Nicola Siciliani de Cumis
Per Maria Corda Costa
Tra le varie considerazioni che su Maria Corda Costa sono state fatte dai colleghi, amici ed allievi che, da ottiche diverse, ne hanno discorso nell’Università romana “La Sapienza” in occasione della morte avvenuta a Roma il 18 dicembre 2001, non è mancata la segnalazione di un aspetto che potrà servire a fare maggiore chiarezza, quando si volesse riflettere con più agio sulla personalità scientifica e sulle qualità culturali e morali dell’illustre pedagogista scomparsa. Personalità complessa di docente e di ricercatrice, “multilaterale”, interdisciplinare, curiosa del mondo e pronta ad intervenire nel mondo, tra mediazioni euristiche, competenze organizzative e finalità educative peculiari.
Si vuol dire cioè, in particolare, delle dimensioni internazionali di un agire tecnico ed etico-politico, che risultano soprattutto con evidenza dal Ricordo di Maria Corda Costa di Aldo Visalberghi e riproposto qui di seguito. Ma occorrerà pur entrare nel merito dell’I care che, con naturalezza, la Corda Costa riponeva nella ricerca di una sorta di “altrove” pedagogico e dunque dell’uso formativo e didattico, in senso planetario, del suo stesso punto di vista: e ciò, nonostante la consapevolezza dei limiti necessari di qualsiasi esperienza educativa per così dire localizzata e “in situazione”, che intenda aprirsi ad una prospettiva storica e geografica ulteriore, tendenzialmente dimensionata secondo attinenze e potenzialità spazio-temporali non predeterminate e davvero interculturali. Di qui, assieme alle altre, una delle ragioni di fondo dell’esemplare, semisecolare sodalizio scientifico della Corda Costa con Visalberghi: e, dunque, un motivo di più per rendere ulteriormente condivisa e socialmente esplicita l’idea stessa del proprio, conseguente “sperimentalismo”.
In un quadro siffatto,
- e senza volere con questo
prevaricare unilateralmente sul significato complessivo della proposta politico-culturale d’insieme della
Corda Costa, né sottrarsi al vaglio di analisi storico-critiche e comparative
più penetranti e caratterizzanti -, possono comunque risultare fin d’ora
chiarificatrici alcune notazioni di dettaglio sugli orientamenti della
pedagogista nei confronti di ciò che di metodologicamente stimolante può avere
attinto, per esempio, dalla Russia e dai paesi dell’ex URSS, rendendone a suo
modo testimonianza. Lei che (tanto per dirne una) aveva messo pedagogicamente
(e polemicamente) in bella mostra nel
suo studio di Villa Mirafiori un manifesto d’epoca brežneviana, con l’immagine
di un vecchio afgano “senza storia” e tuttavia umanamente segnato dall’urgenza
di un riscatto storico millenario. Lei che, con molte riserve sugli
svolgimenti, e senza dubbio scontenta degli esiti, aveva tuttavia salutato con
speranza la perestrojka e la glasnost’ gorbačëviane; e che,
di fronte alle guerre recenti nell’ex Jugoslavia, ripensando al passato,
recriminava senza mezzi termini contro lo storico, esiziale “riconoscimento”
papalino della Croazia. Ma c’è anche dell’altro.
Per quanto sommariamente e alla rinfusa, vengono difatti in mente una quantità di altre circostanze che, se messe ora le une accanto alle altre, tendono in qualche modo ad acquistare un loro significato unitario: a cominciare, per esempio, da quella visita di studio degli anni Sessanta in URSS, con la delegazione di pedagogisti e uomini di scuola, della quale si riferisce più sotto. Un viaggio di cui la Corda Costa, facendone talvolta menzione, rievocava volentieri luci ed ombre, e particolari anche minimi. Il che accadeva per esempio (e non era raro che accadesse nella vita di tutti i giorni), quando la Professoressa provava interesse per qualcosa di nuovo d’argomento russo, sovietico o ex sovietico; o quando si soffermava a discorrere di autori, opere e ricerche non solo pedagogiche, concernenti l’Est europeo (per esempio con chi scrive e con gli altri frequentatori del «Salotto francese», come lei amava definire il gruppetto di amici e collaboratori riuniti attorno alla scrivania che dava sulla porta sempre aperta della stanza di fronte alla sua). Oppure quando, come redattore o condirettore di riviste e di collane, le capitava variamente di leggere e commentare libri e traduzioni, saggi e recensioni di testi riferibili alle culture slave. Ovvero quando, specialmente nell’ultimo decennio, nei cicli seminariali del Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale della “Sapienza”, aveva a che fare con studiosi della scuola e della pedagogia russe, da Vitalij V. Rubzov a Vasilij V. Davydov, da Andrei V. Brunšlinskij a Nikolaj D. Nijkandrov, a Jurij S. Lazarev, Lucia V. Bertsfaj Davydova, ecc. (ed è successo perfino che, per semplificare rimborsi e pagamenti ai colleghi russi, la Corda Costa anticipasse di persona le somme necessarie).
Ma c’era anche stato, ancora prima, il capitolo dei rapporti tra la Corda Costa (e più in generale la scuola di Visalberghi) con l’opera di Lev S. Vygotskij e Anton S. Makarenko. Quanto a Vygotskij, si è trattato in realtà di relazioni dirette ed indirette, al singolare e/o a più voci: relazioni nelle quali, in Italia, la stessa Corda Costa si era lasciata apertamente coinvolgere. Basti pensare alle suggestioni vygotskijane, che le potevano venire dall’amicizia personale e dalla collaborazione scientifica con Lydia Tornatore, autrice di libri e saggi significativi su Vygotskij apparsi su “Scuola e Città”, “la ricerca”, ecc., quindi raccolti in volumi. Né in questo stesso ordine di idee sono da trascurare le esperienze di direzione di collane editoriali, anzitutto nei tipi della Nuova Italia e del Loescher (in collaborazione con Visalberghi o meno); le consulenze prestate agli stessi e ad altri editori (Laterza, Giunti, Editori Riuniti, ecc.), e quelle richieste di volta in volta, a seconda delle esigenze, a colleghi ed amici slavisti.
E c’è da aggiungere la presenza della Corda Costa in attività universitarie a vario titolo vygotskijane: così, per esempio, nel lavoro universitario dello psicologo clinico Renato Lazzari, di cui la Corda Costa aveva fatto da correlatrice nella discussione di alcune tesi di laurea (Vito Ferrara, L. S. Vygotskij e la psicologia sovietica, 1972-73; Fabrizio Gaetani, I. P. Pavlov e la psicologia sovietica); ancora per esempio, nel percorso accademico di Maria Serena Veggetti, nota specialista di Vygotskij, della quale proprio la Corda Costa, assieme a Visalberghi, ha sempre apprezzato e sollecitato le competenze di Psicologia dell’età evolutiva e dello sviluppo, per significative ed innovative collaborazioni scientifiche e didattiche: ciò di cui resta traccia su “Scuola e Città” e “la ricerca”; in opere di carattere antologico ed enciclopedico; nel Corso di laurea in filosofia, quindi in quello di Scienze dell’educazione e della formazione; nel Dottorato di ricerca in pedagogia sperimentale; negli studi di alcuni allievi e collaboratori (di Vera Marzi, per es., in chiave vygotskijano-davydoviana), ecc.
Quanto a Makarenko, basta rinviare alla voce Pedagogia, redatta per l’appunto dalla Corda Costa per l’Enciclopedia del Novecento, e a ciò che se ne sintetizza nel volume L’università, la didattica, la ricerca. Primi studi in onore di Maria Corda Costa, a cura di N. Siciliani de Cumis, Caltanissetta-Roma, 2001, pp. 27-28: giacché in Makarenko - scrive la Corda Costa - «permangono elementi assai vicini all’attivismo deweyano, inquadrati però in una prospettiva di formazione del cittadino sovietico che conserva lo slancio della tensione rivoluzionaria del 1917, e con una sensibilità ‘umanistica’ radicata nell’esperienza dell’educatore coinvolto profondamente nella sua attività, piuttosto che in tradizioni culturali o in elaborazioni filosofiche. Makarenko avvertì quanto di astratto e riduttivo c’era nello scientismo ‘pedologico’ della pedagogia sperimentale precedente, e contro questa riaffermò l’impossibilità di prescindere dall’esperienza in qualsiasi valida teorizzazione […]. Tuttavia Makarenko ipotizzava che col tempo la partecipazione della psicologia e della biologia al lavoro educativo sarebbe aumentata, anche se le mete sociali e politiche avrebbero continuato a fornire guida e finalità a tale lavoro».
E d’altra parte, tracce di una specifica attenzione per la cultura dell’Est europeo si trovano a più livelli della formazione personale ed accademica della Corda Costa: nei suoi scritti, nelle collane editoriali, nelle riviste, nelle tesi di laurea e di dottorato da lei dirette, negli acquisti di libri per la Biblioteca del Seminario di scienze dell’educazione e per la Biblioteca di Filosofia (in tema di pedagogia e psicologia, di didattica delle lingue, di insegnamenti e apprendimenti della storia e dell’educazione civica, di nuovi orizzonti dell’istruzione superiore, di profitto scolastico nel mondo, ecc.). E a questo proposito poteva pur succedere che, quando meno te l’aspettassi, la Corda Costa ti facesse dono di un libro in lingua russa, della sua biblioteca personale, di cui lei avesse ritenuto “più giusto” separarsi “per competenza”… Ed è per l’appunto dalla biblioteca di casa propria, lasciata in eredità alla Biblioteca di Filosofia della “Sapienza”, che se la si esaminasse nelle sue componenti bibliografiche ed archivistiche, potrebbero risultare tipi di letture, curiosità intellettuali, motivazioni di studio e dunque i limiti di una spinta culturale nel senso qui delineato. (Ed ovviamente non solo in tal senso).
Era tuttavia dalle conversazioni quotidiane occasionali, e dall’atteggiamento pedagogico che ne derivava, che traspariva forse meglio il senso di un interesse e di una propensione a coinvolgere nelle proprie tematiche “russe”, chi si fosse dimostrato eventualmente a ciò disponibile. Le capitava, per esempio, di citare in positivo l’Ivan S. Turgenev di Padri e figli, perché “occidentalista” ed al tempo stesso interprete fedele dei problemi e dell’anima della terra russa: e, ascoltandola in proposito, riflettevi che davvero non potesse non intrigarla il “nichilista” Bazarov, antiautoritario e scettico, vivo e vitale, antitradizionalista, ribelle agli schemi e desideroso di progresso, pronto tuttavia a pagare fino in fondo le conseguenze delle sue scelte anticonformiste. Succedeva d’altra parte che, discorrendo di rivoluzioni politiche e sociali, la Corda Costa additasse come esemplare la figura del Pëtr A. Kropotkin delle Memorie di un rivoluzionario: e allora ti veniva in mente che la ragione di ciò dovesse stare, forse, nell’inquietudine morale dell’uomo Kropotkin, nel suo andirivieni interculturale tra Russia e Europa, nella sua cultura interdisciplinare, nella sua propensione verso la geografia e la geologia, nella sua avversione politica verso ogni costrizione esercitata dal potere e nella sua inclinazione in qualche modo pedagogica, invece, verso gli istinti sociali che, sviluppandosi liberamente, possono con l’andar del tempo determinare la vita dell’umanità.
Lo stesso valeva per la preferenza della Corda Costa accordata
a Lev D. Trockij, rispetto agli altri leader
dell’Ottobre. Perché proprio Trockij? Anche in questo caso, probabilmente,
per quel suo “internazionalismo” aperto all’Europa; per quella sua idea della
“rivoluzione permanente” come processo locale e mondiale, ininterrotto e
continuo; per quell’ambivalenza della
letteratura, che avrebbe dovuto destreggiarsi
pedagogicamente tra difesa del
“vecchio” ed acquisizione sperimentale
del “nuovo”. C’era però anche dell’altro: ed era l’attenzione che Trockij riponeva sull’importanza, nella storia,
del “biologico”, delle “forze più recondite dell’organismo”, come infrazione
della routine (psichica, culturale, ideologica, ecc.); e l’attenzione,
anche, ai “condizionamenti sociali”, tanto più
importanti se concernenti l’infanzia: «L’infanzia è considerata come
l’età più felice della vita. Ma è sempre così? No, solo pochi hanno un’infanzia
felice. L’idealizzazione dell’infanzia trae origine dalla vecchia letteratura
dei privilegiati. Un’infanzia sicura, agiata e senza nubi vissuta in una casa
di gente colta e benestante, un’infanzia accompagnata dagli affetti e dai
giochi, rimane nella memoria come un prato pieno di sole all’inizio del cammino
della vita. I signori della letteratura o i plebei che glorificano i signori, hanno canonizzato una visione
squisitamente aristocratica dell’infanzia. Ma la maggioranza degli uomini, se
si volgono indietro, vedono, al contrario, un’infanzia di tenebre, di fame e di
sottomissione. La vita colpisce i deboli; e chi è più debole di un bambino?»
(L. Trotskij, La mia vita. Traduzione e Introduzione di Livio Maitan,
Milano, Mondadori, 1976/I edizione Oscar Mondadori, p. 45).
E, cambiando quel che c’è da cambiare, erano le stesse
domande che, nelle sue ricerche sulla scuola ed il condizionamento sociale, da
almeno un quarantennio la Corda Costa
aveva cominciato con il rivolgere a se stessa, e agli altri, cercando di rispondervi con la sua propria azione pedagogica e “sperimentale”.
Domande sull’infanzia socialmente condizionata che, nelle loro conseguenze
individuali e generazionali a tutto campo, in Italia e nel mondo, fanno
nuovamente rammentare le cose ascoltate e dette il 21 dicembre 2001
nell’Università di Roma “La Sapienza”, a Villa Mirafiori, mentre si era lì ad accompagnare Maria Corda
Costa all’estrema dimora. Le cose
ascoltate e dette in particolare da coloro che, nel corso degli anni, le sono
stati a vario titolo quotidianamente più vicini; e che invitano ora a ricordare con vero rimpianto,
ed al tempo stesso con gratitudine, il suo Magistero.
Compreso quello, di Magistero, che si esercitava in modo
intermittente ma ricorrente negli incontri meridiani col “Salotto francese” (di cui s’è sopra accennato), poi ribattezzato col suo assenso “Salotto di
Lotman”, proprio in omaggio ad una pagina chiarificatrice del celebre semiologo
e culturologo russo, sul “salotto di Zinaida Volkonskaja”, e di cui la
Professoressa, incuriosita e divertita, un giorno volle essere messa a parte: «Un’altra atmosfera
regnava nel salotto di Zinaida Volkonskaja che fiorì a Mosca alla metà degli
anni venti [dell’Ottocento]. Nata nella famiglia del principe
Belosel’skij-Belozerskij, famoso per la sua frivolezza e il dilettantismo
letterario, ricevuta sin dall’infanzia l’istruzione più raffinata (parlava e
scriveva in cinque lingue), la ricca e spensierata principessa Volkonskaja
univa lo stile dei salotti europei a una lieve sfumatura di bohème e a una
manifesta indipendenza politica […]. In realtà
il salotto della principessa non aveva un carattere politico, ma era
un’isola dove si creava un’artificiale atmosfera di culto del bello e
inaspettatamente acquistava, sullo sfondo del regime di Nicola, un carattere
niente affatto neutrale […]. La festa organizzata da Zinaida Volkonskaja per la
cognata [Marija Volkonskaja, che si preparava a partire per la Siberia per
seguire il marito deportato ai lavori forzati], non era segno di simpatia
politica per i decabristi. Essa dimostrava altro: l’indipendenza dell’arte dal
potere, ma nella situazione allora esistente l’apoliticità si trasformava in
posizione politica» (Jurij M. Lotman, La cultura e l’esplosione.
Prevedibilità e imprevedibilità, Milano, Feltrinelli, 1993, pp.
126-27).
Ciò che segue ripropone una scelta significativa degli interventi pronunziati in memoria di
Maria Corda Costa, nel giorno delle esequie nell’Università “La Sapienza”
(Villa Mirafiori, 21 dicembre 2001): di Marco Maria Olivetti, Preside della
Facoltà di Filosofia; di Pietro Lucisano, Presidente del Corso di Laurea in
Scienze dell’educazione e della formazione (a nome dei “suoi allievi”); e di
chi scrive. Vi si aggiungono una testimonianza di Maria Serena Veggetti e
l’intervento di Aldo Visalberghi (qui riproposto in versione integrata, e
pubblicato anche su “L’eco della Scuola nuova” e su “Buddismo”). Degli altri
che hanno preso la parola, si vogliono ricordare Giunio Luzzatto e Sergio La
riccia.
Seguono infine due
testi della stessa Corda Costa su tematiche scolastiche sovietiche, che
confermano l’attenzione da lei riservata all’area culturale e pedagogica
dell’Est europeo, fornendo quindi una maggiore oggettività al “ricordo” ora
redatto “Slavia”. In particolare, quindi, si tratta di una
recensione a Z. I. Kalmikova, Methods
of Scientific Research in the Psychology of Education, in “Soviet
Education” (aprile 1966, vol. VII, n. 6, IASP, New York), comparsa su “la ricerca” del 15 marzo 1967,
pp. 14-15; e del testo di ciò che Maria
Corda Costa sostenne, nel corso della “Tavola rotonda” con Aldo Visalberghi,
Adriano Seroni, Tullia Carrettoni,
Gabriele Giannantoni, Francesco Zappa, Renato Borelli, organizzata dalla
redazione di “Rinascita” (“Il
Contemporaneo”), ed apparsa con il titolo La scuola più avanzata del
mondo sul n. 42, 27 ottobre 1967, della rivista. La “Tavola rotonda”
intendeva fare un bilancio del viaggio che una delegazione di pedagogisti e
uomini di scuola italiani aveva compiuto nel settembre precedente in URSS, per
studiarne le condizioni scolastiche e degli studi di pedagogia. A Mosca la
delegazione aveva avuto colloqui col ministro dell’Istruzione, con la presidenza dell’Accademia di scienze
pedagogiche, ed aveva visitato varie scuole di ogni ordine e l’Istituto di
pedagogia “Lenin”. Analoghe visite aveva compiuto a Leningrado; mentre in
Kirghisia aveva potuto studiare sia le istituzioni statali e universitarie, sia
la direzione della politica scolastica, sia infine le scuole kolkosiane e
quelle professionali.
Ecco pertanto, nell’ordine su indicato:
1. La grande cultura di Maria Corda Costa
In ricordo di Maria Corda Costa
M.Serena Veggetti
Nel
contesto culturale variegato e
sfaccettato della Facoltà di Lettere regolata dal vecchio ordinamento,
Maria Corda Costa ebbe chiara fin dal suo arrivo a Roma ( e forse anche nelle sedi accademiche precedenti, delle
quali non posso ,tuttavia, compiere affermazioni basate su conoscenza diretta)
l'esigenza di fondare tutti i curricoli professionali per lo più mirati alla
formazione di insegnanti delle varie
discipline dell'area umanistica, lingue e letterature straniere, lingue
classiche, italiano e storia,filosofia
ecc. e alla preparazione di altre figure del lavoro intellettuale, come
archeologi, giornalisti, interpreti, musicologi, storici dell'arte, su una
comprensione intelligente e concreta
dell'allievo, quale avrebbe potuto risultare dalla conoscenza della psicologia
dello sviluppo e più generalmente dalla psicologia, generale e sociale.
Da questa
sua profonda convinzione si è generata la nostra collaborazione in tutti questi anni , ma sarebbe più esatto
affermare decenni.
E' stata
sostenuta da lei la opportunità della presenza di insegnamenti psicologici
presso la nostra Facoltà di Lettere,
dopo che , per lunghi anni ,avevano taciuto completamente.
Tuttavia
non sarebbe completo considerare l'interesse di Maria Corda Costa per la
psicologia senza ricordare nello stesso momento che
per lei , come per Vygotskij
- uno psicologo che, non a
caso, aveva attratto la sua attenzione
fin dal primo diffondersi nel mondo scientifico-culturale occidentale delle
sue opere - non era sufficiente mettere insieme una qualsiasi preparazione con la
psicologia, perchè bisognava porsi anche il problema di quale psicologia mettere insieme.
Questo ci
porta alla sua vivace attenzione per l'insieme degli aspetti istituzionali e storico/sociali che condizionano il lavoro psicopedagogico , che ha sempre
caratterizzato l'impegno di M. Corda Costa
in ambito scientifico e che la pone in sintonia con l'intera metodologia vygotskijana.
La
conoscenza in primo luogo, il rispetto e la tutela poi, della storia e della cultura generate dai valori
della vita e del confronto democratico
tra espressioni socio-culturali diverse
hanno costituito l'humus della sua ispirazione e creatività scientifica.
Questo
spiega perchè M. Corda Costa sia stata animatrice e strenua sostenitrice della
collocazione universitaria del
curricolo formativo per gli assistenti ed operatori sociali fin dalla prima delineazione di queste figure
professionali, emergente, nel dopoguerra, ad opera di un gruppo di intellettuali che
affiancarono Guido Calogero nella fondazione del CEPAS , di cui in un secondo momento, ma per vari anni
,fu Direttrice, presso l'Università di
Roma. La collaborazione al
CEPAS , per gli insegnamenti delle discipline psicologiche e poi per la
direzione della scuola, successivamente trasformatasi in un corso di Diploma
universitario D.U.S.S. , mi ha
coinvolto personalmente, per suo espresso desiderio, fin dal momento in cui rientrai a Roma dalla sede accademica
dell'Università di Siena, essendo unite
dalla comune consapevolezza del
difficile obiettivo formativo da
raggiungere: evitare ad un tempo sia
tecnicismo che assistenzialismo.
Con lei scompare,
dunque, una figura positiva per gli ideali
di un impegno scientifico ,
libero da condizionamenti politici e
confessionali nello spessore
sociale e istituzionale. Non ci resta
che auspicare di seguirne
l'esempio.
2. Quel 1963, oggi
E’
stato anche per me inevitabile che il dispiacere, il dolore, per la perdita
improvvisa di Maria Corda Costa si mescolasse con altrettanto improvvisi
recuperi di memoria.
Mi è ritornata subito in mente la Corda Costa di una quarantina d’anni fa, che in quest’Università coordinava con entusiasmo, trasmettendo entusiasmo, le ricerche di molte decine di studenti di pedagogia (me compreso), nelle scuole di alcune borgate romane; la Corda Costa che guidava le matricole a preparare questionari, a svolgere relazioni tecniche, a scrivere recensioni di libri per “Scuola e Città”, “Riforma della scuola”, “I Problemi della Pedagogia”; la Corda Costa che collaborava alla costruzione di significativi rapporti interdisciplinari e intercattedra, e tra università e università, università e scuola, università e società civile; la Corda Costa che, per questa strada, da un lato andava producendo le sue proprie sperimentazioni didattiche, da un altro lato veniva affidando agli studenti-studiosi in erba il compito di produrre essi stessi le loro prime indagini scientifiche, individuali e di gruppo.
Una Corda Costa, insomma, che fin dal suo primo anno di
attività universitaria qui a Roma (in quel 1963) si era impegnata in prima
persona nell’elaborazione di un nesso organico, forte, tra didattica e ricerca.
Un nesso che non escludeva tensioni e contraddizioni, ma che tendeva
dialetticamente a risolversi nelle dimensioni del buon senso. Senza nulla
perdere in trasparenza di idee, capacità critica, franchezza verbale.
Per questo, della Maria Corda Costa trentenne mi piace
ricordare ciò di cui Lei rendeva esemplare testimonianza: il suo volontariato
educativo, l’aver cura degli altri, e, ciononostante, la consapevolezza della
sproporzione tra l’essere ed il dover essere della pedagogia; il suo solido
rapporto d’amore per i libri, ed insieme il suo disamore per il libresco; il
suo bisogno intellettuale e morale di mettere alla prova dell’esperienza
qualsiasi certezza, e tuttavia la necessità di estendere senza limiti il campo
della sperimentazione scientifica; il suo sogno di far vivere le regole della
democrazia nelle istanze civili più elementari, ed al tempo stesso il dubbio
circa la validità degli strumenti per ciò disponibili; la consapevolezza
dell’importanza dell’”economico” a scuola come nella vita, ed insieme la
generosità nello spendersi per essere utile senza un personale compenso.
Gratis.
Nicola Siciliani de Cumis
Cara
Corda Costa,
oggi avremmo dovuto incontrarci come ogni anno per gli auguri di Natale, una tradizione alla quale Lei teneva molto, ed era per noi l’occasione per farLe anche gli auguri per il suo compleanno cosa a cui teneva meno e dalla quale si schermiva secondo il suo carattere.
Siamo qui invece a salutaLa tutti insieme ai tanti colleghi con i quali ha lavorato, ai suoi familiari ed ai suoi nipoti di cui era tanto orgogliosa e di cui amava parlarci nei pochi momenti in cui ci era consentito di alzare la testa dal lavoro.
Professoressa Corda Costa io vorrei salutarla non come collega, ma come uno dei suoi studenti e a nome di tutti i suoi studenti, quelli che sono qui con noi perché hanno continuato a lavorare nella ricerca educativa e quelli tanti di più che lavorano nella scuola, nel mondo della formazione, nella società.
Negli anni passati insieme Lei ci ha insegnato tante cose, con i suoi modi spicci e un po’ ruvidi ma anche con la sua attenzione e dedizione, ma al di là del metodo di lavoro rigoroso, essenziale, attento ai fatti e schivo delle parole, ci ha insegnato il senso delle istituzioni, il senso dell’impegno civile.
Ci ha insegnato il senso della lealtà, della coerenza, ci ha come si dice addrizzato la schiena. Ora ci lascia il testimone, in un momento difficile per tutte le cose che ci sono care, per la scuola, per l’università, per la scienza, per la democrazia nel nostro paese. Noi siamo orgogliosi di prendere questo testimone e ci impegniamo a portarlo nello spazio della nostra corsa, senza piegarci a compromessi, con la schiena dritta, facendo del nostro meglio per lasciarlo a nostra volta ai nostri ragazzi.
I suoi allievi
4. In ricordo di Maria Corda Costa
M.Serena Veggetti
Nel
contesto culturale variegato e
sfaccettato della Facoltà di Lettere regolata dal vecchio ordinamento,
Maria Corda Costa ebbe chiara fin dal suo arrivo a Roma ( e forse anche nelle sedi accademiche precedenti, delle
quali non posso ,tuttavia, compiere affermazioni basate su conoscenza diretta)
l'esigenza di fondare tutti i curricoli professionali per lo più mirati alla
formazione di insegnanti delle varie
discipline dell'area umanistica, lingue e letterature straniere, lingue classiche,
italiano e storia,filosofia ecc. e alla
preparazione di altre figure del lavoro intellettuale, come archeologi,
giornalisti, interpreti, musicologi, storici dell'arte, su una comprensione
intelligente e concreta dell'allievo,
quale avrebbe potuto risultare dalla conoscenza della psicologia dello sviluppo
e più generalmente dalla psicologia, generale e sociale.
Da questa
sua profonda convinzione si è generata la nostra collaborazione in tutti questi anni , ma sarebbe più esatto
affermare decenni.
E' stata
sostenuta da lei la opportunità della presenza di insegnamenti psicologici
presso la nostra Facoltà di Lettere,
dopo che , per lunghi anni ,avevano taciuto completamente.
Tuttavia
non sarebbe completo considerare l'interesse di Maria Corda Costa per la
psicologia senza ricordare nello stesso momento che
per lei , come per Vygotskij
- uno psicologo che, non a
caso, aveva attratto la sua attenzione
fin dal primo diffondersi nel mondo scientifico-culturale occidentale delle
sue opere - non era sufficiente mettere insieme una qualsiasi preparazione con la psicologia,
perchè bisognava porsi anche il problema di quale psicologia mettere insieme.
Questo ci
porta alla sua vivace attenzione per l'insieme degli aspetti istituzionali e storico/sociali che condizionano il lavoro psicopedagogico , che ha sempre
caratterizzato l'impegno di M. Corda Costa
in ambito scientifico e che la pone in sintonia con l'intera
metodologia vygotskijana.
La
conoscenza in primo luogo, il rispetto e la tutela poi, della storia e della cultura generate dai valori
della vita e del confronto democratico
tra espressioni socio-culturali diverse
hanno costituito l'humus della sua ispirazione e creatività scientifica.
Questo
spiega perchè M. Corda Costa sia stata animatrice e strenua sostenitrice della
collocazione universitaria del
curricolo formativo per gli assistenti ed operatori sociali fin dalla prima delineazione di queste figure
professionali, emergente, nel dopoguerra, ad opera di un gruppo di intellettuali che
affiancarono Guido Calogero nella fondazione del CEPAS , di cui in un secondo momento, ma per vari anni
,fu Direttrice, presso l'Università di
Roma. La collaborazione al
CEPAS , per gli insegnamenti delle discipline psicologiche e poi per la
direzione della scuola, successivamente trasformatasi in un corso di Diploma
universitario D.U.S.S. , mi ha
coinvolto personalmente, per suo espresso desiderio, fin dal momento in cui rientrai a Roma dalla sede accademica
dell'Università di Siena, essendo unite
dalla comune consapevolezza del
difficile obiettivo formativo da
raggiungere: evitare ad un tempo sia
tecnicismo che assistenzialismo.
Con lei
scompare, dunque, una figura positiva per gli ideali di un impegno scientifico
, libero da condizionamenti politici e
confessionali nello spessore
sociale e istituzionale. Non ci resta
che auspicare di seguirne
l'esempio.
Maria
Serena Veggetti
La pedagogia di Maria Corda Costa […] è stata sin dagli inizi un pedagogia della collaborazione, che si è fondata sempre sull’intreccio paritetico degli apporti di colleghi ed allievi di scuole sparse in località anche lontane.
Ma non meno importante è stato lo spirito d’incontro che si realizzava, sin dall’immediato dopoguerra, nelle varie associazioni educative spesso internazionali cui partecipò attivamente, soprattutto il Movimento di cooperazione educativa (MCE, ramo italiano del movimento Freinet) e più tardi lo IEA (International Association for Educational Achievement), a lungo presieduta da Torsten Husén e che svolgeva ricerche comparative sul profitto scolastico in molti paesi del mondo. Collaborazione, dunque, anche ad alti livelli scientifici e a carattere internazionale. E’ in queste sedi che ebbi modo di iniziare quasi 50 anni fa, una sempre più stretta associazione di lavoro con lei, che poi divenne mia assistente e ben presto mia collega all’Università di Roma.
Ma qual era ed è il nucleo essenziale di questa pedagogia della collaborazione, che rimane pressoché inalterato nel tempo? Lavoro di gruppo di allievi e insegnanti su temi di reale interesse, e valutazione “oggettiva” e rapida del profitto raggiunto. Gli strumenti o test di profitto vengono costruiti collaborativamente dagli insegnanti, con largo scambio di corrispondenza (oggi di e-mail), e i risultati della loro somministrazione nelle classi largamente discussi. Le valutazioni conclusive vengono integrate dai giudizi sull’attività svolta dai singoli nell’impostare, condurre e riportare in apposite relazioni seguite da discussioni il lavoro di ricerca di gruppo sugli argomenti prescelti.
Nel lavoro universitario analoghe impostazioni possono valere in attività seminariali, che in pedagogia molto spesso si collegano con l’attività di insegnanti e allievi di altri gradi scolastici che vi vengono coinvolti su loro opzione (e generalmente con loro soddisfazione).
* * *
Ma la pedagogia della collaborazione in Maria Corda Costa era sempre sostanziata dallo spessore culturale, aggiornatissimo e attentissimo alle dimensioni storiche e sociali. Fin dal 1964 in una ricerca di gruppo promossa dalla Consulta di professori universitari di pedagogia e dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale di Milano (pubblicata a mia cura presso Laterza, Bari), pubblicava un saggio molto ricco sul tema Ricerche sui fattori socioeconomici che condizionano il proseguimento e l’indirizzo degli studi in alcuni quartieri romani, e nel 1972 affrontava nel modo più ampio I problemi di sociologia dell’educazione in un volume a cura sua e mia pubblicato dall’ “Archivio didattico” dei Centri didattici-nazionali.
Nel 1973 affrontava Il problema dell’orientamento nel volume collaborativo Educazione e divisione del lavoro, pubblicato da La Nuova Italia di Firenze, che rappresentava il contributo italiano al progetto “Educazione” del Piano Europa 2000 della European Cultural Foundation (uscito poi anche in inglese, spagnolo, portoghese e francese).
Ma al suo interesse per la sociologia dell’educazione (e per
la sociologia in generale) si accompagnava costantemente l’interesse per la
psicologia, testimoniato fra l’altro dall’antologia da lei diretta e pubblicata
col titolo Metodologia e psicologia nel 1974 dall’editore Loescher di
Torino, per cui curava l’anno successivo, assieme a Benedetto Vertecchi e a me,
anche un volume di Orientamenti per la sperimentazione didattica, nel
quale un suo contributo specifico affrontava un tema particolarmente
significativo: Condizionamento e limiti della ricerca e della
sperimentazione.
Questo senso dei “limiti” degli aspetti scientifici e sperimentali della pedagogia, aspetti pur fondamentali e da svilupparsi con ogni cura (anche nel campo dell’antropologia culturale, divulgando in Italia l’opera di Margaret Mead), rimase costante nell’opera della Corda Costa. La “Collaborazione” fra ricercatori (che caratterizzò tutte le opere citate) doveva accompagnarsi sempre nell’attività educativa della collaborazione fra insegnanti e studenti, anche a livello universitario e lo evidenziò pubblicando, sempre nel 1975 presso La Nuova Italia, tutte le relazioni di gruppo di un anno di attività seminariali (Ricerche pedagogiche nella didattica universitaria) attuate, come tutti gli anni, per il corso di pedagogia dell’Università di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia.
Ma i suoi interessi “scientifici” non si limitavano alle “scienze umane”: collaborò spesso con altre facoltà, particolarmente col corso di laurea in Fisica, e con la Scuola per assistenti sociali dell’Università di Roma e con quella per Dirigenti infermiere della Croce Rossa, con lezioni e seminari appropriati: la “collaborazione”, infatti, doveva essere anche interdisciplinare ad ampio raggio.
E soprattutto la collaborazione doveva ispirarsi a solidi valori umani: Dewey, Russell, Claparède, Dottrens, Calogero rimasero per Maria Corda Costa ispiratori costanti, anche se raramente dichiarati. Il suo umanesimo universalistico sembrava averlo “nel sangue”. Anche quando collaborò fattivamente col CNITE (Centro nazionale italiano tecnologie educative), quando produsse unità didattiche del tipo “mastery learning”, e quando ne parlò presso il Centro europeo dell’educazione di Frascati, la sua consapevolezza della strumentalità delle tecniche rispetto ai valori di fondo da affermare non venne mai meno.
Questi valori, come credo sia già apparso chiaro, erano quelli di un socialismo democratico aperto e critico, e soprattutto nemico di ogni sperequazione, anche su scala mondiale. Quest’impegno sociale fermissimo anche se alieno da ogni retorica ha ispirato per molti anni la sua direzione del periodico “la ricerca” e della omonima collana di preziose monografie di autori italiani e stranieri, pubblicati per decenni dalla Loescher.
Nel contempo Maria Corda Costa fu fra i promotori e i collaboratori principali dell’associazione “Quale società”, che svolse convegni e pubblicò contributi di ricerca e proposta volti a studiare le possibilità di realizzare forme di “rotazione verticale” dei vari tipi di lavoro, creativi ed esecutivi.
Una sezione della rivista “Scuola e città”, di cui fu dal 1985 uno dei direttori, fu poi dedicata a questo tema.
Ma un altro tema costante nell’attività della Corda Costa fu un rigoroso laicismo sempre alieno da ogni atteggiamento antireligioso. Fra i suoi collaboratori ci furono sempre anche cattolici purché lontani da ogni spirito clericale, come ci furono protestanti ed ebrei di spirito aperto, e da ultimo anche buddisti. Si accostò infatti all’associazione Soka Gakkai e intervenne anche alla presentazione in Italia della L’educazione creativa silloge di scritti di Tsunesaburo Makiguski, il grande “maestro” giapponese che la fondò e morì in carcere nel 1944 per le sue idee democratiche e pacifiste, invise all’autoritarismo bellicista e imperialista dei governi giapponesi di allora. La pedagogia di Makigushi nasceva dal basso, in forma collaborativa e concreta e dallo studio dell’ambiente locale e della sua storia si allargava ai problemi mondiali e una superiore eticità universalistica. A questo messaggio che resta attualissimo la Corda Costa aderiva con ogni sua forza, proprio perché dolorosamente consapevole dell’aggravarsi della situazione mondiale in termini di fanatismi e conflitti anche cruenti.
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Perciò ella non andò mai “a riposo”. Oltre alle attività editoriali e a seminari con docenti e studenti, collaborò alle sperimentazioni di una innovazione per cui si era sempre battuta e che finalmente era stata legislativamente sanzionata: la preparazione e l’aggiornamento a livello universitario di tutti gli insegnanti, di ogni grado ed ordine di scuola.
Ma un altro impegno costante degli ultimi anni fu per Maria Corda Costa quello di ridurre la dispersione scolastica, senza per altro abbassare i livelli medi del profitto. Il progetto RE.DI.S (Recupero dispersione scolastica) attuato per oltre tre anni in dieci scuole romane, e poi le attività di ricerca-intervento condotte dal CIRSES (Centro italiano studi e ricerche economiche e sociali) dimostrarono che ciò era possibile in buona misura, ma comportava preparazione e progettazione accurate. Tutti gli operatori scolastici, non solo gli insegnanti, dovevano prepararsi e “collaborare”.
La “pedagogia della collaborazione” voleva dire anche e soprattutto educazione seria per tutti.
[Da “la ricerca”, 15 marzo 1967] La diffusione della pedagogia sperimentale ed in generale della tendenza a dare un posto sempre più rilevante alle scienze ausiliarie dell’educazione nell’ambito sia della cultura pedagogica, sia della pratica educativa e della politica scolastica, è ormai un orientamento acquisito da parte di tutti i paesi, se pur con livelli di realizzazione estremamente diversi qualitativamente e quantitativamente. Anche la pedagogia sovietica appare ormai decisamente impegnata in questo senso, contrariamente a quanto era avvenuto, in mezzo ad accese polemiche e sdegnosi rifiuti, nel periodo staliniano.
«Un incremento della efficacia dell’istruzione non può essere realizzato se non si scoprono le leggi che governano l’assimilazione della conoscenza e lo specifico carattere in cui esse si manifestano in dipendenza del contenuto, dei metodi dell’istruzione, delle individuali peculiarità degli studenti, e se di queste leggi non si tiene conto». Che queste parole introducano l’articolo della Kalmikova, non è certo né casuale, né privo di un preciso significato. L’articolo è puramente informativo, ed è apparso su “Sovetskaja Pedagogika” (n. 1, 1966); l’autrice lavora nell’Istituto di Ricerca Scientifica di Psicologia della Accademia di Scienze pedagogiche.
Tratti rilevanti delle ricerche sommariamente accennate di cui si fa una breve rassegna sulla base dei metodi impiegati sono i seguenti: 1) si tende ad esperimenti che siano il meno possibile artificiali (o in vitro), pur con la coscienza che in normali situazioni concrete il numero delle variabili aumenta, e quindi la difficoltà di isolarle porta spesso ad una maggiore approssimazione dei risultati (ma sono preoccupazioni tipiche non tanto degli psicologi quanto dei pedagogisti sperimentali di tutti i paesi); 2) le ricerche sono per il possibile interdisciplinari, si compiono cioè di solito «sulla base della collaborazione tra psicologi, metodologi ed insegnanti; esse richiedono altresì serie consultazioni con studiosi degli specifici settori (linguisti, fisici, matematici, ecc.) »; 3) di tali studi si tende a fare la base non solo e non tanto di studi ulteriori che rimangono confinati nel campo scientifico, ma piuttosto di riforme dei metodi e dei curricula nell’ambito della realtà viva della scuola e dei suoi ordinamenti; 4) si tende a realizzarle soprattutto nel settore dell’apprendimento, e particolarmente negli aspetti più specificamente legati alla formazione dei concetti, e in genere alle attività logiche: linguistiche (morfologia, sintassi, se pur con impostazioni nettamente moderne), matematica, fisica ecc.; 5) è riconosciuta la necessità di creare strumenti diagnostici, che respingano il presupposto di attitudini innate, ma che si preoccupino di fornire una base di misura largamente intersoggettiva, che permetta di controllare la validità dei metodi di insegnamento in rapporto alle capacità di recettività attiva dei ragazzi.
Dai dati che si conoscono si può arguire che tali tipi di ricerche sono sufficientemente diffusi (e anche questo articolo insiste spesso su ciò), vi sono infatti ben 46 riviste pedagogiche che accolgono i risultati di tali studi, e gli insegnanti hanno la possibilità di tenere i rapporti con gli Istituti scientifici delle Università, attraverso attività che durano in genere un mese e che si inseriscono nella conduzione delle ricerche stesse.
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[Da “Rinascita”, 27 ottobre 1967] La considerazione generale, che mi viene in mente con maggiore immediatezza, riguarda il rapporto tra scuola e vita pubblica e sociali. La scuola nella molteplicità delle sue forme che qui si è detto, è in URSS non soltanto l’istituzione a cui è specificamente demandata la funzione dell’insegnamento e della formazione culturale professionale, ma anche il centro di propulsione di tutta una serie di attività di formazione che proseguono in forme diverse e in centri diversi e che lasciano ai ragazzi che crescono il massimo spazio educativo. E cioè quello che si impara a scuola è più specificamente volto all’apprendimento di determinati contenuti (e in questo senso ha giovato non confondere, come in altri paesi è avvenuto, la scuola con un centro di attività civica che abbia una seri di funzioni non specificamente scolastiche); ma contemporaneamente la scuola è anche il centro che stimola attività e iniziative che poi verranno proseguite altrove. Tutto questo è possibile, in quanto il rapporto fra scuola e società in Unione Sovietica è particolarmente stretto e legato a una dinamica continua, I ragazzi non si educano soltanto a scuola, si educano anche nei club dei pionieri, si educano nelle biblioteche, si formano in vere squadre sportive, e vengono seguiti assiduamente dai loro insegnanti nelle attività di recupero che avvengono nella scuola stessa, ma fuori degli orari regolari. In sostanza tutta la società sovietica è impegnata in questo interesse profondo verso la vita dei ragazzi, ed è rivolta in gran parte proprio a questa attività di formazione. Cioè nella società non ci si occupa anche della formazione dei ragazzi, ma direi, che ci si occupa prevalentemente di questa attività che è fondamentale in una società civile.
Quello che è caratteristico in tutto questo, è che pur riuscendo a realizzare appunto questo tipo di società tutta educativa, non si avverte però la presenza di una pressione di tipo individuale, in senso mortificante. Cioè, nonostante che il ragazzo viva in un ambiente che è tutto educativo a livello cosciente, in cui tutte le forze e tutte le attività, individuali o meno, sono rivolte alla sua educazione, non si ha mai la percezione di una violenza che in qualche modo si eserciti nei riguardi dell’individuo per legarlo a un certo tipo di orientamento, di direzione, di formazione, piuttosto che ad un altro. Questo corrisponde all’impressione generale che ho avuto della società sovietica: una società dove tutto è organizzato, tutto è capillarmente curato, ma in cui in sostanza l’individuo come tale non è legato appunto aduna pressione di tipo mortificante, il che avviene invece molto spesso in tipi di società che apparentemente si preoccupano molto di più della libertà individuale ma che in sostanza la coartano con altri sistemi. In sostanza, il ragazzo sovietico dà la sensazione di essere un ragazzo libero, che si espande in piena ed assoluta autonomia, ma che anzi, proprio perché è così specificamente, capillarmente curato, trova la possibilità di sviluppare la propria personalità, di salvare le proprie caratteristiche individuali e le proprie specifiche connotazioni.
Credo che il mezzo fondamentale di questo rapporto fra scuola e società sia l’opera degli insegnanti. La sensazione che si ha dell’insegnante sovietico è quella di una persona perfettamente inserita in una società che ne riconosce a pieno la funzione. Quel senso di frustrazione che noi troviamo negli insegnanti delle società borghesi, almeno sino ad un certo livello, mi sembra assolutamente assente nell’insegnante sovietico, il quale svolge la sua funzione e la sua attività con piena soddisfazione della medesima e che la ritiene una funzione non solo gratificante sul piano individuale, ma socialmente pienamente riconosciuta e percepita come il massimo della dignità sociale. All’Istituto superiore pedagogico di Mosca, per esempio, ci è stato detto che su cinque candidati se ne ammette uno solo alla frequenza. Questo significa appunto che la carriera dell’insegnamento non è una carriera assunta in generale per selezione negativa, come invece avviene in Italia, spesso in Francia e negli Stati Uniti e in molte società di tipo borghese, ma piuttosto con una selezione positiva: cioè la carriera a cui tendono i migliori e non i peggiori. La cosa risulta del resto anche dal punto di vista psicologico, caratterologico, personale.
Dal punto di vista generale, voglio anche riprendere il discorso sul rapporto tra condizione della donna e situazione educativa in URSS. Veramente mi pare che in nessun altro Stato del mondo sia stato affrontato il problema della donna in un nuovo tipo di società e della sua formazione per questo tipo di società, con il medesimo realismo con cui è stato affrontato in URSS. Non si sono tentate spezzature rivoluzionarie di tipo utopistico, ma si è piuttosto cercato di affrontare il problema della formazione dei quadri e della mano d’opera nei diversi settori, tenendo presenti quelle che di fatto sono ancora le funzioni fondamentali della donna nell’ambito della società medesima.
[…] Io vorrei sottolineare il problema della ricerca pedagogica, collegato anche alla preparazione degli insegnanti. Poco fa facevo un cenno di carattere direi strettamente politico, al fatto cioè che solo una società socialista, a mio parere, poteva garantire una sufficiente dignità a livello professionale agli insegnanti di tutti i livelli. Tutto questo ha una dimensione, uno sviluppo che chiamerei verticale. Cioè l’interesse per la sperimentazione pedagogica è in effetti, come dire, l’ultimo atto di una riflessione sui problemi pedagogici e didattici in senso lato, che però abbiamo visto manifestarsi in URSS sin nei suoi aspetti più capillari. Abbiamo visto, per esempio, nei tecnicum-pedagogici, in cui si preparano gli insegnanti di tipo professionale che poi potranno avere accesso all’Istituto superiore pedagogico, la molteplicità degli assistenti, impegnati nell’attività che in italiano chiameremmo di animatori di gruppo, per le attività collaterali a quelle scolastiche; abbiamo visto la direzione della scuola sempre di tipo collegiale, con una distinzione fra funzioni di carattere didattico e funzioni di carattere amministrativo e di coordinamento dei servizi, e così via. La preparazione dell’insegnante è estremamente curata non solo dal punto di vista culturale, ma anche da quello professionale. L’Istituto superiore pedagogico – noi abbiamo visitato quello di Mosca, che è il più importante e il più antico - dell’URSS, offre in quattro anni più uno di tirocinio, una preparazione universitaria a tutti gli insegnanti indistintamente. Questo è molto importante. Cioè la differenza di preparazione tra l’insegnante di scuola materna e l’insegnante di istituto secondario superiore, esiste soltanto come differenza di preparazione specifica; è evidente che l’insegnante di scuola materna studierà un po’ più la psicologia dell’età evolutiva che riguarda il bambino dai tre ai sette anni, piuttosto che quella dell’adolescente, ma non studierà in genere meno psicologia, non avrà una preparazione professionale meno accurata, si applicherà a campi diversi, ma anche lui per quattro anni a livello universitario, esattamente come l’insegnante che si rivolge a un livello di età e di scolarità più elevato.
Poco fa si è parlato della difficoltà di trasferire situazioni sovietiche nella situazione italiana. Ma questo caso è quasi una questione di principio, in fondo abbastanza universale. Noi in Italia abbiamo ancora una preparazione degli insegnanti di diversi livelli estremamente gerarchizzata. Dovremmo invece arrivare anche noi ala preparazione universitaria per tutti gli insegnanti a qualunque livello di età si rivolgano.
L’interesse generale della società alla preparazione degli insegnanti si svolge in URSS attraverso tutta una serie di strumentazioni diverse, anche tecniche. Una cosa che mi ha colpito moltissimo è la presenza nella scuola, in tutte le scuole, di quello che loro chiamano il gabinetto metodologico. In Italia troviamo qualche volta la biblioteca per gli insegnanti, dove gli insegnanti vanno a leggere l’ultimo romanzo di successo; lì, gli insegnanti hanno un gabinetto metodologico provvisto di tutta na serie di riviste professionali, più tutta una serie di monografie specifiche, ossia tutta una biblioteca specializzata ed estremamente curata che ha la funzione di tenere gli insegnanti in continua fase di aggiornamento. A questo tipo di aggiornamento individuale si aggiunge evidentemente anche un aggiornamento a livello universitario molto accurato che avviene ogni quattro-cinque anni, di cui ci si preoccupa in modo particolare.
Per
quanto riguarda la sperimentazione
pedagogica, vi abbiamo giustamente messo l’accento come su un aspetto
importante dell’educazione sovietica. C’è anche da dire che si tratta di
sperimentazioni su basi diverse da quanto non avvenga in altri Stati
occidentali. Cioè, piuttosto che la frequenza di un certo tipo di
sperimentazione su piccoli gruppi, abbiamo una sperimentazione a tappeto su
grossi gruppi. Per cui a minori garanzie di tipo metodologico so oppongono
però maggiori garanzie di tipo, come
dire, numerico. Cioè l’ampiezza della sperimentazione quantitativa sopperisce
alla minor minuzia di sperimentazione scientifica. Questo se il confronto si fa
con altro Stati occidentali, non certo
con l’Italia, dove la situazione è ben peggiore, giacché non esistono strumenti
di nessun genere, né legislativi, né di tipo istituzionale, né di tradizione,
per la sperimentazione pedagogica. Non abbiamo istituti appositi, non abbiamo
nessuna legge che permetta la sperimentazione, qualunque sperimentazione viene
impedita o tagliata alla base proprio da una mancanza non solo di flessibilità,
ma di strumenti adeguati.