Nicola Siciliani de Cumis

 

 

 

Su Bachtin, Makarenko e il “Poema pedagogico” come “romanzo d’infanzia”*

                                                                                                    

                                                            

      

       C’è un luogo di Michail M. Bachtin, Roman vospitanija i ego značenie v istorii realizma (Il romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo), poi in Estetika slovesnogo tvorčestva (Estetica della creazione verbale) (1), al quale fare forse utilmente riferimento per una presentazione dell’argomento che qui interessa, la Pedagogičeskaja poema (il Poema pedagogico) di Anton S. Makarenko (2), come romanzo d’infanzia: dove il termine “infanzia” deve essere  ora inteso, tanto alla lettera, quanto in senso lato, e nondimeno metaforicamente. Mentre  il genitivo “di infanzia” va spiegato sia oggettivamente, nel senso che il Poema  racconta  una certa infanzia, la quale risulta così essere la materia  della “storia”; sia soggettivamente, nel senso che è proprio quella medesima infanzia raccontata, romanzata nel Poema (meglio sarebbe dire “poematizzata”), a narrare a sua volta di sé e delle vicende che contestualmente le si connettono, per l’appunto, come  esperienza storico-narrativa ed al tempo stesso  variamente  educativa...

        Senza tuttavia mai perdere di vista le reciproche differenze di cultura, i distinti propositi tecnici e le diverse intenzioni e funzioni formative dei due  autori, Makarenko e Bachtin,  un  loro puntuale accostamento può in via di ipotesi  far intendere meglio talune circostanze di contesto.  Anche se - va detto - quanto all’opera di Makarenko,  sarebbe sufficiente solo un inizio di  riflessione sui significati molteplici e vari della parola “poema” nella sua genesi e fortuna  (dal greco ποίήμα, derivato di ποιέω, che  vuol dire, a seconda dei casi, oltre che fare, anche agire, operare, lavorare, creare, realizzare, costruire, formare, educare, plasmare, rappresentare, immaginare, servire da modello, far scuola ecc.),  -  per rendersi  subito conto del proposito sicuramente nuovo dell’operazione pedagogico-narrativa makarenkiana, e dunque della peculiarità dell’esito storiografico-didattico che originalmente vi si connette. 

         Bachtin  invece - com’è noto - vuole ragionare  in chiave storico-metodologica del “romanzo di educazione” (Erziehungsroman o Bildungsroman, come egli stesso precisa); e, a tale scopo, incomincia  ad illustrare in particolare i caratteri di quel tipo di  «romanzo di divenire», che ha come suo tema  iniziale ed essenziale,  «i bambini»,  i piccoli “eroi-autori” e gli “eroi” dei bambini,  e  per il quale «l’uomo diviene insieme col mondo»: giacché -  aggiunge  -,  non trattandosi  in tal caso di «un suo affare privato», l’uomo in crescita  «riflette in sé il divenire storico dello stesso mondo». L’«infanzia» pertanto appare subito in Bachtin come una tematica  storicamente  articolata nei suoi contenuti  e metodologicamente complessa  nelle sue forme... Un argomento, questo, che  in funzione di una storia ed una storiografia dell’infanzia aperta, come si diceva,  alla maggiore ampiezza possibile del significato della parola “infanzia”, potrà essere rivisitato in seguito da diverse angolazioni, certamente con profitto: e magari a partire dall’idea  che il «tempo», esso stesso una sorta di… «bambino» (sui generis), «gioca e ride»; e dunque dall’immagine, assasi suggestiva,  del  bachtiniano

 

 

bambino che  gioca di Eraclito,  il quale  detiene  il potere supremo nell’universo (“la supremazia appartiene al bambino”). L’accento è messo sul futuro il cui aspetto utopico  si ritrova sempre nei rituali e nelle immagini del riso popolare durante la festa (3).

 

 

 

        Un’osservazione, quest’ultima, che contribuisce probabilmente anche a spiegare in Makarenko,  pur nel suo ambito,  lo stesso tema  filosofico-educativo  “forte” che  -  cambiando tutto ciò che va cambiato tra Bachtin e Makarenko -  è notoriamente conosciuto come pedagogia  della   prospettiva.  Due  moduli  di  pensiero-azione, quindi, che  cooperano nella direzione di un’apertura di tipo prolettico sull’avvenire: e ciò, sia nella dimensione  propria e nuova  (anche ludica) del presente  in cui, con la Rivoluzione d’Ottobre,  sembra comparire sulla scena l’incipit di un mondo davvero “altro”; sia  (in particolare)  come rappresentazione storica dell’infanzia “nuova” dell’uomo, a partire dalla rigenerazione totale (e soprattutto morale) dei ragazzini abbandonati, dei bambini “senza tutela”, i besprizorniki. I quali, se sono per un verso immediatamente l’oggetto  del racconto makarenkiano, tendono pure a rappresentare, per un altro verso, l’anticipazione tangibile,  proceduralmente coinvolgente, straordinaria, della medesima «primavera storica» di un «uomo nuovo» (di quell’uomo nuovo)  e di un «mondo avvenire» (di quel mondo avvenire). Insomma, di un’infanzia in atto (di quella determinata infanzia in atto).      

      E’ tuttavia significativo  per ciò che qui interessa in specie,  che fin dal principio della sua riflessione (cioè nel medesimo periodo di tempo in cui  Makarenko incomincia  a costruirsi responsabilmente come “autore” e come “eroe”  della sua arte di educatore e  di scrittore)  Bachtin inizi il suo lavoro di filosofo della morale e di metodologo della letteratura, proprio ragionando di «arte» e «responsabilità», di   «gioco» e «arte», di «cultura» e «vita», con esplicito riferimento anche al comportamento dei «bambini che giocano» e che, giocando, si fanno «eroi» e quindi «autori». E’ adesso – egli spiega  - che   «il gioco comincia davvero ad avvicinarsi all’arte, e precisamente all’azione drammatica». Ed è ciò che avviene nel momento in cui

 

 

compare un nuovo partecipante indifferente, lo spettatore, che comincia ad ammirare il gioco dei bambini dal punto di vista dell’evento totale della vita da esso raffigurato, contemplandolo in modo esteticamente attivo e in parte creandolo (come totalità dotata di valore estetico, trasferendolo su un nuovo piano estetico); ma così l'’evento iniziale muta, arricchendosi di un momento che, per principio, è nuovo, lo spettatore-autore, e si trasformano anche tutti i restanti momenti dell’evento, entrando in una nuova totalità (4).

 

 

       E conclude:

 

 

       I  bambini che giocano diventano eroi, cioè di fronte a noi c’è ormai non l’evento del gioco, bensì, in forma embrionale, l’evento artistico del dramma. Ma l’evento di nuovo si trasforma in gioco, quando il partecipante, dopo aver rinunciato alla sua posizione estetica e essere attratto dal gioco  come da una vita interessante, vi prende anch’egli parte [...] (5).

 

 

       Un «partecipante» adulto cioè, che è manovrato, in qualche modo, dai bambini-autori; ed è manovratore egli stesso, in certa misura, come parte attiva in gioco, e addirittura,  come co-autore. Un adulto pertanto, che pur mantenendo il suo ruolo distinto di “grande”, entra dialogicamente in rapporto con i “piccoli”, diventa parte attiva nello svolgimento del gioco, interviene quindi nello stesso processo in corso dell’azione drammaturgica “bambina”.

       Il Poema pedagogico di Makarenko, in tal senso, è tutt’altro che  poeticamente (cioè drammaturgicamente) estraneo ad una  siffatta problematica bachtiniana. Ed in fin dei conti il pedagog, l’educatore, nel rieducare radicalmente l’infanzia, la gioventù che gli viene affidata, rieduca totalmente se stesso: meglio, inventando (immaginando, cercando, scoprendo) il suo ruolo educativo (in senso tecnico), si ritrova  finalmente  ad essere egli stesso, complessivamente, un diverso uomo. Vive cioè, proprio lui,  le fasi di una infanzia  “seconda”, “nuova”, “altra”: e così facendo come personaggio, come “eroe” in mano ad un autore, si offre al lettore  in tutta quanta la sua maieutica (che è una maieutica a sua volta  inusitata, innovativa, divergente: sperimentale nel metodo, rivoluzionaria nel merito).

       Più  precisamente, ritornando ai concetti del passo  più sopra citato,  e  procedendo oltre,  a proposito del “romanzo di divenire”,   Bachtin aggiunge:  «Egli», cioè l’uomo come “autore” e come “eroe”,

 

 

non è più all’interno di un’epoca, ma al confine di due epoche, nel punto di passaggio dall’una all’altra. Questo passaggio si compie nell’uomo e per il suo tramite. Egli è costretto a diventare un nuovo, mai visto tipo d’uomo. Si tratta appunto del divenire di un uomo nuovo; la forza organizzatrice del futuro qui è quindi estremamente grande, e, naturalmente si tratta di un futuro storico, non biografico-privato. A mutare sono  appunto i capisaldi del mondo, e l’uomo deve mutare con essi.

 

 

 E, subito di seguito, spiega:

 

 

       E’ comprensibile che in questo romanzo di divenire si levino in tutta la loro statura i problemi della realtà e della possibilità dell’uomo, della libertà e della necessità e il problema dell’iniziativa creativa. L’immagine dell’uomo in divenire comincia a superare qui il suo carattere privato (s’intende, entro certi limiti) ed entra nella sfera spaziosa, totalmente diversa, della realtà storica. E’ questo l’ultimo tipo, quello realistico, del romanzo di divenire  [...]. Quest’ultimo tipo di romanzo realistico di divenire costituisce il tema specifico del nostro libro (6).

 

 

 

       Ma non sembra che si parli qui, più che di qualsiasi altro romanzo,  per l’appunto del Poema pedagogico di Makarenko? Non è pure, per quanto non per esplicito, che in qualche maniera si faccia proprio riferimento al  realismo letterario  e all’uomo nuovo makarenkiani? e, dunque,  allo scrittore “autobiografico” autore-eroe, alle due epoche storiche effettivamente a confronto prima e dopo il ‘17, alla  filosofia della prospettiva come forza organizzatrice del futuro, ai rinnovati ‘capisaldi’ del mondo, al dover essere e alla possibilità-educabilità dell’uomo, alla libertà e alla necessità, all’iniziativa creativa, all’individuale e al collettivo, all’arte e alla responsabilità che vuol dire corresponsabilità, ovverosia alle tematiche centrali e decisamente essenziali del Poema pedagogico?

      Per una ipotetica risposta positiva ad una siffatta domanda, si noti almeno che  la trattazione  deliberatamente  educativa del  libro  di  Bachtin   risale  intanto al 1936-38: e cioè proprio  agli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del romanzo di Makarenko, che comincia ad avvenire  nel 1933. Una circostanza, questa, che autorizza a tentare  un accostamento tra i due testi, almeno sul piano del  momento storico-culturale contingente, per quanto le pagine bachtiniane non  facciano menzione esplicita del romanziere-educatore: ed è nota la vicenda dell’intero lavoro di Bachtin, che ultimato e consegnato  per la stampa ad una casa editrice allo scadere degli anni Trenta,  non poté essere pubblicato prima della guerra, finendo quindi con l’andare perduto nei successivi anni bellici... Non è tuttavia da escludere che lo stesso  Bachtin avesse tra l’altro presente nelle sue riflessioni sul  “romanzo di educazione”, proprio  l’opera di Makarenko (e magari pure la sua continuazione  Flagi na bašnjach [Bandiere sulle torri], che è  del 1938). Ed è ipotesi  da  sostenere,  soprattutto se si tiene conto della ampia diffusione del romanzo  in tutta l’Unione Sovietica,  anche nei luoghi più sperduti fin dal  ‘33-’34 (7).

      Né va sottovalutato il fatto che nelle pagine  bachtiniane   sul romanzo di educazione risultano essenziali i riferimenti al «carattere sostanzialmente biografico e autobiografico», al «principio organizzatore» della «narrazione» del «divenire», alla «idea puramente pedagogica dell’educazione dell’uomo», al «piano rigorosamente cronologico dello sviluppo educativo dell’eroe principale», al «complesso intreccio d’avventura», alla peculiarità del «rapporto di questi romanzi col realismo e, in particolare, col tempo storico reale» (8) ecc.

      Di più, posto che l’”eroe” oggetto di biografia e di  autobiografia nel Poema pedagogico non sia tanto il singolo personaggio “Makarenko”, quanto il collettivo nelle sue  varie fasi e configurazioni, è a maggior ragione «l’immagine dell’uomo in divenire», ovverosia «l’unità dinamica dell’immagine dell’eroe», a far emergere la differenza propria del genere romanzesco in questione. Spiega infatti Bachtin, a tutto vantaggio –  come sembra -  della comprensione della caratteristica dell’eroe-collettivo del Poema:

 

 

     Anche  l’eroe e il suo carattere diventano variabili nella formula di questo romanzo. Il mutamento dell’eroe acquista significato d’intreccio e quindi tutto l’intreccio del romanzo viene ripensato e ristrutturato in modo radicalmente diverso. Il tempo s’immette nell’interno dell’uomo, penetra nella sua immagine, mutando sostanzialmente il significato di tutti i momenti del suo destino e della sua vita [...]. Questo tipo di romanzo può essere designato nel senso più generale come romanzo del divenire  dell’uomo [ed] è caratterizzato dalla raffigurazione del mondo e della vita come esperienza, come scuola, attraverso cui deve passare ogni uomo (9).

 

 

 

       Egualmente il genere «biografico (e quello autobiografico)», ed il tipo «didattico-pedagogico», differenziano ulteriormente il quadro complessivo del «divenire romanzesco»; ma non forniscono ancora  la caratteristica peculiarissima di quel «tipo di romanzo di divenire», che secondo  Bachtin,  è «il più importante», giacché intanto  «costituisce il tema specifico del nostro libro»  e  che – a parere di chi scrive - sembra per l’appunto  coincidere  con la  singolare fisionomia romanzesco-educativa  del  Poema pedagogico: opera in tal senso esemplare, e da proporre quindi idealmente accanto  (stando all’ordine cronologico proposto da Bachtin) alla Ciropedia di Senofonte, al Perzival di Wolfram von Eschenbach, al Gargantua e Pantagruele di Rabelais, al Simplicissimus di Grimmelshausen, al Telemaco di Fenelon,  all’Emilio di Rousseau,  all’Agatone di Wieland, al Tobia Knaut di Wezel, a Carriere in linea ascendente di Hippel,  al Wilhelm Meister di Goethe, al Titano di Jean Paul, al David Copperfield di Dickens, al Pastore della fame di Raabe, all’Enrico il Verde di Gottfried Keller, al Per la felicità di Pontoppidan,  a Infanzia, Adolescenza, Giovinezza di Tolstoj,  a Storia comune e Oblomov di Gončarov, al Jean-Christophe di Romain Rolland, a I Buddenbrook di Thomas Mann, ecc. (10).

       E difatti, restando ai chiarimenti  forniti dallo stesso Bachtin: secondo l’ulteriore, assai più rilevante, tipo di romanzo “di divenire”,  che è quello “di educazione”,  «il divenire dell’uomo è dato in inscindibile connessione col divenire storico». Meglio: «Il divenire dell’uomo si compie nel tempo storico reale con la sua necessità, con la sua pienezza, col suo futuro, con la sua profonda cronotopicità». In altri termini, quel che muta e si trasforma in una tale ottica “romanzesca” non è solo «l’uomo», «la concezione del mondo»,  ma è anche e soprattutto «il mondo».

       Il mondo che,  a mano a mano  che la storia “di educazione” procede,  cessa di essere puramente e semplicemente «presenziale e stabile» nella sua «presenzialità»; nè si limita a chiedere «all’uomo un certo adattamento a sé, la conoscenza delle leggi effettuali della vita e la sottomissione ad esse». Esso, il mondo,  invece  diviene, in quanto non è più «l’immobile punto di riferimento per lo sviluppo dell’uomo», e «il divenire del romanzo e dell’uomo» smette  di essere «per così dire, un suo affare privato», «d’ordine biografico-privato»: e fa sì, al contrario, che le cose non restino ferme ai propri posti; che cioè «il mondo come esperienza e come scuola» non rimanga «pur sempre una datità sostanzialmente  immobile e bell’e pronta» (11).

       In questo senso il Poema pedagogico, come romanzo d’infanzia dell’”uomo nuovo”, della “prospettiva”, del “collettivo” ecc., non solo  rientra a pieno titolo nel novero di quei romanzi “di educazione” nei quali  «il divenire dell’uomo» acquista  «un altro carattere»; ma anche porta con sé  le ragioni della sua  propria, sperimentale “eccentricità”. La quale va d’altra parte ben oltre il pur «grandioso», ma generico, «tentativo di costruire l’immagine dell’uomo che cresce» nel «movimento visibile del  tempo storico» (12), secondo una determinata «visione del tempo»:

 

 

dal momento del legame essenziale del passato col presente, dal momento della necessità del passato e della necessità del suo posto nella linea dell’ininterrotto sviluppo, dal momento dell’efficienza creativa del passato e, infine, dal momento del legame del passato e del presente col necessario futuro (13).

 

 

 

        In altre parole, non è da escludere che Bachtin, pur contribuendo autorevolmente alla oggettiva comprensione storica e spiegazione critica del fenomeno  “romanzo di educazione”,  veda solo fino ad un certo punto la peculiarità letteraria e metodologica implicita nel “romanzo d’infanzia” di Makarenko. Il Poema pedagogico può essergli apparso, di primo acchito, più strumento di indottrinamento ideologico,  che frutto di sapienza filosofica e poetica. Se Makarenko del resto non è Rousseau, Bachtin dal canto suo non è Lukács… Occorre pertanto distinguere, differenziare: e distinguendo e differenziando, cogliere il senso delle altrui (di Bachtin, nella specie) distinzioni e differenziazioni.

       E non è tutto: giacché nel medesimo ordine di idee  sembrano rientrare anche  i  puntuali rinvii di Bachtin a Goethe  (14), e cioè i riferimenti allo «spazio» e al «tempo» nelle opere di quest’ultimo; ed in particolare  a quelle tra le  «sue opere autobiografiche» che, come per esempio Dichtung und Wahrheit (Poesia e verità), introducono all’idea di un romanzo epistolare per bambini, in più lingue... (15). Ma questo è già un altro discorso, da approfondire in più direzioni sia “storiche” che “geografiche”: e comunque senza dimenticare, accanto ai bambini di Rabelais,  (poniamo) quegli altri  allegri  “bambini della Stupidità”, che in una farsa francese (sotie) del XVI secolo  «si mettono al servizio del “Mondo”»; ma il Mondo

                  

 

è cavilloso, non lo si può soddisfare: forse il Mondo è malato; viene chiamato il medico che esamina la sua urina e gli diagnostica una malattia al cervello; il Mondo ha paura di una catastrofe universale, causata dal diluvio o dal fuoco. In conclusione i bambini riescono a riportare il Mondo a uno stato d’animo allegro e spensierato (16).

 

 

         Bachtin e Makarenko. Anche altro,  certamente,  si potrebbe aggiungere a quanto già  s’è detto per un confronto delle  loro rispettive posizioni su narrazione romanzesca e formazione umana, a partire dagli anni della stesura del Poema pedagogico (1933-1935) e, quasi per conseguenza, dagli anni di Il romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo (1936-1938).

         E la postilla potrebbe ampliarsi notevolmente, se anzitutto si facesse riferimento alla duplice circostanza che la riflessione  bachtiniana sul romanzo di educazione avveniva effettivamente nel contesto della nuova attività di insegnamento di Bachtin a Saransk, presso l’Istituto pedagogico della Mordovia (17); e che proprio Maksim Gor’kij, già prima, nel 1934 (e in una situazione  nella quale Makarenko e il Poema pedagogico potevano essere ben presenti   come  una delle soluzioni  “positive”  possibili del problema del rapporto tra “realismo socialista” e “romanzo di educazione”),  anticipava con  analoghi riferimenti   la problematica  di Bachtin  più sopra accennata:

 

 

      Venne il momento che i “sempliciotti” della cultura popolare, trasformati di volta in volta in Sancio Panza, Simplicissimus, o Eulenspiegel, diventarono più scaltri dei loro padroni feudali, ed ebbero abbastanza coraggio di farsi beffe di loro... Il folclore orale decisamente esercitò un’influenza costante sulla creazione di opere letterarie dell’imporanza del Faust, delle Avventure del Barone di Munchhausen, del Gargantua e Pantagruele e del Till  Eulenspiegel (18).

 

 

 

      Bachtin, in altre parole, interviene  nella querelle sul realismo socialista non solo in  «maniera indiretta» (19), ma anche in vario modo direttamente, portando per esplicito il discorso su un’opera di difficile definizione  (formalmente “sperimentale” e  contenutisticamente “realistica”?)  come quella di Gor’kij, Žizn’ Klima Samgina (La vita di Klim Samgin) (1927-1936):

 

il Klim Samgin (l’uomo come sistema di frasi). L’”ineffabile”, il suo carattere e la sua funzione particolari. Le prime fasi della presa di coscienza verbale. Il “subconscio” può diventare un fattore creativo soltanto alla soglia della coscienza e della parola (coscienza semiverbale-semisegnica). Come le impressioni della natura entrano nel contesto della mia coscienza. Esse sono pregne di parola, della parola potenziale. L’”ineffabile” come limite che si sposta, come “idea regolativa” (nel senso kantiano) della coscienza creativa (20).

 

 

 E subito appresso:

 

 

 

        Il processo di graduale oblio degli autori-portatori di parole altrui. Le parole altrui diventano anonime e di esse ci si appropria (in forma elaborata, naturalmente); la coscienza  si  monologizza. Si dimenticano anche gli originari rapporti dialogici con le parole altrui: è come se essi venissero assorbiti nelle parole altrui assimilate (passando attraverso la fase delle “parole-proprie-altrui”). La coscienza creativa, monologizzandosi, si riempie di anonimi. Questo processo di monologizzazione è molto importante. Poi la coscienza monologizzata, come un tutto unico e unitario, inizia un nuovo dialogo (ormai con nuove voci altrui esterne).  La coscienza creativa monologizzata spesso unifica e personifica le parole altrui, le voci altrui [...] (21).

 

 

 

        Orbene, la abbia o non la abbia immediatamente presente Bachtin, un’opera come il  Poema pedagogico  si colloca  anch’essa, a suo modo, in un siffatto ordine di problemi:  perché il contenuto del romanzo, la formazione dell’”uomo nuovo” (“comunista”), si coniuga per l’appunto con l’esperienza educativa reale e  con l’effettiva procedura narrativa di Makarenko, e con  l’ineffabile come limite che si sposta, come idea regolativa della coscienza creativa; ed il narratore-educatore, scrivendo per un lettore che egli  si propone di  coinvolgere nella doppia operazione formativa (letteraria e pedagogica) di cui è artefice, ricorda le realtà sperimentate e insieme le dimentica,  se ne riappropria e parimenti le rielabora reinventando gli originari rapporti dialogici che stanno a monte della sua operazione creativa; e ciò che succede  nella composizione dell’opera   non è  che il prender corpo  di una monologizzazione, ed il farsi avanti della coscienza monologizzata come un tutto unico e unitario, che stimola, introduce e incomincia un nuovo dialogo, con ulteriori e nuove voci altrui esterne. Ragion per cui il  Poema pedagogico non è altro, alla fine, che il racconto iniziale del divenire effettivo dell’uomo, la storia di un’infanzia peculiare...

           Dalla condizione di handicap sociale e morale dell’essere “abbandonati”,  dell’essere “senza tutela”, il racconto porta ad una  condizione umana effettivamente “nuova”: che non è solo quella del non-abbandono, della raggiunta “tutela” e dell’integrazione nella “norma”. Essa  conduce invece, ben oltre la purificazione e la catarsi, all’acquisizione e al padroneggiamento  individuale e collettivo di un livello di moralità e di socialità “altra”.

          Produce  la genesi di un procedimento formativo ed educativo (che è pedagogico in quanto antipedagogico, e antipedagogico ben oltre qualsiasi pedagogia), che interessa tutti: educatori e correggendi della colonia “Maksim Gor’kij” nelle sue  fasi e denominazioni (“M. Gor’kij”, “Trepke”, “Kuriaž”), di cui via via  si racconta nel Poema; e riguarda  colonisti e  non colonisti, e vecchi, adulti, giovani, ragazzi, bambini di età le più diverse. E  coinvolge fin dal principio lo stesso Gor’kij, come scrittore-educatore-autore dei libri di testo autobiografico-pedagogici  adottati nella colonia (a cominciare da Detstvo [Infanzia])  (22), nonché, com’è noto,  primo lettore, consigliere-tecnico ed editore in progress del Poema  pedagogico...

           Un romanzo quest’ultimo che, per dirla ancora con il Bachtin del  Rabelais, è davvero un «romanzo della crescita», un romanzo d’infanzia, nei significati molteplici e complessi dell’espressione; ed intorno ai quali  lo stesso Bachtin,  sia pure cambiando tutte le cose che vanno cambiate per Makarenko, sembra  effettivamente suggerire  ulteriori indicazioni metodologiche e  uno straordinario criterio d’interpretazione. Così, per esempio, a proposito del rabelaisiano  Garganutua e Pantagruele:

 

 

          L’idea del carattere particolare del ringiovanimento umano è formulata

      qui con straordinaria precisione. Il figlio non ripete semplicemente la

      giovinezza di suo  padre.  Il sapere  del  padre,  l’uomo   più  istruito del  suo

      tempo, è insufficiente  per entrare nelle prime classi  della scuola elementare,

      cioè questo sapere  è inferiore a quello del ragazzo  della nuova  generazione,

      della  nuova  epoca. Il  progresso  storico e  culturale  dell’umanità  si muove

      continuamente in avanti e grazie a ciò la giovinezza di ogni altra generazione

      è  del  tutto  nuova,  superiore,  perché  posta  a un  livello nuovo di sviluppo

      culturale. Non è la giovinezza di un animale, che ripete semplicemente quella

      delle generazioni anteriori, ma è la  giovinezza dell’uomo storico che cresce (23).

 

       In generale, per incominciare a ragionarvi, non è, questa di Bachtin,  una definizione di che cosa debba essere proprio romanzo di educazione, romanzo d’infanzia?  E a limite, se vi si riflette ancora,  non c’è già qui una certa caratterizzazione di antipedagogia: “antipedagogia”, per l’appunto, nello stesso senso critico-oppositivo e dialettico, inventivo e innovativo, rigenerativo e prospettico, proposto da Makarenko nel Poema pedagogico?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

*     Si tratta, in parte,  di un testo radatto da chi scrive nel quadro delle attività di ricerca interuniversitaria 40%, 1997, Cofin. Murst/Univ. di Roma “La Sapienza”, in tema di “Storia e storiografia dell’infanzia; e conclusasi nel dicembre del 1999.

1.             Cfr. M. Bachtin, L’autore e l’eroe, Tepria letteraria e scienze umane. A cura di C. Strada Janovič, Torino, Einaudi, pp. 195-244 e 408-11.

2.             Cfr. A.  S. Makarenko, Sočinenija. Tom Pervyj, Pedagogičeskaja poema, Moskva, Izdatel’stvo Akademii pedagogičeskich nauk RSFSR, 1950 (e cfr. id., Poema pedagogico, nella trad. it. più recente, a cura di S. Reggio, Mosca, Raduga, 1985).

3.             M. M. Bachtin, Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja  i  Renassansa (1965), trad. it., id., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 1979, p. 93.

4.             Id., L’autore e l’eroe, op. cit., p. 68.

5.             Ibidem.

6.             Ivi, p. 210.

7.             Per fare un solo esempio, cfr, A. Rybakov, Deti Arbata (1987)/I figli dell’Arbat. Traduzione di L. Giacone e B. Osimo, Milano, Rizzoli, 1988, p. 568: dove viene registrata la situazione di un personaggio, Zida, che nell’inverno del 1934, in una zona pur remota della Siberia, procura da leggere al prtotagonista Saša, tra i libri-«novità», anche il Poema pedagogico  di Makarenko (ma fuor di romanzo, in considerazione della data, si sarebbe trattato evidentemente, della sola prima parte dell’opera: essendo le parti seconda e terza del Poema, nel ’34, non ancora pubblicate).

8.             M. Bachtin, L’autore e l’eroe, op. cit., pp. 195 sgg. e 205 sgg.

9.             Ibidem.

10.        Ivi, p. 209-10.

11.        Ibidem.

12.        Ivi, p. 219.

13.        Ivi, pp. 224-225.

14.        Cfr. ivi, pp. 211-241 e passim.

15.        Cfr. ivi, pp. 235-237.

16.        Id., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit., p. 197; e cfr. ivi, p. 448.

17.        Cfr. K. Clark – M. Holquist, Michail Bachtin  (1984), trad. it. di F. Pellizzi, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 331-332.

18.        Cfr. M. Gor’kij, in ivi, pp. 345-346 e 351n.

19.        K. Clark – M. Holquist, op. cit., p. 345.

20.        M. Bachtin, L’autore e l’eroe, op. cit., pp. 379-380.

21.        Ibidem.

22.        Cfr. A. S. Makarenko, op. cit., il cap. 10 della Parte prima e, quasi simmetricamente, il cap. 10 della Parte terza.

23.        M. Bachtin. L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit., p. 448.