Su
Bachtin, Makarenko e il “Poema pedagogico” come “romanzo d’infanzia”*
C’è un
luogo di Michail M. Bachtin, Roman
vospitanija i ego značenie v istorii realizma (Il romanzo
di educazione e il suo significato nella storia del realismo), poi in Estetika slovesnogo tvorčestva
(Estetica della creazione verbale)
(1), al quale fare forse utilmente riferimento per una presentazione
dell’argomento che qui interessa, la
Pedagogičeskaja poema (il Poema pedagogico) di
Anton S. Makarenko (2), come romanzo
d’infanzia: dove il termine “infanzia” deve essere ora inteso, tanto alla lettera, quanto in
senso lato, e nondimeno metaforicamente. Mentre il genitivo “di infanzia” va spiegato sia oggettivamente, nel
senso che il Poema racconta
una certa infanzia, la quale risulta così essere la materia della “storia”;
sia soggettivamente, nel senso che è proprio quella medesima infanzia raccontata, romanzata nel Poema (meglio sarebbe dire
“poematizzata”), a narrare a sua volta di sé e delle vicende che
contestualmente le si connettono, per l’appunto, come esperienza
storico-narrativa ed al tempo stesso
variamente educativa...
Senza tuttavia mai perdere di vista le
reciproche differenze di cultura, i distinti propositi tecnici e le diverse
intenzioni e funzioni formative dei due
autori, Makarenko e Bachtin, un loro puntuale accostamento può in via di
ipotesi far intendere meglio talune
circostanze di contesto. Anche se - va
detto - quanto all’opera di Makarenko,
sarebbe sufficiente solo un inizio di
riflessione sui significati molteplici e vari della parola “poema” nella
sua genesi e fortuna (dal greco ποίήμα, derivato di ποιέω, che vuol dire, a seconda dei casi, oltre che fare, anche agire, operare, lavorare, creare, realizzare, costruire, formare,
educare, plasmare, rappresentare, immaginare, servire da modello, far scuola
ecc.), - per rendersi subito conto
del proposito sicuramente nuovo dell’operazione pedagogico-narrativa
makarenkiana, e dunque della peculiarità dell’esito storiografico-didattico che
originalmente vi si connette.
Bachtin invece - com’è noto -
vuole ragionare in chiave
storico-metodologica del “romanzo di educazione” (Erziehungsroman o Bildungsroman,
come egli stesso precisa); e, a tale scopo, incomincia ad illustrare in particolare i caratteri di
quel tipo di «romanzo di divenire», che
ha come suo tema iniziale ed essenziale, «i bambini», i piccoli “eroi-autori” e gli “eroi” dei bambini, e
per il quale «l’uomo diviene insieme
col mondo»: giacché - aggiunge -,
non trattandosi in tal caso di
«un suo affare privato», l’uomo in crescita
«riflette in sé il divenire storico dello stesso mondo». L’«infanzia»
pertanto appare subito in Bachtin come una tematica storicamente articolata
nei suoi contenuti e metodologicamente
complessa nelle sue forme... Un
argomento, questo, che in funzione di
una storia ed una storiografia dell’infanzia aperta, come si diceva, alla maggiore ampiezza possibile del
significato della parola “infanzia”, potrà essere rivisitato in seguito da
diverse angolazioni, certamente con profitto: e magari a partire dall’idea che il «tempo», esso stesso una sorta di…
«bambino» (sui generis), «gioca e
ride»; e dunque dall’immagine, assasi suggestiva, del bachtiniano
bambino che gioca di Eraclito, il quale detiene il potere supremo nell’universo (“la supremazia appartiene al bambino”). L’accento è messo sul futuro il cui aspetto utopico si ritrova sempre nei rituali e nelle immagini del riso popolare durante la festa (3).
Un’osservazione, quest’ultima, che contribuisce probabilmente anche a
spiegare in Makarenko, pur nel suo ambito, lo stesso tema filosofico-educativo
“forte” che - cambiando tutto ciò che va cambiato tra
Bachtin e Makarenko - è notoriamente
conosciuto come pedagogia della prospettiva. Due
moduli di pensiero-azione, quindi, che cooperano nella direzione di un’apertura di
tipo prolettico sull’avvenire: e ciò, sia nella dimensione propria e nuova (anche ludica) del presente
in cui, con la Rivoluzione d’Ottobre,
sembra comparire sulla scena l’incipit
di un mondo davvero “altro”; sia (in
particolare) come rappresentazione
storica dell’infanzia “nuova” dell’uomo, a partire dalla rigenerazione totale
(e soprattutto morale) dei ragazzini abbandonati, dei bambini “senza tutela”, i
besprizorniki. I quali, se sono per
un verso immediatamente l’oggetto del
racconto makarenkiano, tendono pure a rappresentare, per un altro verso,
l’anticipazione tangibile,
proceduralmente coinvolgente, straordinaria, della medesima «primavera
storica» di un «uomo nuovo» (di quell’uomo
nuovo) e di un «mondo avvenire» (di quel mondo avvenire). Insomma, di un’infanzia in atto (di quella determinata infanzia in atto).
E’
tuttavia significativo per ciò che qui
interessa in specie, che fin dal
principio della sua riflessione (cioè nel medesimo periodo di tempo in cui Makarenko incomincia a costruirsi responsabilmente come “autore” e come “eroe” della sua arte di educatore e di
scrittore) Bachtin inizi il suo lavoro
di filosofo della morale e di metodologo della letteratura, proprio ragionando
di «arte» e «responsabilità», di
«gioco» e «arte», di «cultura» e «vita», con esplicito riferimento anche
al comportamento dei «bambini che giocano» e che, giocando, si fanno «eroi» e
quindi «autori». E’ adesso – egli spiega
- che «il gioco comincia
davvero ad avvicinarsi all’arte, e precisamente all’azione drammatica». Ed è
ciò che avviene nel momento in cui
compare un nuovo partecipante indifferente, lo spettatore, che comincia ad ammirare il gioco dei bambini dal punto di vista dell’evento totale della vita da esso raffigurato, contemplandolo in modo esteticamente attivo e in parte creandolo (come totalità dotata di valore estetico, trasferendolo su un nuovo piano estetico); ma così l'’evento iniziale muta, arricchendosi di un momento che, per principio, è nuovo, lo spettatore-autore, e si trasformano anche tutti i restanti momenti dell’evento, entrando in una nuova totalità (4).
E
conclude:
I bambini che giocano diventano eroi, cioè di fronte a noi c’è ormai non l’evento del gioco, bensì, in forma embrionale, l’evento artistico del dramma. Ma l’evento di nuovo si trasforma in gioco, quando il partecipante, dopo aver rinunciato alla sua posizione estetica e essere attratto dal gioco come da una vita interessante, vi prende anch’egli parte [...] (5).
Un
«partecipante» adulto cioè, che è manovrato, in qualche modo, dai
bambini-autori; ed è manovratore egli stesso, in certa misura, come parte
attiva in gioco, e addirittura, come
co-autore. Un adulto pertanto, che pur mantenendo il suo ruolo distinto di
“grande”, entra dialogicamente in rapporto con i “piccoli”, diventa parte
attiva nello svolgimento del gioco, interviene quindi nello stesso processo in
corso dell’azione drammaturgica “bambina”.
Il Poema pedagogico di Makarenko, in tal senso,
è tutt’altro che poeticamente (cioè
drammaturgicamente) estraneo ad una
siffatta problematica bachtiniana. Ed in fin dei conti il pedagog, l’educatore, nel rieducare
radicalmente l’infanzia, la gioventù che gli viene affidata, rieduca totalmente
se stesso: meglio, inventando (immaginando, cercando, scoprendo) il suo ruolo
educativo (in senso tecnico), si ritrova
finalmente ad essere egli
stesso, complessivamente, un diverso uomo. Vive cioè, proprio lui, le fasi di una infanzia “seconda”, “nuova”, “altra”: e così facendo
come personaggio, come “eroe” in mano ad un autore, si offre al lettore in tutta quanta la sua maieutica (che è una
maieutica a sua volta inusitata,
innovativa, divergente: sperimentale nel metodo, rivoluzionaria nel merito).
Più
precisamente, ritornando ai concetti del passo più sopra citato, e procedendo oltre, a proposito del “romanzo di divenire”, Bachtin aggiunge:
«Egli», cioè l’uomo come “autore” e come “eroe”,
non è più all’interno di un’epoca, ma al confine di
due epoche, nel punto di passaggio dall’una all’altra. Questo passaggio si
compie nell’uomo e per il suo tramite. Egli è costretto a diventare un nuovo,
mai visto tipo d’uomo. Si tratta appunto del divenire di un uomo nuovo; la
forza organizzatrice del futuro qui è quindi estremamente grande, e,
naturalmente si tratta di un futuro storico, non biografico-privato. A mutare
sono appunto i capisaldi del mondo, e l’uomo deve mutare con essi.
E, subito di
seguito, spiega:
E’
comprensibile che in questo romanzo di divenire si levino in tutta la loro
statura i problemi della realtà e della possibilità dell’uomo, della libertà e
della necessità e il problema dell’iniziativa creativa. L’immagine dell’uomo in
divenire comincia a superare qui il suo carattere privato (s’intende, entro
certi limiti) ed entra nella sfera spaziosa,
totalmente diversa, della realtà storica. E’ questo l’ultimo tipo, quello
realistico, del romanzo di divenire
[...]. Quest’ultimo tipo di romanzo realistico di divenire costituisce
il tema specifico del nostro libro (6).
Ma non
sembra che si parli qui, più che di qualsiasi altro romanzo, per l’appunto del Poema pedagogico di Makarenko? Non è pure, per quanto non per
esplicito, che in qualche maniera si faccia proprio riferimento al realismo
letterario e all’uomo nuovo makarenkiani? e, dunque, allo scrittore “autobiografico” autore-eroe, alle due epoche storiche effettivamente a confronto prima e dopo il ‘17,
alla filosofia della prospettiva come
forza organizzatrice del futuro, ai rinnovati ‘capisaldi’ del mondo, al dover
essere e alla possibilità-educabilità
dell’uomo, alla libertà e alla necessità, all’iniziativa creativa, all’individuale
e al collettivo, all’arte e alla responsabilità che vuol dire
corresponsabilità, ovverosia alle tematiche centrali e decisamente
essenziali del Poema pedagogico?
Per una
ipotetica risposta positiva ad una siffatta domanda, si noti almeno che la trattazione deliberatamente educativa del libro di
Bachtin risale intanto al 1936-38: e cioè proprio agli anni immediatamente successivi alla
pubblicazione del romanzo di Makarenko, che comincia ad avvenire nel 1933. Una circostanza, questa, che
autorizza a tentare un accostamento tra
i due testi, almeno sul piano del momento storico-culturale contingente, per quanto le pagine
bachtiniane non facciano menzione
esplicita del romanziere-educatore: ed è nota la vicenda dell’intero lavoro di
Bachtin, che ultimato e consegnato per
la stampa ad una casa editrice allo scadere degli anni Trenta, non poté essere pubblicato prima della
guerra, finendo quindi con l’andare perduto nei successivi anni bellici... Non
è tuttavia da escludere che lo stesso
Bachtin avesse tra l’altro presente nelle sue riflessioni sul “romanzo di educazione”, proprio l’opera di Makarenko (e magari pure la sua
continuazione Flagi na bašnjach
[Bandiere sulle torri], che è del 1938). Ed è ipotesi da
sostenere, soprattutto se si
tiene conto della ampia diffusione del romanzo
in tutta l’Unione Sovietica,
anche nei luoghi più sperduti fin dal
‘33-’34 (7).
Né va
sottovalutato il fatto che nelle pagine
bachtiniane sul romanzo di
educazione risultano essenziali i riferimenti al «carattere sostanzialmente
biografico e autobiografico», al «principio organizzatore» della «narrazione»
del «divenire», alla «idea puramente pedagogica dell’educazione dell’uomo», al
«piano rigorosamente cronologico dello sviluppo educativo dell’eroe
principale», al «complesso intreccio d’avventura», alla peculiarità del
«rapporto di questi romanzi col realismo e, in particolare, col tempo storico
reale» (8) ecc.
Di più,
posto che l’”eroe” oggetto di biografia e di
autobiografia nel Poema pedagogico
non sia tanto il singolo personaggio “Makarenko”, quanto il collettivo nelle sue varie fasi e configurazioni, è a maggior
ragione «l’immagine dell’uomo in divenire», ovverosia «l’unità dinamica
dell’immagine dell’eroe», a far emergere la differenza
propria del genere romanzesco in questione. Spiega infatti Bachtin, a tutto
vantaggio – come sembra - della comprensione della caratteristica
dell’eroe-collettivo del Poema:
Anche l’eroe e il suo carattere
diventano variabili nella formula di
questo romanzo. Il mutamento dell’eroe acquista significato d’intreccio e quindi tutto l’intreccio del romanzo
viene ripensato e ristrutturato in modo radicalmente diverso. Il tempo
s’immette nell’interno dell’uomo, penetra nella sua immagine, mutando
sostanzialmente il significato di tutti i momenti del suo destino e della sua
vita [...]. Questo tipo di romanzo può essere designato nel senso più generale
come romanzo del divenire dell’uomo [ed] è
caratterizzato dalla raffigurazione del mondo e della vita come esperienza, come scuola, attraverso cui deve passare ogni uomo (9).
Egualmente il genere «biografico (e quello autobiografico)», ed il tipo
«didattico-pedagogico», differenziano ulteriormente il quadro complessivo del
«divenire romanzesco»; ma non forniscono ancora la caratteristica peculiarissima di quel «tipo di romanzo di
divenire», che secondo Bachtin, è «il più importante», giacché intanto «costituisce il tema specifico del nostro
libro» e che – a parere di chi scrive - sembra per l’appunto coincidere
con la singolare fisionomia
romanzesco-educativa del Poema pedagogico: opera in tal senso esemplare, e da proporre
quindi idealmente accanto (stando
all’ordine cronologico proposto da Bachtin) alla Ciropedia di Senofonte, al Perzival
di Wolfram von Eschenbach, al Gargantua e
Pantagruele di Rabelais, al Simplicissimus
di Grimmelshausen, al Telemaco di
Fenelon, all’Emilio di Rousseau, all’Agatone di Wieland, al Tobia Knaut di Wezel, a Carriere in linea ascendente di
Hippel, al Wilhelm Meister di Goethe, al Titano
di Jean Paul, al David Copperfield di
Dickens, al Pastore della fame di
Raabe, all’Enrico il Verde di
Gottfried Keller, al Per la felicità
di Pontoppidan, a Infanzia, Adolescenza, Giovinezza di Tolstoj, a Storia
comune e Oblomov di Gončarov, al Jean-Christophe di Romain Rolland, a I Buddenbrook di Thomas Mann, ecc. (10).
E
difatti, restando ai chiarimenti
forniti dallo stesso Bachtin: secondo l’ulteriore, assai più rilevante,
tipo di romanzo “di divenire”, che è
quello “di educazione”, «il divenire
dell’uomo è dato in inscindibile connessione col divenire storico». Meglio: «Il
divenire dell’uomo si compie nel tempo storico reale con la sua necessità, con
la sua pienezza, col suo futuro, con la sua profonda cronotopicità». In altri
termini, quel che muta e si trasforma in una tale ottica “romanzesca” non è
solo «l’uomo», «la concezione del mondo»,
ma è anche e soprattutto «il mondo».
Il mondo che, a mano a mano che la
storia “di educazione” procede, cessa
di essere puramente e semplicemente «presenziale e stabile» nella sua
«presenzialità»; nè si limita a chiedere «all’uomo un certo adattamento a sé,
la conoscenza delle leggi effettuali della vita e la sottomissione ad esse».
Esso, il mondo, invece diviene,
in quanto non è più «l’immobile punto di riferimento per lo sviluppo
dell’uomo», e «il divenire del romanzo e dell’uomo» smette di essere «per così dire, un suo affare
privato», «d’ordine biografico-privato»: e fa sì, al contrario, che le cose non restino ferme ai propri posti;
che cioè «il mondo come esperienza e come scuola» non rimanga «pur sempre una
datità sostanzialmente immobile e bell’e pronta» (11).
In
questo senso il Poema pedagogico,
come romanzo d’infanzia dell’”uomo
nuovo”, della “prospettiva”, del “collettivo” ecc., non solo rientra a pieno titolo nel novero di quei
romanzi “di educazione” nei quali «il
divenire dell’uomo» acquista «un altro
carattere»; ma anche porta con sé le
ragioni della sua propria, sperimentale
“eccentricità”. La quale va d’altra parte ben oltre il pur «grandioso», ma
generico, «tentativo di costruire l’immagine
dell’uomo che cresce» nel «movimento visibile del tempo
storico» (12), secondo una
determinata «visione del tempo»:
dal momento del legame
essenziale del passato col presente, dal momento della necessità del passato e della necessità del suo posto nella linea
dell’ininterrotto sviluppo, dal momento dell’efficienza creativa del passato e, infine, dal momento del legame del passato e del presente col necessario futuro (13).
In
altre parole, non è da escludere che Bachtin, pur contribuendo autorevolmente
alla oggettiva comprensione storica e spiegazione critica del fenomeno “romanzo di educazione”, veda solo fino ad un certo punto la
peculiarità letteraria e metodologica implicita nel “romanzo d’infanzia” di
Makarenko. Il Poema pedagogico può
essergli apparso, di primo acchito, più strumento di indottrinamento
ideologico, che frutto di sapienza
filosofica e poetica. Se Makarenko del resto non è Rousseau, Bachtin dal canto
suo non è Lukács… Occorre pertanto distinguere, differenziare: e distinguendo e
differenziando, cogliere il senso delle altrui (di Bachtin, nella specie)
distinzioni e differenziazioni.
E non
è tutto: giacché nel medesimo ordine di idee
sembrano rientrare anche i puntuali rinvii di Bachtin a Goethe (14), e cioè i riferimenti allo «spazio» e
al «tempo» nelle opere di quest’ultimo; ed in particolare a quelle tra le «sue opere autobiografiche» che, come per esempio Dichtung und Wahrheit (Poesia e verità), introducono all’idea
di un romanzo epistolare per bambini, in più lingue... (15). Ma questo è già un
altro discorso, da approfondire in più direzioni sia “storiche” che
“geografiche”: e comunque senza dimenticare, accanto ai bambini di
Rabelais, (poniamo) quegli altri allegri
“bambini della Stupidità”, che in una farsa francese (sotie) del XVI secolo «si mettono al servizio del “Mondo”»; ma il Mondo
è cavilloso, non lo si può soddisfare: forse il Mondo è malato; viene chiamato il medico che esamina la sua urina e gli diagnostica una malattia al cervello; il Mondo ha paura di una catastrofe universale, causata dal diluvio o dal fuoco. In conclusione i bambini riescono a riportare il Mondo a uno stato d’animo allegro e spensierato (16).
* Si tratta, in parte, di un testo radatto da chi scrive nel quadro
delle attività di ricerca interuniversitaria 40%, 1997, Cofin. Murst/Univ. di
Roma “La Sapienza”, in tema di “Storia e storiografia dell’infanzia; e
conclusasi nel dicembre del 1999.
1.
Cfr.
M. Bachtin, L’autore e l’eroe, Tepria letteraria
e scienze umane. A cura di C. Strada Janovič, Torino, Einaudi, pp.
195-244 e 408-11.
2.
Cfr.
A. S. Makarenko, Sočinenija. Tom Pervyj, Pedagogičeskaja poema, Moskva, Izdatel’stvo
Akademii pedagogičeskich nauk RSFSR, 1950 (e cfr. id., Poema pedagogico, nella trad. it. più
recente, a cura di S. Reggio, Mosca, Raduga, 1985).
3.
M.
M. Bachtin, Tvorčestvo Fransua
Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja
i Renassansa (1965), trad. it., id., L’opera di Rabelais e la cultura popolare.
Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino,
Einaudi, 1979, p. 93.
4.
Id.,
L’autore e l’eroe, op. cit., p. 68.
5.
Ibidem.
6.
Ivi,
p. 210.
7.
Per
fare un solo esempio, cfr, A. Rybakov,
Deti Arbata (1987)/I figli
dell’Arbat. Traduzione di L. Giacone e B. Osimo, Milano, Rizzoli, 1988, p.
568: dove viene registrata la situazione di un personaggio, Zida, che
nell’inverno del 1934, in una zona pur remota della Siberia, procura da leggere
al prtotagonista Saša, tra i libri-«novità», anche il Poema pedagogico di Makarenko (ma fuor di romanzo, in
considerazione della data, si sarebbe trattato evidentemente, della sola prima
parte dell’opera: essendo le parti seconda e terza del Poema, nel ’34, non ancora pubblicate).
8.
M.
Bachtin, L’autore e l’eroe, op. cit.,
pp. 195 sgg. e 205 sgg.
9.
Ibidem.
10.
Ivi,
p. 209-10.
11.
Ibidem.
12.
Ivi,
p. 219.
13.
Ivi,
pp. 224-225.
14.
Cfr.
ivi, pp. 211-241 e passim.
15.
Cfr.
ivi, pp. 235-237.
16.
Id.,
L’opera di Rabelais e la cultura popolare,
op. cit., p. 197; e cfr. ivi, p. 448.
17.
Cfr.
K. Clark – M. Holquist, Michail Bachtin (1984), trad. it. di F. Pellizzi, Bologna, Il
Mulino, 1991, pp. 331-332.
18.
Cfr.
M. Gor’kij, in ivi, pp. 345-346 e 351n.
19.
K.
Clark – M. Holquist, op. cit., p. 345.
20.
M.
Bachtin, L’autore e l’eroe, op. cit.,
pp. 379-380.
21.
Ibidem.
22.
Cfr.
A. S. Makarenko, op. cit., il cap. 10 della Parte
prima e, quasi simmetricamente, il cap. 10 della Parte terza.
23.
M.
Bachtin. L’opera di Rabelais e la cultura
popolare, op. cit., p. 448.