), Bari, Laterza, 1966, p.498. Dal punto
di vista dei rapporti tra fascismo e politica culturale di Gentile va segnalato
anche il recente contributo di M.
Durst, Gentile e la filosofia delll'Enciclopedia italiana, Pellicani,
1998.
[25] G. Gentile Politica e cultura, in G.Gentile.Opere, a cura di H.A. Cavallera, già
cit., vol.XLV, pp. 252-253.
[26] Ibidem, p. 432.
[27] Ibidem, p.408. Circa la
concordanza di vedute tra Gentile e Mussolini sull'identità di fascismo e
cattolicesimo cfr. T. Tomasi, op. cit., pp. 94-95.
[28] Su
questo punto cfr. L. Borghi, op. cit., pp.197-215, insieme a G. Tognon. Benedetto Croce alla Minerva,
Brescia, La scuola
[29] G. Gentile, Dopo la vittoria, già cit., p.138.
[30] G. Gentile, Politica e cultura, già
cit., p.456.
31 G. Gentile, Genesi e struttura della
società, in G.Gentile, Opere,
vol.IX, già cit., p.88. In questo senso ci sembra giusto osservare, come è
stato già fatto, che <<l'attributo laico è paradossale se applicato
ad una entità che si autoproclama 'etica'. Uno Stato etico non può essere
laico, poichè uno Stato etico è implicitamente totalitario, e il totum dei
contenuti del complesso socio-economico-culturale è [...] religioso: nulla può
ammettersi e nulla può accadere fuori di esso>>. G.M. Ferretti, Stato etico e Dio laico. La dottrina di G. Gentile e la politica
fascista di conciliazione con la Chiesa, Milano, Giuffrè, 1983, p.241.