Roma, 27 ottobre 1997
Per Luca
Lombardi
Gentile Amico,
come ho già avuto modo di dirLe per telefono, non mi riesce di essere presente al convegno in memoria di Franco
Lombardi in occasione dei dieci anni dalla scomparsa. Mi trovo infatti a
Catanzaro per improrogabili impegni di lavoro. Me ne dispiace, perché avrei
certo ascoltato con sincero interesse e viva partecipazione gli interventi dei
convenuti; ed io stesso, se fosse stato possibile, avrei voluto aderire con un sia pur minimo contributo di studio.
Mi permetta quindi di riassumere per Lei i termini della mia testimonianza: da quando, nell’anno accademico 1962-‘63, essendomi iscritto a Roma come studente di Lettere classiche, e passato poi a Filosofia, scelsi di seguire e di biennalizzare il Corso di Filosofia morale con il Professor Lombardi (Assistenti, Gaetano Calabrò, Augusto Guerra, Angelo G. Sabatini). Tra i miei compagni di corso, numerosissimi, rammento benissimo, tra gli altri, Marco M. Olivetti, Gianfranco Rubino, Raffaele Simone, Gianni Statera, Benedetto Vertecchi, Anna Maria Ioppolo, Nadia Boccara, Paolo Flores d’Arcais, Giancarlo Bergami, Simonettas Lux…
Di Lombardi, in particolare, leggevamo per l’esame Dopo
lo storicismo (del 1955) e Il
concetto della libertà (la seconda edizione, dello stesso 1955): e quanto a
me, con l’aiuto di Calabrò e Guerra che svolgevano appositi seminari, vi affiancavo lo Hegel della Filosofia del diritto, il Croce della Filosofia della pratica, il Sartre della Critica
della ragion dialettica e,
puntualmente, l’Antonio Labriola cosiddetto “herbartiano” dei saggi sulla
morale e sull’insegnamento della storia. (Un Labriola, tra parentesi, di cui
contemporaneamente, in chiave pedagogica, si occupava istituzionalmente
Francesco Golzio per l’esame di Pedagogia
con Aldo Visalberghi). Ed era pur
sempre Labriola, l’autore a cui
Lombardi, nelle sue lezioni, non perdeva occasione di fare riferimento: e non
solo in rapporto a Hegel, Feurbach e Marx, ma anche a Croce («Questo Benedetto
uomo che è stata la mia Croce», egli ripeteva ironicamente ed
autoironicamente la battuta
labrioliana), e nondimeno in relazione a se stesso, alla sua prima primissima
formazione filosofica a Napoli, al concetto di “esperienza” e di
“coscienza”, e ai suoi debiti
pedagogici con Antonio Renda: «C’è
sempre un professore di filosofia nella vita di un altro professore di
filosofia» – ci disse una volta
Lombardi a lezione, parlandoci
di sé ma per dirci di noi.
Aveva tuttavia chiarito il senso di quell’asserzione un paio d’anni
prima, per scripta: e lo aveva fatto,
non a caso, in un testo che già nel
titolo, Discorrendo di filosofia e
sociologia, richiamava in causa assieme a Hegel, Feuerbach, Bergson,
Weber, ancora Labriola (il «più moderno, e, vorrei dire, più razionale e più
latino, Antonio Labriola»). E ne spiegava il perché: «Devo confessare che il
mio primo filosofare è mosso, nei lontani anni non so più se già della quinta
ginnasiale o del liceo, dal mio sforzo di intendere in quale modo mai si
ritrovasse ad essere, a posteriori, necessario e predominante quel ‘filo rosso’
del fattore economico, di Engels, che tuttavia nella processualità stessa della
storia non sarebbe determinante». E subito dopo, a proposito di Renda, la
rivelazione (diresti) della la sua
propria via al Labriola: «I quinterni che mi forniva il mio professore
di filosofia del liceo (la cara e buona immagine paterna di Antonio Renda, che
passò di lì all’Università di Palermo) dovevano appartenere a un volume di
Masci, e da Masci o da Renda quei concetti risalivano alla critica
contingentistica del concetto di causa». E dunque: «Potrei dire che tutto il
mio filosofare successivo abbia ruotato in un certo senso intorno a quel
problema. E direi esatto, se aggiungessi che, passando dalla mia prima
educazione marxistico-positivistico-sociologica [leggi anche labrioliana],
per le esperienze di un romanzo che qui non dico, alla filosofia di Croce prima
e quindi a quella di Gentile, l'incentramento della considerazione filosofica
nel soggetto che queste dottrine avanzavano o di cui comunque fornivano la suggestion mi valse a riconquistare di
primo acchito il punto di Archimede della filosofia, di q u e s t o
individuo, fatto di carne e sangue, ch’io sono, in quanto mi faccio
centro e soggetto in una situazione della società e del mondo che tutta
inerisce in ogni mio atto insieme condizionato e libero» (F. Lombardi, Discorrendo di filosofia e di sociologia e
di altre poche cose, un testo del 1961, pubblicato come relazione negli
“Atti” del XIX Congresso della S.F.I., e ora
nel vol. I di id., Filosofia e
società, Firenze, Sansoni, 1975/2 ediz., pp. 128-29).
«C’è sempre un professore di filosofia nella vita di un professore di
filosofia»… Né la generalizzazione, dal mio personale punto d’ascolto, cadeva nel vuoto. Il Liceo napoletano di
Lombardi mi induceva se mai a ripensare al
mio Liceo catanzarese, come al luogo di una complice iniziazione
metodologica; mi faceva ricordare tutte insieme, e giudicare come un privilegio
ulteriormente ed autorevolmente
condiviso, le peripatetiche conversazioni
catanzaresi sul Corso Mazzini o
alla Villa comunale con il mio stesso insegnante liceale di filosofia, Giovanni
Mastroianni; e mi impegnava a considerare come un’ineguagliabile, propiziatoria
propedeutica, proprio il fatto che le posizioni filosofiche del Professor
Lombardi io le avessi almeno intraviste
già a Catanzaro, compulsando le Cronache di filosofia italiane di
Eugenio Garin (seconda edizione, 1959). Quel Garin che, in un certo senso, mi
aveva quasi preventivamente orientato verso le successive modalità d’ascolto
delle lezioni romane di Filosofia morale. Giacché egli aveva scritto, e io letto: «Fu appunto merito di Franco
Lombardi l’avere proposto alla cultura italiana, fra il ’35 e il ’36, Feurebach
e Kierkegaard insieme uniti, in una presentazione non soltanto viva e fedele,
ma consapevole del loro significato storico e della loro validità attuale».
E continuava: «Non a caso il
Lombardi, fino dal ’32, aveva accusato di falsità il dilemma “gnoseologico”
idealismo-realismo, e tutti i più o meno dilettosi giuochi di soggetto-oggetto,
negando in pari tempo la consistenza, in quei termini, del contrasto
idealismo-realismo. E proprio nel rifiuto, esatto, di quella alternativa, era
andato ritrovando una convergenza di filosofia e scienza, rivendicando “la ‘realtà obbiettiva (in senso proprio e
reale)’, e quindi la validità di una ‘investigazione scientifica’ della realtà oggettiva del mondo”. Di lì a
poco l’accentuazione del suo “umanismo” si faceva precisa: “il mondo, nel quale ci avanziamo, è un mondo di uomini vivi: a essi si rivolge la nostra
passione e il nostro affetto; a essi, sia anche per combatterli, noi ci
rivolgiamo, per trarne forza al nostro vivere. Altra e più alta ricchezza non
si dà al mondo. E una filosofia che renda umana e ferma coscienza di esso,
assolve già per questo al proprio compito"» (E. Garin, Cronache della filosofia italiana
(1900-1943), Bari, Laterza, 1959/2 ediz., pp. 517-18).
Trasferitomi, come ho detto, da
Lettere classiche a Filosofia, per varie ragioni d’ordine personale e
familiare, nel ’66 ritornai in
Calabria; sicché finii con il laurearmi nell’Università di Messina (su
Labriola) e con il perfezionarmi a Firenze (con Garin); ma non smisi di
mantenere buoni rapporti con Roma: e proprio
Lombardi per il tramite di Guerra, oltre che lo stesso Garin e ad Ugo
Spirito, garantì per me, dopo il
perfezionamento, ai fini di una borsa di studio del Ministero degli affari
esteri per la Germania dell’Ovest. Borsa di studio che ottenni per un semestre,
ma che mi fu tolta (perché comunista).
Ebbi poi l’opportunità di riprendere variamente i contatti col Professore: e ne
riuscì, tra l’altro, un libro sul Labriola
moderato (cui devo il passaggio ad ordinario); e rinnovate ragioni di
dialogo (per telefono, per lettera, in visita a Roma, a Marino). Fino agli
auguri suoi, affettuosissimi, per la mia
chiamata a Roma/”La Sapienza”. Fino a quella dedica su Una svolta di civiltà (1981): «A Nicola
Siciliani Professore (non idraulico)
perché legga, e critichi», e su cui non ho smesso autopedagogicamente di
riflettere. E ciò, sia facendogli visita a più riprese a Marino (l’ultima volta l’’87), per informarlo dei miei studi e della mia
attività di insegnante; sia dopo, a
quattro anni dalla morte, leggendo con
la necessaria attenzione, un libro come L’esperienza
e l’uomo nel pensiero di Franco Lombardi, a cura dell’ Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, Napoli, L’Officina Tipografica, 1993.
Ancor oggi, del resto,
ragionando con colleghi e studenti
della p ossibilità di produrre
ulteriori ricerche, nuove, sulla personalità e l’opera dell’illustre uomo,
risulta evidente che le strade da seguire possono essere le più diverse… Una
tesi di laurea o di dottorato, per esempio, a partire dalle tre edizioni 1948,
1962 e 1963, 1971 del volume dello stesso Lombardi, Senso della pedagogia ed altri scritti di filosofia dell’educazione e
di morale; ma che tenga opportunamente conto – s’intende – di tutta quanta
una formazione, e della genesi, degli
esiti obiettivi, e della ricezione
critica di essa.
Mi creda, con vive cordialità ed auguri di buon lavoro,
Il Suo Nicola Siciliani
de Cumis