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Il campo d’indagine sulle
origini dell’educazione femminile popolare, relativo all’azione svolta dalle
numerose congregazioni religiose, è in gran parte inesplorato, anche se esse
rientrano a pieno titolo nell’ambito della storia della pedagogia.
Questo tipo di esperienze, spesso originali e significative
agli effetti della crescita culturale della società, vengono ignorate dai più,
ciò causa la visione parziale, talvolta legata a stereotipi, sull’educazione
del passato.
In realtà, l’azione
educativa delle famiglie religiose, pur essendo stata spinta in vista di un
unico fine: la promozione dell’educazione cristiana, rivela diversità che
corrispondono alla molteplicità di carismi ed è legata alle esperienze di vita,
alla sensibilità culturale sociale ed umana, all’intenzionalità dei fondatori e
soprattutto alla loro capacità di leggere la situazione dei «cristiani» nel
loro tempo e nel loro spazio.
In questa convinzione trova
motivazione questa ricerca, che ha come oggetto di studio un’educatrice del
Seicento, Rosa Venerini, poco nota, ma meritevole di essere studiata per le sue
intuizioni educative, per la capacità di leggere e di soddisfare i bisogni
delle comunità in cui vive e soprattutto per la sua fedeltà al popolo,
dimostrata nella coraggiosa azione svolta con la creazione della prima «scuola
pubblica femminile», superando i limiti di un convenzionalismo che
caratterizzava allora questo settore dell’educazione.
Il periodo
storico in cui la nostra educatrice vive ed opera è la seconda metà del
Seicento e i primi due decenni del Settecento, età di tumulti, agitazioni,
oppressioni, spesso considerate semplicemente negative in realtà, tappe
necessarie per raggiungere un superiore equilibrio sociale, politico e una più
profonda e comprensiva capacità creativa.[1]
Durante questo periodo
storico si vive la convivenza di tradizionalismo e
ricerca del nuovo, di
conservatorismo e ribellione, di amore della verità e culto della
dissimulazione, di saggezza e follia, di sensualità e misticismo, di
superstizione e razionalità, dell’affermazione del diritto naturale e
dell’esaltazione del potere assoluto.
Luigi XIV
incarna questa esaltazione, tanto che sotto il suo regno la Francia raggiunge
il primato politico, culturale e civile in Europa. Si determina il trionfo
dell’assolutismo come forma costituzionale degli Stati nazionali moderni. La
riflessione filosofica accompagna, giustifica e orienta questo sviluppo, tipica
è l’idea di uno Stato che progredisce per esclusiva volontà del sovrano di
fronte ad una società che protesta senza riuscire né ad adeguarsi al dinamismo
centralizzatore della monarchia, né a scuotersi dalle spalle il giogo
dell’oppressione.
Sulla base della dottrina
elaborata dalla scuola dei giuristi francesi, il monarca gode di un potere legibus solutus investito di questa
autorità direttamente da Dio, a lui soltanto risponde del suo operato, viene a
cadere l’azione universalistica spirituale del papato che fino ad allora aveva
influenzato anche il potere temporale dei sovrani europei.
In questo contesto si
ridefiniscono gli equilibri tra le diverse aree geografiche a vantaggio
dell’Europa nord-occidentale dove si affermano nuove forme produttive e di vita
sociale. E’ il caso dei Paesi Bassi, dell’Olanda, dell’Inghilterra, soprattutto
qui, sebbene le tensioni siano forti quanto nel resto dell’Europa, la crisi si
risolve in una riorganizzazione più avanzata delle forze produttive preparando
così il grande balzo della rivoluzione industriale.
Rosa Venerini
nasce a Viterbo il 9 febbraio 1656 e muore a Roma il 7 maggio 1728, appartiene
alla società barocca, un corpo, un organismo sociale in cui ogni elemento non
solo ha un posto ed una funzione ben determinati, ma anche il suo interno è
strutturato e organizzato secondo gerarchie riconosciute ed accettate.
Indubbiamente la
fascia del disordine e della confusione si allarga in questa età: basta pensare
all’espansione delle città, che spesso è tale da non riuscire ad incorporare le
ondate dei nuovi venuti nelle strutture dell’organizzazione tradizionale. Gli
emarginati crescono, preoccupano, provocano reazioni e provvedimenti di vario
tipo, ma nell’insieme questi fenomeni sembrano abbastanza controllati, e non
tali, comunque, da dominare in senso assoluto il clima generale e da rovesciare
il principio di organizzazione diffuso che governa la società barocca urbana e
in certa misura anche rurale.[2]
Rosa non tenta di rompere
questa struttura, accetta la tradizione nella quale viene educata, si inserisce
nell’organismo e trova un suo posto riuscendo comunque a portare una novità
importante: la sua dichiarata «fedeltà al popolo», questo quando gli stessi
politici ammettono di avere il compito di servire il popolo, ma concordano
anche sul fatto che il popolo non debba aver voce in politica.
La miseria e l’ignoranza non
sono concetti capaci di turbare il vocabolario degli statisti. Turbano invece
questa giovane donna, la quale reagisce ponendosi come obiettivo fondamentale
della sua vita un progetto educativo: «salvare le anime», ovvero formare le
nuove generazioni «alle virtù e di condurle a Dio» e questo interesse non è
usuale per una donna appartenente alla media borghesia.
In epoca barocca
essere «borghese» significa possedere un titolo legale indicante un certo status e rango collegato con un’attività
economica redditizia e uno stile di vita quasi nobiliare.
Perciò il borghese è una
persona finanziariamente solida e rispettabile, che appartiene o è prossima
alla élite municipale.
Se analizziamo
la famiglia Venerini rileviamo che suo padre Goffredo, è un medico, appartiene
quindi, alla classe dei liberi professionisti come giudici, avvocati, educatori
ed altri operatori di successo del «mercato della cultura». Sua madre, Marzia
Zampichetti, proviene da una famiglia appartenente alla nobiltà viterbese.
Certamente per questa
famiglia l’istruzione e il contatto regolare con la parola stampata
costituiscono una dimensione cruciale, non si spiegherebbe in pieno la scelta
dell’apostolato educativo da parte di Rosa. Del resto anche i suoi due fratelli
studiano, Domenico per diventare medico e Orazio per diventare avvocato.
Ciò che appartiene a questa
famiglia delle caratteristiche borghesi dell’età barocca è senz’altro la
fierezza nel lavoro, la ferma credenza nella honneteté, tanto che Goffredo viene nominato direttore
dell’ospedale cittadino pur essendo un forestiero, è originario delle Marche.
Della mentalità del borghese
bisogna inoltre tener conto non solo la visione di sé della società, ma anche
le sue nozioni di fede, santità e peccato. Il carattere fortemente personale è
ciò che più distingue la vita spirituale della borghesia cittadina da quella
delle altre classi sociali.
In ogni aspetto
della vita religiosa, il borghese tende ad accostarsi al divino in modo
intellettualmente attivo e, in certa misura, individualistico, imperniato sugli
strumenti forniti dall’istruzione, specialmente sulla meditazione individuale,
con il supporto della lettura della Scrittura e di libri di devozione. Questa
personalizzazione della pietà ha grande importanza nella esclusione dei
borghesi dal mondo della religione popolare, molto più incline alle
manifestazioni esteriori.[3]
Questo nuovo individualismo è più che mai incentrato sulla famiglia.
Il mondo interno in cui il borghese, stanco della scena cittadina, si ritira è forgiato sul modello di una solida virtù raggiunta attraverso la vita familiare.
Famiglia, intesa diversamente da quella aristocratica, non ossessionata dal lignaggio, alla virtù eroica del passato aristocratico si sostituisce la mentalità che esalta la pietà, la sobrietà, la spontanea assunzione della responsabilità.
La moralità diventa ben presto il vero fulcro dell’identità del borghese, soprattutto perché gli fornisce un mezzo straordinariamente efficace per distinguere se stesso, le sue attività, i suoi valori dalla dissolutezza dell’aristocrazia e dalla promiscuità delle classi popolari.[4]
Rosa Venerini è figlia di questa mentalità, la sua famiglia vive pienamente questi ideali grazie ai quali può maturare il suo progetto di vita così nuovo per una donna, alla quale sono riservate ben altre funzioni in questo periodo storico.
In un tempo che vuole le donne mogli e madri o monache, Rosa si qualifica come «Maestra», il 30 agosto 1685 apre «la prima scuola pubblica femminile in Italia» nella sua città natale, Viterbo, creando per sé e le sue compagne un ruolo nuovo nella società, da questa data le donne avranno una terza via per affermare la propria individualità:
Il 30 agosto 1685, essa
insieme a due compagne, aprì una scuola gratuita per le fanciulle povere, in
una casa presa in affitto, con l’approvazione del card. Sacchetti, vescovo di
Viterbo, e colla benedizione del Generale della Compagnia di Gesù.[5]
Il Seicento è un periodo di confusione dottrinale. Nella grande crisi religiosa del secolo precedente la partecipazione di vasti strati popolari alle guerre di religione contribuisce a gettare nella desolazione gran parte degli europei più coscientemente cristiani ed è uno dei principali fattori della rottura della spiritualità non solo tra riformati e cattolici, ma anche in seno a questi ultimi.
La strategia cattolica si trova, dalla metà del Cinquecento in poi, di fronte a una duplice esigenza evangelizzatrice: recuperare alla fede gli sviati e consolidare l’adesione spirituale di chi è rimasto fedele a Roma. La profonda crisi aperta da Lutero ha dimostrato fra l’altro che la fede è assai debole e ciò in relazione con le deficienze dell’insegnamento.
Al di là della Manica un’intera isola ha finito con lo svincolarsi dal papato e per di più la dottrina della Chiesa anglicana comincia a somigliare a quella di alcune grandi correnti protestanti.
Rosa, consapevole del problema della Riforma protestante per la Chiesa cattolica, in una sua lettera ad una compagna, in occasione della nascita dell’erede al trono, si augura che l’Inghilterra possa ritornare in seno alla Chiesa cattolica:
Ieri a ventitré ore partorì
la regina di Inghilterra un bel fanciullo maschio; credo e spero per far
tornare la santa fede in quel regno ingiustamente posseduto dai nemici di
nostra santa fede.[6]
Evidentemente la Riforma ha sorpreso i cristiani privi di una conoscenza adeguata dei fondamenti della fede, a questa situazione è necessario porre rimedio. Di conseguenza il Concilio di Trento, oltre a definire la dottrina su alcuni punti di grande importanza come i sacramenti, elabora un vero programma di divulgazione fondato soprattutto sulla formazione dei sacerdoti, sulla predicazione e sull’insegnamento del catechismo.[7]
La predicazione, in particolare, è oggetto di una delle prime sessioni della grande assemblea tridentina, viene emanato il decreto Super lectione et praedicatione.
E’ indispensabile che i pastori d’anime insegnino «ciò che tutti devono sapere per conseguire la salute eterna», ed espongano «con brevità e chiarezza i vizi da evitare e le verità da mettere in pratica per sfuggire alle pene dell’inferno e acquistare l’eterna felicità».
I predicatori si impegnano soprattutto nelle campagne, si tratta di un’evangelizzazione itinerante in cui un gruppo di essi, attivi specialmente nelle zone rurali, istruisce la gente e ne ravviva la fede per mezzo di sermoni e pratiche devote. Essendo il clero secolare poco idoneo a disimpegnare compiti di questo genere, l’onere delle missioni viene sostenuto soprattutto dagli ordini monastici e dalle nuove congregazioni.
A seconda che sia rivolta a convertire i protestanti o a elevare le condizioni spirituali dei cattolici, la missione tende a insistere maggiormente sull’attività di catechesi o su quella penitenziale, tuttavia i confini tra i due tipi sono meno nettamente definiti di quanto ci si potrebbe aspettare. Prevale un’idea unitaria dell’apostolato, che si rispecchia in una conversione generalizzata di tutte le anime, che non fa troppe distinzioni tra eretici e semplici ignoranti.[8]
Nelle zone in cui Rosa opera, nelle quali si fanno più gravosi la questione sociale e contadina, fervono queste «missioni interne» ad opera di Leonardo da Porto Maurizio, di Paolo della Croce, ecc. Qui appare necessaria, tanto alla Chiesa, che alle stesse comunità locali, anche un’opera di missione rivolta in modo specifico alle donne, e soprattutto alle fanciulle.
Il lavoro di campagna è ritenuto assai disdicevole e pericoloso sul piano morale e dell’onore per le donne, in questa direzione le scuole di Rosa svolgono, nelle zone rurali, un’azione di collaborazione con i predicatori, ella è volentieri loro «cooperatrice» negli sforzi di evangelizzazione e di miglioramento dei costumi in queste zone. La Venerini, del resto concepisce il proprio operato come:
Una tacita ed efficace
missione.[…]
Fu chiamata da vari Vescovi in varie diocesi a
fondare le scuole, come eseguì non solamente in più luoghi della diocesi di
Viterbo.[9]
Per quanto riguarda la formazione sacerdotale il Concilio dà delle indicazioni generali sui metodi e le scuole valide per tutti i paesi cattolici.
Si realizza una certa omogeneità in materia e nascono istituzioni con lo scopo di formare i futuri preti. Essi hanno regole di vita e orientamenti formativi ispirati ad un’unica scelta. Molto spesso però quegli orientamenti e quelle norme rimangono solo degli auspici, i singoli paesi o le chiese locali conservano le loro precedenti tradizioni o adeguano le direttive romane in funzione del contesto specifico in cui sono applicate.
Lo stesso discorso vale anche per le varie regioni italiane: la normativa tridentina viene recepita quasi ovunque, ma considerata spesso solo una dichiarazione di intenti. Solamente in certi casi, valga per tutti la regione lombarda, dove opera il vero realizzatore dei seminari tridentini, Carlo Borromeo, i decreti del Concilio di Trento vengono applicati fedelmente. In altri casi rimangono sostanzialmente lettera morta, in altri ancora a un primo periodo di entusiasmi subentra un periodo di crisi e di abbandono di quanto era stato realizzato.
Nonostante ciò,
la Chiesa riesce
ad incrementare la sua egemonia, grazie ad iniziative provenienti dal «basso» e
per il «basso», in particolare quelle dedite alle nuove generazioni, sono
promossi e diffusi un insieme di valori cristiani e sono forniti, per quanto in
maniera non sempre lineare né esente da chiusure, alcune significative risposte
ai nuovi bisogni educabili e sociali della penisola.[10]
A tale scopo sorgono in
moltissimi luoghi le Scuole della
Dottrina Cristiana, riunioni domenicali, nelle quali si insegna la sola
dottrina cristiana. Le Scuole Pie non
sono che lo sviluppo di esse.
Il primo a istituire le
Scuole Pie è Giuseppe Calasanzio che nel 1597 apre a S. Dorotea in Trastevere
una scuola di catechismo dove si insegnano anche la lettura, la scrittura e
l’aritmetica, egli ideò e tradusse in pratica la prima vera Scuola Pia gratuita. Si hanno in seguito molte altre istituzioni
del genere, la massima fu fondata nel 1681 da Giovanni Battista de La Salle, i Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali
giungono a Roma nel 1702 e aprono la loro scuola gratuita in via della
Purificazione, poi trasferita a S. Felice presso Trinità dei Monti…[11]
Diversa è la situazione per
l’educazione della gioventù femminile.
Per una
formazione letteraria elementare o superiore delle fanciulle, quando non è
possibile in famiglia, ci si rivolge a qualche monastero, dove vengono accolte
le giovani come educande, oppure ai conservatori,
con il duplice scopo di difenderle dai pericoli della miseria e di prepararle
alla vita futura mediante l’istruzione elementare e l’avviamento ai lavori
domestici.[12]Tutto questo
riguarda la città, le fanciulle del popolo delle
campagne, oltre ai pochi
elementi di Dottrina Cristiana, non ricevono nessuna formazione culturale e
sono inevitabilmente condannate a restare analfabete.
C’è comunque chi
si dedica a loro, la prima e forse la più grande, è Angela Merici che accoglie
accanto a sé, a Brescia nel 1535, un gruppo di giovani donne, le Orsoline, che osservano i consigli
evangelici senza vincolo di voti, senza un abito particolare, senza praticare
vita comune. Realizzano la loro consacrazione a Dio non tra le mura di un
chiostro ma nella famiglia e nella società.[13]
Questa esperienza influenzerà profondamente, nonostante le opposizioni e le
resistenze, la vita religiosa femminile successiva.
Non mancano altre
fondazioni: le Figlie della Compagnia di
Gesù (1545), le Suore della Compagnia
di S. Caterina, dette le «Caterine»
(1571), le Devotesse o Gesuitesse
(fine secolo XVI), le Canonichesse di S.
Agostino della Congregazione di Nostra
Signora (1597), le Benedettine della Congregazione di Nostra Signora
(1606),l’Istituto della Beata Vergine Maria, detto delle «Dame Inglesi» (1609), l’Ordine della Visitazione (1610), le Suore
della Dottrina Cristiana, dette «les
Vatellottes» (1615), le Figlie della
Santa Croce (1625), le Genoveffiane
o Suore della Santa Famiglia (1636),
le Figlie della Provvidenza (1662),
le Oblate del Bambino Gesù (1672),
ecc.
Bisogna rilevare
che queste fondazioni sono per lo più istituti di tipo tradizionale, vere case
religiose con clausura, ma con l’obbligo di avere una scuola per fanciulle. Le
scuole, utilissime in se stesse, non sono suscettibili di grandi sviluppi,
ognuna suppone un monastero e il personale insegnante
è legato ad esso. Questi istituti sorgono in tutta l’Europa, segno evidente che il bisogno è generale.
Si deve anche
dire che la Francia è all’avanguardia, mentre gli altri Stati restano molto
indietro, l’Italia è tra gli ultimi. Infatti solo le Orsoline e le Oblate sono
istituti italiani e la loro attività è molto inferiore rispetto alle necessità
reali.
Nello Stato Pontificio
esistono le già ricordate Scuole della Dottrina Cristiana, nelle quali però
manca ogni altra formazione elementare. Per dare ad una fanciulla una certa
educazione si ricorre anche qui all’educandato presso qualche monastero.
La grande maggioranza delle
fanciulle, specialmente del popolo, soprattutto nelle campagne, cresce senza
alcuna formazione. Nella stessa Roma, nonostante i numerosi monasteri e i vari
Conservatori, la lacuna si fa preoccupante, tanto che il papa Alessandro VII
per provvedere nel 1655 fa aprire 30 scuole nei vari rioni di Roma, le Scuole Pontificie, le cui maestre sono
le donne maritate, educate già in qualche Conservatorio. Nel 1695 le Scuole
Pontificie sono 50, ma solo in 5 si insegna anche a leggere e scrivere.[14]
A Viterbo, città natale
della nostra educatrice, le cose vanno assai peggio. «Città dei papi», chiamata
la «Metropoli del Patrimonio» di S. Pietro, ha scritto pagine di eroica
grandezza, ma nei secoli XVII-XVIII ha ormai perduto in massima parte
quell’importanza politica che l’ha resa famosa.
Essa sorge nella
pianura ai piedi dei monti Cimini, nel cuore dell’alto Lazio, tra boschi di
faggi, castagni e cerri. Il paesaggio rivela la sua origine vulcanica,
bassorilievi tufacei si alternano a profonde gole create dall’attività erosiva
di numerosi piccoli corsi d’acqua, in genere affluenti del Tevere.
La popolazione, che nel
secolo XVIII si aggira attorno ai 14.000 abitanti, si dedica all’attività
agricola e alla pastorizia, inoltre botteghe di artigiani locali soddisfano le
esigenze della comunità.[15]
Le istituzioni
religiose abbondano, più di 70 chiese, delle quali 14 parrocchiali, 15 conventi
religiosi, 9 monasteri di monache, più un conservatorio detto delle «zitelle
sperse». Poi, molte Confraternite di laici.
Nel 1640 muore, in fama di
santità, Giacinta Marescotti, clarissa del monastero di S. Bernardino. La vita
religiosa, almeno apparentemente a Viterbo, è florida.
Se indaghiamo sul problema
dell’educazione della gioventù le cose si rivelano molto gravi. Per la gioventù
maschile, in realtà, i Padri Gesuiti hanno aperto fin dal 1622 un Collegio, ma
i ragazzi del basso popolo rimangono in gran parte analfabeti. Per le fanciulle
vi sono i vari monasteri femminili che le accolgono come educande, ma anche qui
il ceto popolare non può permettersi questo lusso.
Questo lo stato di cose a
Viterbo quando Rosa Venerini incomincia ad occuparsi delle fanciulle,
accogliendole la sera a casa sua per insegnare loro la Dottrina Cristiana:
«Padre, io parlo per esperienza, poiché sono due
anni, che dalle 22 ore fino alle 24 facendo io la Dottrina Cristiana in mia
casa ad alcune ragazze del vicinato, mi sono accorta, che si fa un bene
grandissimo, e molto maggiore si potrebbe fare facendo loro una scuola apposta»[16]
La constatazione
dell’ignoranza di cui sono vittime le donne del popolo, che all’inizio della
sua opera Rosa invita a casa sua per la recita del Santo Rosario e delle preghiere,
fa maturare in lei la volontà di fondare un’autentica scuola per le fanciulle e
le loro madri.
Questa scelta le impone di
dover leggere e soddisfare i bisogni dell’utenza alla quale si rivolge, è
necessario conoscere che tipo di terreno accoglie la sua opera.
«A j’omo che ‘gni manca mai
‘a fatica scorte ‘a valigne e vè ‘a jva, a j’omo che ‘gni manca mai ‘o da fa,
scorte ‘a jva e vè ‘o vangà. (l’uomo cui non manca mai il lavoro, finisce la
vendemmia e incomincia l’oliva, l’uomo cui non manca mai il da fare finisce
l’olivo e inizia a vangare)»[17]
A Viterbo, come in tutto lo Stato Pontificio, grande importanza riveste il grano, la vite e l’olivo. Ognuna di queste colture ha proprie operazioni divise nei vari periodi dell’anno nelle terre affittate o affidate dai proprietari ai contadini. La loro vita, quindi anche quella delle fanciulle che Rosa chiama nelle sue scuole, è scandita dai tempi di queste operazioni, ciclo del grano, raccolta delle olive, vendemmia.
Il lavoro, in alcuni periodi poi coinvolge l’intera famiglia, ad esempio, nel ciclo del grano alle donne toccano le operazioni di trasformazione del prodotto, la preparazione dei viveri e il loro trasporto sul campo.
La prima operazione inizia nel periodo di maggio giugno (maggese), essa avviene con l’aratro di legno. L’aratura è un lavoro esclusivamente maschile, l’aratore è unico, può far eseguire ai buoi, sempre di in numero di due, tutti i movimenti richiesti usando la voce o il fischio. Le donne in questo periodo si occupano della casa e della preparazione e trasporto del cibo.
Tra settembre e ottobre iniziano le operazioni di seconda aratura, esse consistono nell’attraversare i solchi in verso contrario a quello della passata maggese, al fine di permettere la completa aratura del terreno.
Nei mesi di ottobre novembre si incomincia la semina, che prevede un lavoro collettivo e diverse fasi operative.
La tecnica consiste nel prendere con la mano destra dal sacco triangolare di panno di canapa, tessuta dalle donne e portato in avanti sulla spalla sinistra sorretto dal braccio sinistro, una manciata di semi che descrive un arco che raggiunge nelle estremità due solchi divisori. Questo tipo di spargimento del seme si fa con un’andata e un ritorno sullo stesso pezzo di terra.[18]
Mentre il seminatore continua la sua opera, il bovaro comincia a coprire il seme. Segue la zappatura del grano, lavoro faticoso e di precisione perché si zappetta intorno alle piccole piante che possono essere sradicate alla minima distrazione, questo è perciò un lavoro prevalentemente femminile.
Alla fine di febbraio, primi di marzo vi è una seconda zappatura, verso la fine di aprile fino alla metà di maggio si diserbano i campi di grano e sono sempre le donne a farlo: le lavoratrici si dispongono in fila, fianco a fianco sradicando con le mani le erbe infestanti e le buttano a terra affinché secchino.
Intorno alla fine di giugno iniziano le operazioni di mietitura, lo strumento per mietere è la falce, il lavoro inizia al mattino presto, già prima dell’alba, molti lavoratori per questo pernottano in campagna, dormono all’aperto su giacigli di stoppie.
Le giornate della mietitura sono le più lunghe e faticose, per questo sono previsti più pasti: al mattino, a mezzogiorno, nel pomeriggio e alla sera.
Sono naturalmente le donne che preparano da mangiare e venuto il momento si avviano con i cesti in testa verso i campi, portando spesso anche i figli piccoli.[19]
E’ naturale che con questa vita non si pensasse all’educazione e all’istruzione delle figlie. Esse non possono avere l’attenzione delle loro madri, le quali debbono seguire i mariti o i parenti che lavorano nei campi, questo soprattutto durante la mietitura. Ogni mietitore, infatti, ha il diritto di portare con sé una «spigolatrice», che di solito è una parente, la quale procede affiancata come i mietitori e dietro di loro.
Le spighe che cadono durante la mietitura vengono raccolte fino a formare un mazzo più grande possibile, il lasciar cadere le spighe da parte del mietitore viene preso come un segno di affetto, ma è anche un calcolo economico, le spigolatrici non debbono nulla, del grano raccolto, al proprietario né prestare servizio di alcun genere presso la sua famiglia.[20]
Il trasporto dei «manocchi» ai luoghi di trebbiatura avviene attraverso i muli: un telone è posto in maniera da formare due grandi sacchi ai lati dell’animale, i manocchi vengono disposti in modo da avere le spighe rivolte all’interno del sacco, quattro per ogni sacco e altri due posti sul basto del mulo con le spighe verso il centro, il loro numero varia a seconda del peso del grano.
La trebbiatura avviene disponendo su grosse tele, le spighe di grano distese a scalare. I battitori si dispongono in due squadre e si alternano ritmicamente nel battere, ogni battuta ha due tempi, il primo più forte il secondo più debole. Terminato questo lavoro, la sera a levar del vento, tramite ceste riempite di semi, vengono rovesciate con le braccia e alzate in modo che il vento porti via la pula e la paglia rimaste.
Il grano viene quindi riposto in sacchi e trasportato a casa a schiena d’asino. La trebbiatura può avvenire anche tramite animali, di solito sono più famiglie della stesso ceppo che usano l’aia e riuniscono la forza lavoro degli uomini e degli animali.[21]
Trasportato a casa il grano inizia l’opera femminile vera e propria, quella della pulitura delle sementi. Con un grande setaccio, che viene fissato ad una trave della casa e con tre corde che permettono un movimento circolare e ondulatorio. La scelta delle sementi per la seguente stagione avviene in questa occasione, se non è avvenuta già sul campo.
La vite e l’olivo sono le altre due risorse della terra di cui i contadini debbono occuparsi. La zona di coltivazione tradizionale della vite è la bassa pianura, anche se piccole estensioni in collina e in montagna a media altezza sono destinate a tale coltivazione.
Si fanno arrampicare tre o quattro piante di vite su un sostegno dato dall’«ornello», l’acero silvestre che viene potato contemporaneamente alla vite, in maniera che non sviluppi ramificazioni, ma mantenga la forma di una mano semiaperta a supporto dei tralci.
Il terreno a valle è invece sfruttato con la coltivazione consociata di granturco, fagioli e soprattutto ortaggi, ma è una economia di sussistenza, solo il feudatario ha la possibilità di vendere la sovrapproduzione.[22]Esso è ripartito in piccoli appezzamenti, confinanti con fossi di scolo delle acque, vengono ripuliti prima della vangatura, nei mesi di gennaio febbraio, poi la vite viene potata e inizia la legatura che si protrae fino a marzo.
La potatura della vite viene fatta prima della maggese, in maniera da non rovinare il terreno con i piedi.
A maggio incominciano le prime irrorazioni, ogni otto giorni con il sole e ogni quattro cinque con la pioggia, fino al momento della fioritura. Alla fine di maggio e per tutto il mese di giugno continuano le operazioni di «scacchiatura», in questa operazione è già presente la forma della vite dell’anno successivo. La «spampanatura», a giugno luglio, consiste nel salvaguardare i grappoli già formati da infiorescenze, foglie e piccoli grappoli detti «nipoti».
Ad ottobre iniziano i primi lavori della vendemmia che vedono all’opera uomini, donne e ragazzi, il trasporto dell’uva è fatto con le bigonce poste ai limiti del campo e riempite ogni volta che i cesti sono colmi. Le bigonce vengono montate sugli asini e trasportate nelle cantine, poi si incomincia la pigiatura a piedi scalzi, operazione prevalentemente femminile.
L’operazione di vinificazione più diffusa è quella a botte chiusa, reclinata, dopo il trattamento s’infila una cannella nel fondo anteriore della botte da cui esce il vino raccolto in alcuni recipienti e versato in un’altra botte predisposta per l’occasione, nel frattempo si toglie il tappo che chiude il foro superiore della botte reclinata e si fa uno straccio impastato di cenere bagnata. Man mano che la botte si svuota, per favorire la fuoriuscita del vino, viene leggermente inclinata in avanti e inseriti sotto la parte posteriore della botte i pali di legno. Questa operazione è ripetuta varie volte finché, terminato il vino chiaro, viene aperta la parte inferiore della botte e fatto scendere il vino torbido mischiato a vinaccia, questo strato superiore di vinaccia è tolto per evitare che il vino inacidisca. L’operazione è delicata e per compierla con precisione l’interno viene illuminato con una candela.
L’operazione di torchiatura è l’ultima, il vino prodotto viene versato nelle damigiane e «tramutato» più volte per farlo decantare ed eliminare il deposito.[23]
Infine l’olivo. Esso è affiancato da coltivazioni intensive e spesso associato ad alberi da frutta, oppure accompagna il degradare del seminativo verso i boschi spesso con pochi alberi. Il lavoro è fatto da manodopera salariata nelle grandi proprietà delle chiese, le olive vengono spremute nei torchi per olio esistenti nel territorio ad energia animale o idraulica.
I dissesti idrogeologici, derivati dalla distruzione del manto vegetale a causa dell’intenso sfruttamento di quest’epoca, comportano una trasformazione dell’assetto territoriale. Nelle montagne subentra il pascolo promiscuo e bonificato con colture e coltivazione di cereali meno nobili.
Questi oliveti, spezzettati e mai concimati, hanno una resa piuttosto alta. Vengono innanzitutto disposti sotto la pianta teli di canapa, nei terreni terrazzati, sorretti alle estremità con delle canne o aste per non far scappare le olive cadute.
Il lavoro è diviso, l’uomo sulla pianta per far cadere le olive dai rami alti, la donna quelle dai rami bassi e con una pertica batte i rami alti.
Mentre i lavori di raccolta procedono la donna da una parte inizia le operazioni di pulitura delle olive dalle foglie per poi raccoglierle nel canestro e al sacco per il trasporto. I sacchi si caricano sul mulo e si torna a casa.[24]
Un lavoro prettamente femminile, che serve alla fabbricazione della biancheria e dell’abbigliamento costituente parte importante della dote della donna, è la coltivazione della canapa. Innanzitutto la terra deve essere preparata con grande accuratezza, lavorata con la vanga, concimata dalle pecore per una o più notti e poi zappata ancora. Si semina come il grano, si copre il seme con la zappa, se il terreno non è abbastanza umido lo si innaffia.
La canapa detta «femmina» si raccoglie una decina di giorni prima della canapa detta «maschio», la prima si coglie a mano, tagliate le radici si formano i mazzi, legati alle due estremità con la canapa stessa. Si mettono poi a seccare al sole per tre quattro giorni, appoggiati gli uni sugli altri a croce e disposti sul terreno in modo da formare un ferro di cavallo. Il «maschio», si raccoglie allo stesso modo.
Dopo che si è seccata al sole viene messa sui teli e battuta per la seconda volta, se non basta bisogna ripetere l’operazione una terza volta ancora. I mazzi di canapa si mettono a macerare nei fossi, questi ultimi servono allo scolo delle acque, vengono quindi distesi l’uno accanto all’altro nel fosso, mentre due di essi sono appoggiati nell’altro senso alle due estremità per impedire che si alzino. Sul tutto si mettono dei sassi, in modo da evitare che vengano a galla, dopo otto dieci giorni, quando si staccano dei filamenti dal gambo, la canapa è pronta per passare ad un’altra fase di lavorazione.
Il lavoro legato alla maceratura è il più ingrato, per poter entrare nell’acqua e tirare fuori i mazzi da asciugare al sole le donne debbono togliere le scarpe, spogliarsi e rimanere in sottoveste, se poi piove allora l’acqua può arrivare fino al petto, mentre il puzzo della canapa peggiora le condizioni di lavoro. I mazzi tirati fuori si mettono ad asciugare al sole, addossandoli gli uni agli altri in modo da formare una capannuccia. Una volta asciugata, la canapa viene trasportata, sulla testa o sul dorso del mulo, davanti alle stalle fuori dal paese. Adesso si spezza e si stropiccia con le mani in modo da rompere e far cadere la parte interna della pianta, poi con la «gramola», attrezzo di legno a quattro zampe, si termina l’operazione.
La pettinatura si fa con due tipi di pettine, uno a denti larghi, l’altro a denti più stretti: si mettono su un tavolo in piedi, si getta su di essi la canapa e si tira. Essa viene bagnata con un po’ di olio, il pettine stretto serve per ricavare il materiale più raffinato.
Poi avviene la filatura con due tipi di «conocchia», una formata da un bastone, la cui estremità si fende in sette otto gretole le quali si incrociano in modo da formare una specie di canestrello all’interno del quale si inserisce il «toppo»; nella seconda conocchia le gretole sono tagliate nella metà superiore del bastone ed appena slargate, attorno si avvolge il «mallone» sopra il quale viene inserito il «copriconocchia» di cartoncino cucito.
L’estremità inferiore della conocchia si infila a sinistra della cinta o nel grembiule oppure si tiene ferma con un laccio in vita, sopra il petto la conocchia viene fissata al vestito con una spilla, mentre la mano sinistra prende un poco di canapa la destra fila.
Ogni tanto le dita della mano destra vengono portate alla bocca e bagnate per farle scorrere meglio sul filo. Il filato viene legato al fuso tramite un uncino di ferro, nella parte inferiore del fuso è inserita una rotella che permette la rotazione.
Le donne filano soprattutto la sera intorno al fuoco, alcune si riuniscono, nella stessa casa, e filano fino a tardi chiacchierando. Forse è anche per questo motivo che la Venerini trasformerà il suo catechismo serale per grandi e piccole in una scuola solo per fanciulle, le adulte sono troppo impegnate con il lavoro.
Una volta ottenuto il filato, si formano le matasse con l’«aspo», un bastone lungo sul quale obliquamente sono piantati dei bastoncini intorno ai quali si fa girare la canapa: sette fusi forma una matassa. La matassa a sua volta viene appoggiata su una croce di legno infilata orizzontalmente su un perno di legno girevole alle cui estremità sono praticati dei fori all’interno dei quali sono infilati dei bastoncini. Il filato è prima avvolto intorno ad un bastoncino, poi quest’ultimo si toglie e si continua ad aggomitolare, da ogni matassa si ottengono dai due ai quattro gomitoli, essi a gruppi di venticinque vengono inseriti in una scatola divisa in venticinque vani, i venticinque fili, a loro volta, sono inseriti nei venticinque buchi praticati in un attrezzo di legno. I fili che escono dai buchi sono presi con la mano e avvolti intorno al corpo principale della scatola formato da quattro stanghe di legno alte due metri circa, esse ruotano intorno ad un asse di legno il quale costituisce il perno.
Il filato ordito viene annodato in modo da formare una treccia per evitare che questi si imbriglino. I fili dell’ordito sono lunghi quanto un pezzo di panno, nove metri, l’orditoio contiene fino a dieci pezze, per riempirlo completamente di canapa ordita occorrono tre ore.
Le pezze poi si lavano con la cenere e si asciugano, si battono e si stendono al sole, girandole ogni tanto per farle venire più bianche.
I prodotti si diversificano a seconda che venga usata tela più o meno raffinata, quest’ultima viene utilizzata per i pannoni delle olive, sacchi per il grano, pezze, ecc. Invece la tela più raffinata è utilizzata per lenzuola, tovaglie, salviette, asciugamani sottovesti, camicie e altro, alcuni pezzi vengono anche ricamati.[25]
Rosa dà uno spazio importante ai «lavori donneschi», perché ne comprende l’utilità spendibile immediatamente in famiglia:
S’insegnano, cioè far calzette,
cucire, far merletti a piombino e simili.[26]
Il problema di fondo che caratterizza la società di quest’epoca è, lo ricordiamo, l’estrema povertà. C’è sempre un contesto denso di squilibri sociali e di incolmabili disparità economiche che in alcuni momenti determinati si accentua di più.
Rosa Venerini si inserisce in questo mondo, anzi si integra con esso.
Ella deve all’inizio combattere con la sua utenza, convincere i genitori a mandare nella sua scuola le loro figlie, dimostrando come il suo insegnamento non sia lontano dalle necessità quotidiane in cui esse vivono:
[Le
ragazze] a poco a poco erano divenute molto istruite nelle cose della Fede, a
segno che facevano da maestre agl’istessi lor genitori.[27]
Saper subito produrre dei risultati immediati, fruibili in poco tempo.
Quando Rosa giunge in un paese si informa delle abitudini, degli orari di lavoro, delle condizioni delle famiglie, a cui «toglie» le figlie, per poter organizzare la scuola in modo da non creare difficoltà. Non ruba tempo alla vita familiare, ma la migliora attraverso l’insegnamento.
Gli orari scolastici sono flessibili e se qualche bambina o qualche madre giunge a lei con dei problemi sulla conduzione della casa o di altro
genere Rosa non si tira indietro.
Fin dall’inizio l’attenzione di questa educatrice è concentrata sulla condizione della donna, la sua prima iniziativa consiste nel chiamare madri e bambine, nell’ospitarle nella sua casa e attraverso la preghiera del Rosario serale, rendersi conto della situazione in cui vivono:
Osservò
Rosa nel dirsi il santo rosario e proporsene i misteri, che alcune di quelle
donne e fanciulle erravano; onde essa avanzò ad istruirle, e dipoi interrogarle
sopra le cose principali di nostra fede, nel che trovò in molte di esse sì
grande ignoranza, e sì gran bisogno di esser ammaestrate, che stimò bene
cambiar quella funzione in un catechismo.[28]
Diventa subito cosciente della situazione, della vita che conducono le donne e le ragazze povere della sua città, assorbite tutto il giorno nei lavori dei campi, a servizio delle famiglie agiate e per questo costrette a sacrificare loro stesse.
Rosa Venerini, animata da una imperiosa esigenza di carità, intesa non solo come assistenza (ad es. ospedaliera) ma soprattutto come educazione, nella consapevolezza che una forma eminente di aiuto è appunto la formazione, apre la prima scuola pubblica femminile in Italia, concepita come il principale mezzo per l’educazione cristiana dei giovani, come il modo più efficace per la riforma della società.
Gli anni in cui vive ed opera sono tempi di distruzione, l’interminabile «Guerra dei Trent’anni» fa svanire il sogno di un’Europa raccolta intorno a un grande impero cristiano sovranazionale, ma il problema di fondo che caratterizza la società è l’estrema povertà per cui a un ristretto numero di ricchi si oppone una massa notevole di poveri, emarginati, di persone che vivono in condizioni subumane.
essa non ha più un posto nell’economia europea visto che il suo ruolo produttore è ormai marginale.
Segno evidente di questo stato di fatto è dato dalla miseria dei ceti più bassi della società, in particolari condizioni di miseria si trovano i contadini, i quali non consumano prodotti di loro spettanza, ma sono spesso costretti a coprirsi di debiti pur vivendo con maggior frugalità, più poveri dei poveri.
A sua volta lo Stato
Ecclesiastico versa in condizioni di estrema miseria: lo sfruttamento della
terra, che per secoli è stato la base, non solo del sostentamento dei sudditi
romani, ma della possibilità di entrare in validi rapporti di scambio con
l’estero, è ormai in un irreversibile declino:
Lo
Stato Ecclesiastico è dalla Divina Provvidenza così abbondantemente provveduto
di grani, ogli, vini, sete, lane e canape e d’altre cose necessarie all’umano
sostentamento che non solo i Popoli, che lo compongono, siano dispensati dal
ricorrere per veruno di questi Capi alle parti remote, o vicine, ma ancora
abbiano facoltà di mantenere il commercio interno, e rendere fruttuoso
l’esterno col sovrabbondante delle loro grascie, e d’altri provvedimenti della
terra e dell’industria.[29]
Anche l’iniziativa come la
fabbrica statale di S. Michele a Ripa di fornire le «pannine» per il distretto
di Roma appare un monopolio dannoso per i produttori delle province:
Fratanto è da considerarsi come allo smaltimento de panni, che si fanno nello stato Ecclesiastico, in varii luoghi apporta sensibile pregiudizio la fabbrica aperta a Roma a S. Michele a Ripa, dalla quale si pretende tener Roma, e suo Distretto provvista di pannine; queste però non incontrano il gusto universale riguardo al prezzo. […] Non ricevono i sudditi della fabbrica di S.Michele alcun sollievo, e servendo anzi a danneggiare quelle, che sono fuori Roma, sarebbe opportuno consiglio, che quel luogo
pio cessasse di fabbricar
pannine, e più tosto si applicasse a i lavori di stoffe, et altri lavori
sottili, quali ci vengono introdotti dalle nazioni Straniere con tanto nostro
danno per la grande uscita del denaro.[30]
L’economia dello Stato Pontificio poggia quasi del tutto sull’agricoltura, la quale si basa sulla fertilità naturale e sul lavoro umano, ma la prima è esaurita dallo sfruttamento dei secoli, il secondo si applica alla terra senza criteri razionali, seguendo le vecchie consuetudini, con l’aiuto di pochi e rozzi strumenti, con mancanza quasi assoluta di capitali.
La produzione è principalmente per sussistenze, incapace di raggiungere quote alte, costretta entro i limiti segnati dal corso delle stagioni e dalle vicende favorevoli o sfavorevoli degli elementi naturali.[31]
Il sistema allora imperante impedisce una eventuale circolazione interna dei prodotti agricoli, ostacolandone l’esportazione, tale regime restrittivo riguarda innanzitutto il frumento e i cereali in genere:
Pratica
la Reverenda Camera di riscuotere dagl’appaltatori le tratte per l’estrazione
de’ grani, e con ciò toglie la libertà al commercio, priva di sudditi della
loro sussistenza, e ne soffoca l’industria, e certamente il poco profitto, che
la camera cava da questo capo, chiude le vie al denaro, che si avrebbe di fuori
col traffico de’ nostri grani, per tal modo allontanandosi all’unico fine, che
deve avere il Prencipe, che il denaro altrui coli nelle borse de’ propri
sudditi, le quali siano poi aperte all’occorrenza dello Stato.[32]
Il sistema è adatto a favorire i ceti privilegiati a danno della parte più povera della popolazione:
I
contadini faticano più degli stessi buoi, e cavalli, e faticano ancora per
alimentarli, e far loro la servitù, che non fanno a se stessi, perché dormono,
e mangiano
peggio assai di loro senza vino, quasi sempre, senza
pane il più delle volte, mai mai la carne a riserva delle Pasque, e la semplice
erba cotta mal condita ben sovente. Or di questi, che sostentano tutti i
viventi colla coltivazione della terra niun tien conto, niuno li considera,
niuno ne ha compassione.[33]
Rosa «considera» e «ha compassione» di costoro. Anzi si rivolge alle loro figlie per liberarle dalla schiavitù dell’ignoranza.
Qui si rende conto che la maggioranza della terra lavorata dai contadini non è di loro proprietà, anche se essi godono dello jus serendi il diritto di passaggio sulle terre dei feudatari, quindi le condizioni di vita sono ancora più dure. In queste terre non è certo possibile un’agricoltura moderna, il pascolo è redditizio per l’affittuario-mercante e per il feudatario che godono dello jus pascendi su tutte le erbe del suo feudo in inverno.
Un altro condizionamento è costituito dalla scarsità della manodopera, vengono reclutati braccianti forestieri, la cui condizione è ancora più disperata di quella dei contadini. A seconda della specializzazione nei vari lavori agricoli, la fisionomia di questi salariati forestieri assume aspetti diversi: butteri, mietitori, tagliatori di legna, carbonari, fossaroli e falciatori, tutti immigrati stagionali.[34]
I braccianti vengono reclutati in gruppo, attraverso caporali che all’inizio di stagione si muovono da un villaggio all’altro per radunare grandi compagnie di operai. Le compagnie comprendono anche donne e giovani, il numero varia dai 25 ai 40 agli 80 lavoratori.
Le condizioni di vita di quest’ultimi sono prossime alla schiavitù, il caporale è il mediatore tra padrone e braccianti è spesso caratterizzato da una smodata avidità. Recluta spesso orfani o ragazzi i quali pur avendo genitori si trovano loro affidati in quanto provenienti da famiglie estremamente povere.[35]
Essendo legati ai caporali, la massa degli operai si sposta da una tenuta all’altra a seconda della richiesta, solo qualcuno riesce a stabilirsi definitivamente. Molto spesso è il tipo di lavoro a creare un rapporto stabile
con i proprietari del luogo. Mietitori e falciatori non hanno alcuna possibilità di uscire dall’anonimato delle grandi compagnie mentre i garzoni di aratro, i lavoratori a giornata, i carrettieri, sì.
Al prezzo di un crudele sfruttamento alcuni giovani riescono a capitalizzare il loro salario e investirlo in un matrimonio con una ragazza del luogo, il matrimonio è infatti indice di una condizione un po’ meno miserabile e implica la possibilità di avere una casa, di allacciare legami più stabili con gli altri abitanti del villaggio attraverso la famiglia della sposa.
La Venerini si rivolge anche a queste famiglie, alle ragazze destinate a questi matrimoni, offrendo loro una formazione religiosa che le affrancasse da una schiavitù dovuta all’ignoranza. Obiettivo di Rosa non è certo il distacco delle ragazze dalle loro case, anzi la sua azione è rivolta a migliorare la condizione delle stesse famiglie da cui esse provenivano. Ciò che insegna infatti è immediatamente spendibile:
In secondo luogo quivi si
devono dalle scolare apprendere vari lavori donneschi, che s’insegnano, cioè
far calzette, cucire, far merletti a piombino, e simili.[36]
Tra i «lavori donneschi» vi è anche il governare la casa, a cui le ragazze attendono soprattutto nei periodi in cui il resto della famiglia trascorre tutto il giorno nei campi a lavorare. E questi periodi non sono brevi e nemmeno pochi.
E’ da aggiungere che la nascita delle scuole nella provincia di Patrimonio sono da mettere in rapporto anche con la migliore situazione economica e sociale locale, caratterizzata da un assetto produttivo e fondiario meno arretrato di quello riscontrabile nel resto del Lazio e da una trasformazione in senso più moderno dei rapporti di produzione.
La regione di Patrimonio costituita da numerose comunità autonome e autogovernate, presenta una distribuzione della proprietà in cui, mentre vanno declinando i ruoli di quelle feudali ed ecclesiastiche, è in continua ascesa la proprietà laica. Quest’ultima peraltro, con il suo peso sempre maggiore sugli organismi comunitativi, procede a mettere in discussione e a liquidare i diritti collettivi da cui è gravato il territorio, con pesantissime conseguenze sulla vita dei contadini.[37]
Oltre la sua provincia la Venerini estende il campo d’azione anche nelle zone più povere, soprattutto nel Lazio che durante il XVIII secolo comprende le diocesi di Ostia, Porto, Frascati, Albano, Palestrina, Tivoli e i territori soggetti alle abbazie di Subiaco e Tre Fontane, come la troviamo nella zona di Campagna e Marittima che include le diocesi di Velletri, Terracina, Anagni, Ferentino, Segni, Alatri, Veroli e le diocesi di Aquino e Benevento.[38]
Qui le condizioni di vita sono di maggiore arretratezza, la situazione è particolarmente grave nella zona delle Paludi Pontine fra Nettuno, Terracina, Cisterna e il Circeo dove urge un programma di risanamento.
Lungo i secoli i tentativi di bonifica furono sempre penalizzati da difficoltà insormontabili tecniche e politiche.
La vera grande maledizione della palude è la malaria, malattia temuta da sempre la cui spiegazione giunge a elaborazioni tra le più colorite, dando la colpa ora all’umidità, ora ai terreni incolti, poi ai venti umidi, tanto che si fanno per la campagna romana più intense le dispute tra chi vuole conservare le selve dell’Agro e chi, accusandole di essere causa della malattia, avrebbe voluto eliminarle speculando sul taglio dei boschi.
La presenza delle paludi costituisce uno dei motivi di isolamento del territorio pontino rispetto a realtà vicine, condizionando lo sviluppo di attività agricole e pastorali.
In questa zona ai piedi dei Lepini sono più abbondanti sia le acque superficiali sia quelle sotterranee che riemergono in numerose sorgenti. Un quadro ambientale così compromesso rende pressoché impossibile l’insediamento nel territorio e lo sviluppo di attività agricole regolari e intensive, come invece succede nelle zone più settentrionali dello Stato.
Il ‘600 e il ‘700 è un
periodo per l’Italia non solo di crisi economica, ma anche di dominazioni
straniere, essa sembra scomparire nel novero dei paesi che partecipano
responsabilmente allo svolgersi della storia europea, la penisola ha perduto
progressivamente le sue libertà regionali, con le guerre di successione
spagnola e austriaca altre modificazioni intervengono sull’intera penisola
creando una nuova fisionomia e aumentando la casta dei sudditi privilegiati che
vanno a sommarsi a quelli precedenti creati da re o papi.
Lo Stato Pontificio, a sua
volta, è uno Stato particolare, il cui sovrano, il pontefice, ha un potere di
carattere bidimensionale, spirituale e temporale ad un tempo: la sovranità
papale sulla Chiesa universale e sul suo specifico dominio, il territorio
ecclesiastico. La visione del papa come essere a due facce, capo della Chiesa
universale e principe territoriale italiano, rappresenta una novità rispetto
alla tradizionale visione medioevale, per la quale le terre della chiesa sono
solo un’appendice secondaria rispetto alle funzioni e ai poteri universali del
pontefice romano. Dalla metà del XV secolo lo Stato Pontificio diventa corpo
del papato, ciò condiziona l’azione universalistica del papato, soprattutto nel
periodo della Riforma.
Si viene a
formare, tra i vari stati d’Europa, la coscienza del papa principe straniero,
nemico della concentrazione della sovranità nazionali.
Il papa è legislatore
canonico della Chiesa universale e legislatore secolare.
La distinzione dei due piani
è però chiara a livello teorico, ma nella pratica quotidiana, del governo
stesso dei tribunali, dà luogo ad una commistione tale da rendere impossibile
un corretto funzionamento del sistema.
L’elemento
detonatore, per lo scoppio delle contraddizioni interne, è il problema
dell’autorità del clero, si arriva ad una clericalizzazione anacronistica di un
apparato giuridico, quello della curia romana, fino al seicento inoltrato.[39]
Tutto questo ha degli
effetti disastrosi sulla storia economica e sociale di questo stato: bilancia
commerciale passiva, fuga di ricchezze verso l’estero, carestie ricorrenti,
mancanza o fallimento di iniziative commerciali manufatturiere e bancarie,
debiti dell’erario, disordine fiscale e amministrativo. I ripari sono puramente
contingenti, connessi a fatti come l’occupazione di Comacchio da parte dell’imperatore
o un’annata di carestia. La creazione delle varie congregazioni o l’istituzione
della tassa del milione, deputate a risollevare le sorti dello stato,
testimoniano infatti l’inettitudine del governo a far fronte ai vari problemi e
ciò dura fino alla prima metà del 1700.
La capitale di questo Stato è sede di una ingente mendicità permanente, Roma deve provvedere anche alla povertà stagionale e periodica dei braccianti che, dopo i lavori estivi nelle grandi tenute, cadono stremati dalla fatica e dalla malaria, anche i contadini ad ogni inverno, durante le stasi dei lavori agricoli, scendono dai colli alla città per vivere di elemosina.
Contro la mendicità numerosi sono, nel corso degli anni, gli interventi, la reclusione coatta, la costruzione dell’ospedale di S. Sisto, destinato ad accogliere tutti i poveri inabili al lavoro, numerosi bandi ed editti che vietano la mendicità e il vagabondaggio. L’efficacia di simili provvedimenti è molto modesta, soprattutto contro i vagabondi presenti a Roma in grandissima quantità.
Mentre Rosa Venerini inizia la sua avventura itinerante, impiantare le sue scuole nella diocesi di Montefiascone, chiamata dal cardinal Barbarigo nel 1692, Innocenzo XII emana il suo editto sopra «la reclusione dei poveri».
Motivazioni occasionali e tradizionali sono alla base del provvedimento di reclusione, proliferazione della mendicità, disturbo delle funzioni sacre, inosservanza delle regole del vivere cristiano ecc.
Ha
determinato […] di racludersi tutti in uno o più luoghi, ne’ quali non
solamente habbino li necessari alimenti, ma vi trovino commodità di letti e di
vestiti et ogni altro necessario per sovvenire e recreare le loro miserie […].
Però in virtù del presente editto notifichiamo et
ordiniamo ad ogni persona dell’uno e dell’altro sesso, che si trovi in stato di
mendicare in Roma, che dentro il termine di otto giorni da cominciare il dì 12
ottobre, comparischino nel portico di S. Maria in Trastevere, dalle 15 fino
alle 17 hore la mattina, et il giorno dalle 21 fino alle 23 hore, dove si
prenderà nota del loro nome, cognome età, patria e loro qualità […], acciò che
sopra le loro persone si possa provedere opportunamente.
E perché molti ancorché validi e sani, e potendo con
le loro industrie e fatighe procacciarsi il vitto, vanno in ogni modo
mendicando e togliendo in tal forma il sostenimento degli altri inhabili e più
bisognosi, però ordiniamo che a quelli che saranno degni d’essere provveduti
coll’elemosine, si dia un segno distinto da portarsi da loro in luogo visibile
et apparente, finché verranno rinchiusi e sostentati nel luogo o luoghi come
sopra da destinarsi, et a tutti gli altri, alli quali per essere stimati validi
e sani e capaci di procacciarsi il vitto con le loro fatiche, non sarà
consegnato, né porteranno detto segno e prohibiamo espressamente che non
ardischino di questuare per
la città, case palazzi e chiese sotto pena di essere
carcerati […] di essere mandati a lavorare a Civitavecchia.[40]
Nei mesi successivi vengono emanati altri editti, tra i quali quello del cardinal vicario in data 3-27 novembre, nei quali si viene a sapere che il pontefice ha fatto dono ai mendicanti del suo palazzo del Laterano con annesso giardino, di cui erano già iniziati i lavori di restauro.
Viene così stabilito che tutti i poveri vengano riuniti e incolonnati, che venga loro dato vitto, alloggio e un po’ di lavoro, che siano avviati alla preghiera e soprattutto che venga loro proibito di chiedere l’elemosina per Roma.
Per il pontefice questo è il massimo sforzo di carità, ricondotto sotto il controllo pubblico al fine di riparare i poveri dagli infiniti pericoli che «insidiano le loro anime e i loro corpi».
In realtà, coloro che sono oggetto di tanta cura, i mendicanti invalidi, abituati a vivere all’aria aperta, senza regola, ora scelti per essere ricoverati in un ospizio, per vivere rinchiusi, indossare un abbigliamento uniforme, alzarsi, pregare, mangiare, lavorare e dormire secondo orari precisi, tutto ciò provoca un trauma.[41] Per ciò e soprattutto per le proteste contro gli ospizi, i quali aggiungono difficoltà al bilancio, si torna ben presto a liberalizzare l’accattonaggio, fatta eccezione per l’interno delle chiese, ma inutilmente, tornano a riempirsi di mendicanti.
Questa è la situazione sociale in cui Rosa Venerini si trova ad operare ed alla quale vuole dare risposte concrete ed operative, ma per far ciò ha bisogno di una spiritualità solida da cui tutta l’azione scaturisce. Il suo cammino spirituale deve essere spedito ed entusiasmante, al pari del servizio in un mondo che ignora volutamente tanta miseria.
Rosa Venerini nel suo peregrinare dalla sua provincia fino al basso Lazio dovette provvedere non solo all’ignoranza religiosa, ma anche a quella materiale di igiene, di economia domestica soprattutto per le donne adulte.
Ella si trova di fronte un’utenza in condizioni estremamente dure, le famiglie delle ragazze alle quali rivolge il suo apostolato educativo sono
contadine che a malapena riescono a sostenersi.
Questa educatrice decide di far parte di questa fascia della società interroga e arriva a conoscere profondamente la realtà, a coglierne le domande, le esigenze, le aspettative e tradurle in una risposta operativa e segno di carità cristiana.
Sono trascorsi solo pochi decenni dal fallimento clamoroso e traumatico, sanzionato nel 1631, del tentativo di Mary Ward e delle cosiddette «dame inglesi o gesuitesse», di fondare un istituto religioso femminile di tipo diverso rispetto alla organizzazione monastica claustrale, un istituto che proponendosi come l’equivalente femminile della Compagnia di Gesù sul piano dello stesso statuto giuridico-formale, oltre che delle finalità, si propone di dedicarsi all’istruzione femminile, ma anche all’apostolato, alle attività sociali ed assistenziali e persino all’evangelizzazione missionaria.
Un tentativo duramente condannato da Roma e bloccato attraverso la soppressione dell’istituto con motivazione, in particolare, che delle donne si sono attribuite indebitamente il diritto di assolvere compiti, quali l’apostolato, riservati agli uomini, ignorando gli obblighi della clausura, della modestia e del pudore femminili.
Ciò è dovuto soprattutto con l’esecuzione dei decreti del Concilio di Trento attraverso i quali i conventi sono diventati veri e propri «istituti di perfezione» acquistando il monopolio della santità canonizzata.
Le misure disciplinari concernenti i conventi femminili mirano in primo luogo a reintrodurre la vita comunitaria, quindi a rompere le fazioni familiari, a estirpare le tendenze libertine o eretiche delle monache e a impedire la loro influenza dannosa sul mondo esterno.
Prevalentemente nella campagna, ma anche nelle città, molte monache vivono di elemosine. Questo andare in giro questuando è un fastidio per l’autorità, anche quelle civili, ed esige, soprattutto quando si tratta di donne, delle misure protettive tese all’isolamento sistematico di elementi indesiderabili.[42]
Specificatamente la vita religiosa femminile viene regolata dalle disposizioni impartite da Pio V nel 1566 con la Bolla Circa Pastoralis.
Vita religiosa, vita consacrata e clausura sono strettamente legate e non si può uscire dalla clausura se non in due casi: incendio e peste. Muri alti, porte pesanti, molte serrature e moltissime inferriate non lasciano il minimo dubbio sul definitivo addio che le «spose di Cristo» hanno dato al mondo. Vita religiosa femminile significa rinunciare all’apostolato attivo.[43]
Probabilmente anche la vita di Rosa sarebbe stata monastica se non si fosse posta alla guida dei padri gesuiti.
E’ noto il ruolo che ebbe
Sant’Ignazio, con le sue fondazioni, che anticipano e affiancano il Concilio di
Trento, nell’orientare la formazione del clero e delle classi colte. I collegi
ecclesiastici romani e poi i collegi in cui si forma la futura classe dirigente
di non poche città, hanno dominato la storia culturale del Seicento.
Attraverso una spiritualità
nuova per il suo tempo, la vita mistica di Ignazio consiste in una presenza di
Dio abitualmente sentita secondo la sua frase «scoprire Dio in tutte le cose».
Egli gode della «familiarità» con Dio continuamente, senza che ciò lo distragga
dall’azione esterna. La sua non è una mistica nuziale, come quella molti
contemplativi, ma una «mistica di servizio per amore».[44]
Egli insegna molte svariate
forme di orazione ai suoi discepoli, ma fra tutte raccomanda questa per
conseguire la perfezione:
«Cercate la presenza di Nostro
signore in tutte le cose, come nel conversare con gli altri, nel camminare, nel
vedere, nel gustare, nell’ascoltare, nell’intendere e in tutto quanto facciamo,
perché veramente la Sua Divina Maestà è in tutte le cose per presenza potenza
ed essenza.»[45]
Grazie a questa nuova spinta apostolica di Ignazio di Loyola perseguita da tutta la Compagnia di Gesù, Rosa «seppe diffondere con la originalità profetica del suo insegnamento, luce di fede, calore di solidarietà, nuova linfa di vita al tessuto civile e religioso dell'intero territorio».[46]
Diventa
consapevole che il messaggio evangelico «ama Dio» non può essere scisso
dall’amore per il prossimo e si realizza nel servizio per i più poveri.
L’impegno educativo e
caritativo della Venerini, sulla stessa scia della spiritualità gesuitica, è
vissuto come partecipazione al mistero di Cristo Salvatore e Redentore e
continua così nella storia la carità che Egli ha esercitato nel mondo. Questo motivo
fu sentito e vissuto in modo radicale.
Rosa cerca Dio nella realtà
e lo trova nel volto di ogni uomo specialmente nei più poveri così come
rivelato da Cristo, [47]
ha la volontà di farsi seguire dai gesuiti di Viterbo, i quali costituirono la
sua ossatura spirituale, da cui scaturisce tutto il suo progetto di apostolato.
Da sempre il terreno dove
l’influsso della Compagnia di Gesù è stato più robusto è quello della
spiritualità, in virtù di una costituzione che si è formata nel corso del
tempo, il suo orientamento spirituale scorre nell’alveo della normalità,
diffida degli atteggiamenti straordinari, degli illanguidimenti mistici, delle
vaporosità spirituali, degli abbandoni affettivi, esaltava la mediocritas (medietà) e la
ragionevolezza, demitizza gli ideali eroici, fa l’apologia del quotidiano,
quindi esaltava i doveri di stato praticati con scrupolo ogni giorno.
La perfezione
non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene
le cose ordinarie. Spiritualità quindi pragmatica, fondata sull’allenamento
della volontà, sulla disciplina dei moti interiori, sull’esercizio delle virtù.
Gli strumenti per affermare questo orientamento e sono l’esame di coscienza, la
pratica dell’orazione mentale, che si ancora a un metodo, gli «esercizi
spirituali» della durata di quattro settimane, ma poi ridotti a otto dieci
giorni, la direzione spirituale, che tende a disciplinare la pietà individuale
sottraendola ai rischi dell’emotività.
Il ricorso
frequente ai sacramenti della confessione e della comunione, di cui i Gesuiti
sono assertori appassionati, è visto sotto l’aspetto prevalentemente
corroborante e medicinale.[48]
Rosa Venerini diventa per i
suoi padri spirituali il concretizzarsi del loro stesso ideale, la loro
missione è «aiutare le anime», aiutare le persone ad incontrare il loro
Creatore e Salvatore: «In maniera generale, la Compagnia considera due modi di
aiutare il nostro prossimo: uno nei collegi, per mezzo dell’educazione della
gioventù nelle lettere, l’insegnamento e la vita cristiana; l’altro ovunque
assistendo ogni genere di persone, mediante le prediche, le confessioni e ogni
altro mezzo compatibile con il nostro modo proprio di procedere».[49]
La priorità è data al
ministero apostolico e trasmesso generosamente a chiunque volesse rendersi
attivo all’interno della Chiesa come nel caso di Rosa:
Il Padre [Balestra] le
disse, che s’intrattenesse in cooperare all’altrui bene, invitando le donne ed
altre giovanette del suo vicinato a recitare seco il rosario della beata
Vergine.[50]
Ella non scrive nessun
trattato sui poveri, non lascia nessuna considerazione teorica, ma in tutta la
sua vita il problema è presente: vive per i poveri, per le classi umili per gli
ignoranti.
Comincia con il
far pregare le ragazze, poi si accorge che non capiscono la preghiera; comincia
ad aiutare una ragazza a prepararsi alla cresima e si accorge che fa la
comunione spesso perché va dietro alle altre, senza sapere nemmeno cosa sia la
comunione.
Tutta la sua vita è
manifestazione chiara, profonda della convinzione del dovere di aiutare i
poveri, non con le elemosine ma con l’azione.[51]
Dotata di intelligenza e sensibilità non comuni, la sua «azione» si concretizza in scelte ardite, al di fuori dei modelli tradizionali.
Impiega per questo molto tempo, nella sofferenza e nella ricerca prima di giungere ad una soluzione del tutto innovativa.[52]
Non trova il suo cammino chiaro fin dall’inizio: viene messa dalla famiglia in un monastero di Viterbo, in via sperimentale come prova, ma qui non si sente a suo agio e finisce per lasciarlo avvertendo che quella non è la sua strada, in lei c’è questa ricerca, inizialmente inconsapevole, di un desiderio profondo di consacrarsi alla gioventù, in modo efficace, vicino, reale. La contemplazione di Cristo che muore per farci liberi insegna a Rosa il grande valore della libertà. Sorretta dalla preghiera e dalla spiritualità ignaziana, concepì un vero progetto educativo: educare per liberare. Liberare la donna dall’ignoranza, darle coscienza di essere portatrice di valori e valore ella stessa.
Alimentando la sua pietà energica ed essenziale alla spiritualità austera ed equilibrata di S, Ignazio di Loyola, comprese la necessità di una missione più alta che individua nell’urgenza di dedicarsi all’istruzione e alla formazione cristiana delle giovani con una scuola intesa in senso stretto della parola. Nella sua scuola il mondo della donna entra per intero: la mattina le ragazze e le bambine, la sera le mamme.[53]
La validità dell’opera diventa nota anche fuori della diocesi di Viterbo. Il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, Vescovo di Montefiascone, capisce la genialità di Rosa Venerini e la vuole nella sua diocesi.
Rosa, dal 1692 al 1694, fonda a Montefiascone una decina di scuole nei centri nevralgici della diocesi, prepara le Maestre e istruisce una giovane particolarmente dotata, Lucia Filippini, oggi santa, perché sia in grado di sostituirla, quindi lascia Montefiascone, sente l’urgenza di estendere la sua azione educativa ad altri luoghi.
Percorre lo Stato Pontificio, seguendo le due vie consolari : la Clodia e soprattutto la via Cassia, che collega Roma con Firenze e l’Italia settentrionale,[54] raggiunge le varie località dove viene chiamata da cardinali, cittadini e padri gesuiti che predicano in quelle zone.
I mezzi di trasporto sono di fortuna, il più delle volte si viaggia a piedi, quando è fortunata attraverso asini e muli, in casi eccezionali con le carrozze dei vescovi che la chiamano.
Spiritualità ed azione caratterizzano il suo progetto educativo, reso credibile dalla sua testimonianza itinerante fino a Roma dove apre la sua scuola l’8 dicembre 1713, nella parrocchia di S. Venanzio, poco distante dalla chiesa di S. Marco.
La passione educativa di Rosa prende avvio dalla conversazione, più esattamente dall’invito alle donne di esporre le loro conoscenze in materia di religione, di parlare della loro esperienza, delle loro abitudini di vita. Si rende subito conto che il rinnovamento delle famiglie e della società non può attuarsi dove regnano l’ignoranza e il pregiudizio.
Sa che il cristianesimo è di per sé un grande evento educativo, intuisce che la donna può recuperare la propria dignità in nome di un’autentica formazione cristiana, cosciente e gioiosa.[55]
Maestre di dottrina e di vita diventano altre donne, che scelgono di aiutare Rosa. Si configura così l’identità della donna «Maestra» integrata in una comunità educante.
Tutto ciò non è facile, non
è molto il credito che può avere una donna sola,
non monaca, a capo di altre
donne sole, non monache, con il proposito dell’istruzione gratuita a delle
bambine povere.
Rosa deve
combattere fierissime lotte per il suo progetto, ella vive in un epoca in cui
l’attenzione è per le «cose grandi», si presta attenzione al definitivo
consolidamento di un sistema di stati ormai protagonisti della loro storia, la
Chiesa stessa cammina e soffre per il suo posto in questo nuovo equilibrio. Si
trascurano le «cose piccole», quei bisogni tanto più profondi quanto meno sono
sentiti: l’educazione, in questo caso alla Parola di Dio e ai valori umani, la
gioventù nelle sue attese, la formazione degli adulti attraverso i giovani, la
presenza dei religiosi e dei laici nella Chiesa, la forza della comunità, il
sostegno soprattutto e l’orientamento della fede.
La Venerini sceglie lo status di giovane donna consacrata a Dio, ma vivente nel mondo, in un periodo pieno di rigore nei confronti della donna, ciò non le impedisce di prestare attenzione alla condizione femminile, facendole cogliere il conflitto tra la consuetudine che voleva la donna monaca o sposata aspirazione di molte giovani, a cominciare da lei, a quella di potersi consacrare a Dio fuori dal chiostro.
Il fine della fondazione della Venerini è di rispondere a «bisogni sociali» consentendo inoltre a molte giovani, chiamate da Dio a consacrarsi a Lui, ma che non vogliono o non possono farsi monache, di realizzare la propria vocazione impegnandosi nell’apostolato educativo:
L’opera della scuola
congiunta a’ soliti esercizi di pietà nelle Maestre, non è compossibile con
vari e straordinari pesi, ed obbligazioni: quindi è che la Serva di Dio sul
principio che essa istituì la scuola, avea in idea formare, come un monistero,
e vivere in esso da monaca, e da Maestra: ma poi si accorse coll’esperienza che
per cavare gran frutto da quella santa opera, secondo l’idea sua, era
necessario non avere altri obblighi, stare con animo quieto, e purificare il
cuore con una santa intenzione, applicando a gloria di Dio e salute delle anime
tutti gl’esercizi spirituali e manuali della scuola, senza dividersi in altre
straordinarie sollecitudini, mentre in solo questo non mancherà gran materia di
merito dalla mattina alla sera.[56]
Rosa non opta per una soluzione di ripiego, ma per una vera e propria forma di vita consacrata alternativa al chiostro, con le stesse finalità di
santificazione personale e di glorificazione di Dio:
«Io certamente non posso dire il gran bene, che è la educazione pia,
delle fanciulle, ed in conseguenza il molto merito delle Maestre, che con
purità di cuore lo esercitano, non volendo né bramando altro, che la gloria di
Dio, e la salute delle anime,e perciò procurando di dare buoni esempi a tutti,
e particolarmente in scuola alle fanciulle, si accertino di essere coadiutrici
delle sante missioni; imperciocché ne’ paesi, quando vi vanno i missionanti, se
vi sono le scuole, il seme da essi sparso della divina parola non inaridisce ma
co l’inaffio del quotidiano esercizio del catechismo, che nella scuola si fa
anche essendovi presenti le donne adulte, e col ripetere il detto da’
missionari, si stabiliscono i buoni sentimenti concepiti nelle missioni, e così
si continua il vivere da buone cristiane.»[57]
L’«Avvertimento preliminare» della Relazione è molto chiaro per quanto riguarda lo scopo delle scuole:
Dovendo darsi distinta
relazione, e notizia de’ spirituali esercizi, che sogliono praticarsi nelle
Scuole delle Fanciulle erette in Viterbo, ad effetto di provvedere al
pernicioso disordine della ignoranza, che comunemente si sperimenta in quelle,
circa i Misteri sacrosanti della Fede Cattolica, ch’è la base e fondamento, al
quale deve appoggiarsi tutto lo spirituale edificio dell’eterna salute.[58]
E’ certo che ella riesce a dare un’opportunità alla donna del suo tempo, attraverso le sue scuole, apre una terza via al mondo femminile, la professione di insegnante, alla sua utenza scelto offre la possibilità di uscire dalla schiavitù dell’ignoranza.
Ella ci offre uno dei primi esempi di donna libera dagli schemi imposti dalla tradizione. Rivolgendo la sua attenzione non solo alle fanciulle, ma anche alle adulte, di cui cerca di comprendere le esigenze ed i bisogni, Rosa intende consentire alle stesse di allargare il loro orizzonte di vita.[59]
Nei primi incontri con le donne del popolo vengono chiamate ad uscire di casa e in un’ora tarda, dalle 22,00 alle 24,00 certamente non usuale per
delle madri di famiglia, rompe quindi le loro abitudini, esistenze dedicate esclusivamente alla casa e al lavoro per invitarle a renderle consapevoli del loro valore come persone attraverso la conoscenza della loro fede.
Attenta al cammino della Chiesa, tenendo presenti le situazioni concrete della società del suo tempo Rosa realizza i principi di rinnovamento della cristianità definiti, in qualche modo, dal Concilio di Trento.
La Chiesa percepisce questa novità, incoraggia, benedice e si coinvolge. Se il suo progetto ha buon esito è anche grazie all’opera dei vescovi, che frequentemente la chiamano ad impiantare scuole nelle loro diocesi. E’ evidente che c’è coraggio e sfida ad una società ed a una Chiesa che per la donna ammette, lo ricordiamo, solo la vita di clausura, infatti viene anche compromessa a causa di preti e di popolazioni ignoranti che rifiutano, ritenendola un intralcio anche se ha l’appoggio dei vescovi locali, la guida e la protezione dei gesuiti. La mentalità corrente non le rende certo la vita facile.
Per le donne in generale la situazione non è ideale, certo esistono trattati sulla sua educazione, testi di insegnamento morale e spirituale, ma essi indicano l’opportunità di un’educazione esclusivamente finalizzata alla famiglia, vengono indicati modelli da imitare che incarnano le principali virtù femminili della castità, della modestia e dell’obbedienza. Fin da piccole le fanciulle, se appartenenti ad un rango sociale elevato, vengono relegate in un monastero dove imparano un lavoro per diventare monache o mogli e madri. I monasteri in cui entrano sono esclusivamente di vita contemplativa nella più rigida clausura, oppure sposandosi fanno parte di una nuova famiglia, ove il padrone di casa gode di larghi poteri. Le donne che non si sposano e non si fanno monache vengono considerate persone di condizione inferiore.
E’ per questo che molte ragazze preferiscono il monastero alla propria casa visto che per la famiglia rappresentano un motivo di vergogna, ma questo è possibile solo per coloro che appartengono a famiglie che possono garantire una dote consistente, quindi solo per le fanciulle nobili.
La religiosità della donna è piuttosto superficiale, a causa dell'ignoranza in cui è costretta a restare, si riduce ad una devozione fatta di pratiche ripetitive, senza una spiritualità forte e sentita.
Rosa per se stessa e le sue
compagne «mette il Mistero Pasquale al centro della spiritualità: dalla
contemplazione del Cristo che muore per la salvezza dell’umanità, nasce il
desiderio ardente di porsi alla sequela di Gesù Salvatore, sull’esempio degli
Apostoli. Le Maestre dovevano avere un cuor solo e un’anima sola, come i primi
cristiani»[60].
Rosa Venerini, aprendo la
prima scuola pubblica femminile in Italia, rivela che la tradizionale
esperienza monastica, fondata sul distacco dal mondo, non è l’unica via per la
perfezione cristiana.
Nella sua scuola si insegna il catechismo, si leggono le vite dei santi, si impara a pregare, a leggere, a lavorare, a scrivere. Rosa non trascura la preparazione professionale della donna, consapevole della funzione educativa del lavoro.
Dal punto di vista strettamente didattico Rosa utilizza metodi tradizionali. Il significato e la specificità dell’educazione cristiana deve avere il suo punto di riferimento in Gesù Cristo, quindi il contenuto e il fine dell’educazione è la conoscenza e l’amore di Dio. Ogni insegnamento è strumentale a questo fine.
Per le sue ragazze ella scrive un apposito catechismo, anzi elabora gli Esercizi del Venerdì che dal punto di vista del metodo, costituiscono l’elemento più originale delle sue scuole proprio perché frutto di esperienza e di lavoro effettuato con le Maestre e con le alunne.
Rosa non è una donna di discorsi, ma di azione concreta, seppe trovare un suo spazio tra correnti culturali e prìncipi, parrocchie e Papi, popolazioni indigenti e gruppi goderecci, collaboratori provvidenziali e incomprensioni banali.
Quello che è certo, da un punto di vista storico, è che il problema dell’istruzione era ancora largamente non avvertito dalla coscienza del tempo, era invece vivissimo in Rosa Venerini; diventò l’anima della sua vita, la ragione della sua esistenza, l’opera a cui consacrò tutte le sue energie: aprire delle scuole per la gioventù femminile povera.
Rosa una giovane donna di estrazione borghese, sente come pochi, nella seconda metà del ‘600 e all’inizio del ‘700, la necessità di un’istruzione femminile, sia pure limitata, semplice quanto si vuole, per le classi più povere, per il popolo.[61]
IL METODO
CAPITOLO V
5.1 Un «metodo» da conquistare
Rosa Venerini capisce che l’educazione ha il compito di illuminare e liberare dall’ignoranza le creature, soprattutto le più deboli e ignorate. Alla base della sua azione riesce a maturare una coerenza e una intelligenza educativa che le consentono di porre attenzione a questa fascia della società e concentrare la sua opera su di esse:
Vi prego attendere alla
salute de’ prossimi coll’usare tutta la carità e pazienza nell’insegnare alle
fanciulle… istruendo ugualmente che le altre, le più povere, e le meno civili,
anzi queste con più amore che le altre.[62]
Mentre si apprezza questa
visione dobbiamo riconoscere che ad essa corrisponde la proposta di un
insegnamento e di un metodo che oggi ci appare culturalmente limitato e
convenzionale, condizionato dal ruolo che nel Seicento viene attribuito alle
donne anche dal mondo della Chiesa.
La Venerini è consapevole
della fatica a cui chiamano le sue alunne, possiamo allora pensare che la
varietà delle occupazioni, l’alternarsi delle stesse, il tono familiare che le
maestre sono chiamate ad assumere nei confronti delle ragazze abbiano
contribuito a non far pesare nella scuola il rigore del metodo e la lunghezza
degli orari scolastici.
Questa alternanza di
lezioni, attività lavorative, spiegazioni, interrogazioni conversazioni e
letture, può forse consentire alla scuola di configurarsi come un’istituzione
viva ed educativamente produttiva.[63]
Graduale è stata la
definizione di quello che comunemente e impropriamente, nel suo caso, chiamiamo
«metodo» e che costituisce il risultato di tutte le esperienze effettuate fin
dagli anni in cui, seguendo il suggerimento del P. Balestra, riunisce nella sua
casa le donne per la recita del S. Rosario.
E’ proprio questo contatto
diretto con queste sorelle, madri e figlie ad avvicinarla alla condizione della
donna del popolo consentendole di costatarne l’ignoranza. Il dialogo con queste
donne costituisce per lei contenuto di riflessione, sempre rivolta alla ricerca
dell’oggetto da privilegiare nell’insegnamento e del modo migliore per
insegnare.
Invita le donne a parlare della loro
esistenza, della loro esperienza, delle loro abitudini di vita, sollecitandole
poi alla riflessione, invitandole a confrontarsi con i principi morali ispirati
al cristianesimo, a meditare sugli insegnamenti evangelici, a uniformare a
questi insegnamenti la loro condotta.
Nonostante già quest’opera
dia copiosi frutti, vediamo come Rosa non si accontenti di queste esperienze,
nella convinzione che tale azione potrebbe dare frutti migliori se fosse sorretta da una sistematica azione
scolastica alla quale ogni maestra deve dedicarsi completamente.
Ed anche se Rosa parla di
metodo dobbiamo precisare che il significato attribuito a questo termine è
diverso rispetto a quello che generalmente diamo oggi a questa espressione.
La Venerini si riferisce a
tutta l’organizzazione della scuola: ai contenuti dell’insegnamento, alle
preghiere che si recitano, agli orari, alle attività, all’alternarsi delle
occupazioni, al catechismo che si insegna, alle interrogazioni, agli esercizi
del venerdì.
Il fine di queste scuole è procurare di levare gli abusi nelle fanciulle, ed imprimere bene in esse per mezzo della Dottrina Cristiana e santi ammaestramenti dati con quiete, l’importanza di volere ad ogni costo l’eterna salute: i mezzi poi per giungere al conseguimento d’un tal fine, altri riguardano lo stabilimento, e conservazione della scuola, altri la qualità delle Maestre, e maniera d’insegnare, altri la qualità delle fanciulle da ammettersi, e lavori da apprendersi.[64]
Dal punto di vista strettamente didattico,
ella usa metodi tradizionali e in effetti si limita ad offrire alle maestre dei
suggerimenti relativi al tipo di rapporto educativo da instaurare con le
fanciulle ed a proporre gli esercizi di catechismo, i quali debbono svolgersi
seguendo uno schema prestabilito di domande e di risposte da imparare a
memoria, precedute, integrate, seguite dalle spiegazioni delle insegnanti, le
quali possono anche illustrare concetti, esprimere delle considerazioni,
invitare a fare delle riflessioni.
A questo proposito dobbiamo
dire che il metodo di Rosa è quello usato in tutte le scuole della Dottrina
Cristiana, non è quindi esclusivo delle maestre viterbesi.
Preferisce, l’insegnamento
individualizzato, così alla maniera dei gesuiti, ella accanto alle comuni
ripetizioni guidate dall’insegnante per la migliore comprensione,
approfondimento e sintesi dei singoli argomenti, affianca, come elementi
indispensabili i colloqui privati dell’insegnante con i singoli alunni nei
quali il lavoro educativo è pienamente personalizzato.[65]
Pertanto quando si parla del
metodo seguito nella scuola di Viterbo si deve pensare al tipo di catechismo
non al modo in cui veniva insegnato.
L’elemento più originale del
metodo delle scuole di Rosa sono gli Esercizi
del Venerdì elaborati dopo anni di esperienza e di lavoro effettuato con le
maestre e con le alunne. La sensibilità educativa di questa che, con
l’esperienza è diventata un’educatrice, non le consente di partire da schemi
prestabiliti, seppur validi, per condizionare a questi la vita della scuola, ma
le impone di studiare la situazione, di trarre profitto dall’esperienza, di
ricercare il modo migliore per insegnare.
Quando è riuscita a definire gli esercizi ed
offre indicazioni precise per il loro svolgimento e per l’organizzazione della
scuola ha ottenuto risultati solo perché ha avuto modo di sperimentare
l’efficacia dell’organizzazione scolastica che propone e degli esercizi stessi.
Non aver presente questa
realtà significherebbe chiedere al suo progetto educativo ciò che non può dare.
Il metodo infatti per l’educazione costituisce sempre una conquista che si
realizza facendo tesoro della propria sensibilità educativa, che chiede di
interrogare la realtà nella quale si è chiamati ad operare, gli alunni con i
quali si opera, la propria cultura e la propria visione dell’uomo e delle
finalità che la scuola, che si pone al servizio della persona, intende
conseguire.
Nelle città o paesi dove la
Venerini svolge la sua attività, le ragazze e le donne del popolo si esprimono
in dialetto e l’educatrice appare dotata dell’arte della comunicazione. Per
farsi capire deve mettere in comune qualcosa con l’utente, sa far passare il
messaggio dal mittente al ricevente scoprendo un suo codice.
La sensibilità educativa
dell’educatrice viterbese le ha consentito di interpretare il bisogno di
educazione del suo tempo e le ha consentito di impegnarsi per migliorare se
stessa come maestra.[66]
5.2 La lettura e la scrittura
Si può a ragione ipotizzare
che Rosa seguisse la tradizione per l’insegnamento della lettura e della
scrittura.
In particolare per quanto
riguarda la lettura possiamo ipotizzare che essa seguisse la didattica
utilizzata da Giuseppe Calasanzio nelle sue Scuole Pie:
Per ciò che riguarda le lettere, incominciando dai piccoli si organizza una scuola o classe nella quale si trovano soltanto quelli che imparano a fare il segno della Croce e a sillabare. E siccome il numero di questi bimbi suol essere di sessanta o settanta ed un solo maestro non potrebbe bastare per impartire un insegnamento individuale si appende alla parete un cartellone con l’alfabeto, a caratteri abbastanza grandi, ed il maestro indica con la verga una volta e per molte e molte volte le lettere, mentre i bimbi le vanno ripetendo: così si vede subito come nel gruppo si vanno distinguendo quelli di maggior ingegno. Per coloro che cominciano già a compitare si dispone di un altro cartellone di grandi lettere con ba, be, bi, ab, eb, ib, ed alcune parole facili. Quando incominciano già a sillabare si ammettono alla classe successiva, nella quale si insegna loro a leggere percorrendo il salterio.[67]
Così come i maestri della
sua epoca anch’essa adotta il metodo alfabetico, che prevede in genere tre
tappe: leggere l’alfabeto, leggere «compitando» e leggere scorrevolmente.
Si incomincia con il far
apprendere a memoria alle alunne le lettere dell’alfabeto, si fanno poi unire
le lettere in sillabe procedendo da quelle semplici di due lettere fino alla
lettura di testi brevi sillabando, il passo successivo è la lettura spedita di
parole e di frasi, ovvero del leggere «scorrendo».
Anche l’insegnamento della
scrittura avviene con gradualità. La maestra traccia un modello, «mostra o
essempio», sulla pagina del quaderno, poi prende la mano dell’alunna nella sua,
le fa ricalcare sopra in maniera da «insegnargli il ductus della lettera, prima di permettergli di provare da solo».
L’alunna poi continua da sola ad esercitarsi, riproducendo le varie lettere
dell’alfabeto fino ad acquisire «una sufficiente forma». Si prosegue con lo
stesso sistema nella riproduzione delle sillabe, quindi delle parole intere e
infine di brevi frasi che le fanciulle copiano più volte fino a raggiungere un
risultato soddisfacente.[68]
Mentre nelle scuole pie di
Giuseppe Calasanzio si fa uso anche di cartelli murali visto il numero degli
alunni, si arriva fino ai 140 per classe, la Venerini preferisce il metodo
individualizzato sia per i lavori manuali, per la lettura e la scrittura, sia
per l’insegnamento della Dottrina.
La ricerca del metodo quindi si configura
come espressione di un impegno, che è volto a migliorare il modo di essere
insegnanti, a conferire significato alla propria azione, per conseguire
l’obiettivo dell’efficacia.
Ciò che viene insegnato è
inevitabilmente imparato a memoria, anche per carenza di libri, deve essere
capito, ciò è comune per tutti coloro che hanno a che fare con l’istruzione
soprattutto religiosa:
Si curerà perché i fanciulli l’imparino [la dottrina cristiana] e la sappiano ripetere; e perché la sappiano tutti, anche se possibile, i più grandi.[69]
La novità che la Venerini
porta è soprattutto nei paesi dove di più fioriscono le «scuole domestiche»
quindi «private» dove il maestro o la maestra adibiscono una sua stanza più o
meno capiente, la cui suppellettile è ridotta al minimo ed è costituita
essenzialmente da un tavolo che funge da cattedra, da banchi per sedere e per
scrivere con relative sedie o panche e da un piccolo altare con un’immagine
sacra presso il quale vengono recitate le preghiere comuni al principio e alla
fine delle lezioni[70],
è un locale esclusivo per l’insegnamento dove vivono le «maestre». La scuola di
Rosa è gratuitamente aperta a tutte le fanciulle per questo «pubblica».
5.3 Il programma scolastico
Rosa organizza le giornate
scolastiche delle ragazze che frequentano la sua scuola, e dà ad ogni attività
il suo significato:
Le cose che devono in tali scuole apprendere le fanciulle, sono queste: primeriamente è leggere, giacché a tutte ciò insegnano le Maestre; inoltre ad alcune più capaci si insegna anche a scrivere, ma in disparte dalla scuola, per non impedire il buon ordine e le funzioni delle altre; in secondo luogo quivi si devono dalle scolare apprendere vari lavori donneschi, che s’insegnano, cioè far calzette, cucire, far merletti a piombino, e simili: non permettendonsi però certi lavori, quali possono cagionare rumore con lo strepito e la distrazione, v. g. il tessere, o incannare la seta: siccome neppure permettonsi né pure quei lavori che richiedono troppa applicazione come sarebbe il ricamare o disegnare (eccettuatane però qualche spezie di minore impegno), perché questi tolgono, o almeno disturbano l’attenzione dovuta ad apprendono la Dottrina Cristiana.[71]
Dei lavori femminili si
insegnano quelli di maggior utilità pratica, evitando però quelli troppo
rumorosi o di troppa applicazione che avrebbero distratto l’attenzione delle
alunne dalle letture e dalle spiegazioni che le maestre nel frattempo fanno:[72]
«Questi lavori in apparenza paiono essere di decoro maggiore alla scuola, ma questo decoro appresso il mondo, o sminuisce, o leva affatto il decoro appresso Iddio: ciò che è di impedimento al maggiore bene non si conosce meglio, che da chi ne ha l’esperienza.»[73]
E’ evidente che lo spirito
della controriforma è ancora vivo, e lo sarebbe stato per parecchio tempo
ancora. L’impegno maggiore infatti viene riservato all’istruzione religiosa, la
quale è impartita sui testi del Bellarmino, i più diffusi e adottati.
E’ anche vero che
l’istruzione religiosa è l’unica a loro disposizione per ricevere una formazione
culturale e sociale, perciò ad essa viene data tutta l’importanza possibile.
Finalmente deve in queste scuole, ed è il fine di esse, apprendersi la Dottrina Cristiana, la maniera di fare l’orazione vocale, e mentale, la pratica degli atti delle tre virtù teologiche Fede, Speranza e Carità, l’importanza di fare buone opere per salvarsi, l’odio che deve aversi al peccato, ed in una parola il vivere cristianamente per morire santamente.[74]
Questo è il programma voluto
da Rosa per la sua scuola, essa poi lo estenderà a tutte le sue future
fondazioni, raffinandolo nei metodi e nell’organizzazione, ma questo è il
nucleo centrale, sempre valido, proprio perché nasce come risposta alla domanda
di istruzione di cui fa esperienza.
Ciò che rende però originale il suo programma
è la sua formazione e la capacità di rendere la dottrina alla portata delle sue
ragazze e delle maestre. Innanzitutto è viva in lei la direzione dei gesuiti,
che in seguito la diversificherà dal gruppo che si raccoglierà attorno a Lucia
Filippini.
Per Rosa si rende vivo
l’influsso della tradizione ignaziana con le sue espressioni di pietà profonda
ma sobria, con il suo umano senso della misura e della concretezza.
Ignazio di Loyola e la sua
Compagnia sono, come è noto, espressione di una pietà attiva, che abbiamo
riscontrato anche in Rosa, e che caratterizza il suo disegno. Il tipico metodo
di raccoglimento dei gesuiti, secondo il quale lo sforzo della volontà occupa,
nel piano divino della nostra santificazione, un posto preponderante è lo
stesso che ritroviamo nella Relazione di
Rosa per le ragazze, e per le maestre.
Pur insistendo perché
l’anima si abbandoni ad impulsi ed ispirazioni divine essa è spinta a mettere
in opera, per elevarsi a Dio, tutti i mezzi di cui la natura l’ha dotata:
immaginazione, sensibilità e ragionamento, indicando il modo di trarre dalle
nostre facoltà il massimo profitto.
Un uguale anelito noi
riscontriamo nei «programmi» di Rosa per la sua istituzione. L’intenzione
pratica, attiva su cui i suoi direttori spirituali, il più incisivo dei quali
fu P. Martinelli, è per Rosa il seguire Cristo sull’esempio degli Apostoli.
La spiritualità ignaziana si
propone di costruire la personalità cristiana sul «modello» della vita
«storica» di Gesù (gesuiti), secondo la narrazione evangelica. «Imitare»
diventa immediatamente sinonimo non di «assimilare una forma» ma di «fare o
agire come Cristo», che si concretizza nell’impegno morale del cristiano che
cerca di riprodurre o di uniformare la propria vita alla «vita» di Cristo.
Rosa non può che volere per le sue maestre e
per le ragazze della sua scuola tutto questo, creando un «programma» adeguato
all’utenza che ha, ma con questi obiettivi, alti, da raggiungere.
I testi che Rosa ha presente
del Bellarmino sono due libretti, divulgativi e popolari sulla dottrina
cristiana, uno breve, Dottrina cristiana
breve (1597) e uno più ampio e completo, Dichiarazione più copiosa
della dottrina cristiana (1598) essi avevano una larghissima diffusione e
costituirono la base dell’istruzione religiosa per molte generazioni.
Il loro autore, anch’egli gesuita, imbevuto
di una «spiritualità del servizio» lo fa essere vicino agli uomini per cercare
senza indugio una soluzione ai lori problemi. Il valore profondo di tutte le
sue disquisizioni si scorge nella chiarezza e nella profondità con le quali
svolge la natura intima di ogni verità di fondo. Roberto Bellarmino ha una
grande sensibilità nel captare i problemi del suo tempo, questi sono infatti
catechismi ispirati alla concretezza mentale del popolo al quale sono
destinati.
La spiritualità, presente in
tutte le sue opere, tra tutte ricordiamo il suo capolavoro, Le controversie del cristianesimo contro gli
eretici di questo tempo, è quella
degli Esercizi Spirituali in una
sintesi armonica delle grandi intuizioni ignaziane della maestà e del servizio
divino.[75]
5.4 Orario giornaliero della scuola
La scuola pia apre presto,
le ore sono distribuite tra la mattina e il pomeriggio. L’insegnamento, fatta
eccezione per quello della scrittura, è simultaneo nel rispetto e
nell’interesse delle alunne:
Primeriamente, di mano in mano, che le Fanciulle entrano in Scuola, si fanno inginocchiare davanti all’altarino, e dalle Maestre le si fa rifare il segno della Santa Croce, e dire il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo et i Dieci Comandamenti.[76]
Una ad una le alunne si
avvicinano alla maestra e probabilmente fanno esercizio di lettura, il gruppo
di quelle che aspetta il proprio turno per questo insegnamento
individualizzato, rimane a lavorare al proprio posto:
Doppo, a una a una, per ciascheduna Maestra, vanno a prendere la lezzione, e dopo tornano a lavorare.[77]
Segue una pausa delle
attività durante la quale si fa colazione e quando è possibile si assiste alla
S. Messa, ripreso il lavoro, dal posto, si disputano gli articoli del Credo, il
Pater Noster, i Dieci Comandamenti, I Sacramenti, le Beatitudini, i Doni dello
Spirito Santo e altro della dottrina del Bellarmino. La mattinata finisce con
un momento di preghiera, una sollecitazione delle maestre a riflettere sulla Dottrina
Cristiana e a mettere in pratica i Dieci Comandamenti. Poi le ragazze vanno a
pranzare nelle loro case.
Le attività pomeridiane non
differiscono molto da quelle del mattino, anche nel pomeriggio il lavoro
strettamente scolastico è preceduto da un momento di preghiera; poi le alunne
prendono ancora lezioni di lettura individualizzate e svolgono i lavori
femminili. Terminata per tutte la lezione individuale l’insegnamento diventa
collettivo, le maestre spiegano il catechismo e pongono delle domande. Poi c’è
una pausa per la merenda e di seguito una maestra legge la vita di qualche
Santo. La giornata finisce con il ringraziamento e un momento di preghiera; al
momento di tornare a casa le maestre raccomandano la modestia e a riflettere
sulla presenza di Dio.[78]
E’ un’impostazione di vita
religiosa nuova, agile e solida nello stesso tempo, favoriva l’unione
dell’anima con Dio e consente loro la più intensa attività. Infatti, sebbene la
massima parte della giornata sia dedicata al lavoro, questo è organizzato in
modo tale da potersi dire preghiera.[79]
La scuola non è concepita
come una serie continuata di aridi esercizi scolastici, ma è un insieme vario
ed equilibrato di letture e di istruzioni religiose, di ripetizioni, di canti,
di preghiere e di lavori manuali, insomma una scuola nella quale le bambine
devono imparare a vivere la vita cristiana non tanto teoricamente, quanto
praticamente.
Dove si può avere commodità di Chiesa, e Messa, ad ora opportuna si conducono alla medesima ad udirla con questo ripartimento, cioè a coppia, a coppia, processionalmente. Vicino alla prima coppia va una delle Maestre e le altre ripartite fino all’ultima coppia. Si fanno andare con le braccia modestamente piegate, come anno da stare in Chiesa, dove giunte e prese l’acqua benedetta da una che si ferma ivi per darla a tutte: la prima Maestra che va innanzi, le va accomodando in ginocchi per filo, e le altre Maestre trattengono in tanto così in piedi le altre, acciò non si affollino e faccino confusione, e di mano in mano le mandano a coppia alla Maestra, che le accomoda.[80]
La Venerini è
particolareggiata nell’indicare alle sue Maestre cosa debbono insegnare e come
farlo, questo anche perché ella deve insegnare alle stesse Maestre la
«professione» a cui si dedicano. Non c’è allora una preparazione specifica per
l’insegnamento, quindi Rosa si occupa anche di loro.
Per eseguire questo
programma giornaliero che chiede un impegno totale delle alunne Rosa deve
rendere la scuola ben accetta alle famiglie delle fanciulle che la frequentano.
E non sempre è facile, le ragazze provengono da famiglie totalmente assorbite
dal lavoro soprattutto dai contratti agrari come braccianti, mezzadri,
coltivatori proprietari, affittuari, salariati fissi, tutte figure legate al
podere.
Le donne sono occupate nei
campi, soprattutto per le operazioni di trasformazione del prodotti come nel
ciclo del grano, quando non trovano lavoro come donne di servizio, più
frequente in città. Ai lavori femminili vanno inoltre attribuiti la
preparazione dei viveri, il trasporto di questi sui campi. Ciò riguarda anche
le ragazze le quali spesso portano avanti la casa.[81]
Ma ciò che più bisogna far capire, è l’importanza dell’istruzione per ognuno,
anche per le donne.
Le fanciulle e le ragazze
che Rosa attira nella sua scuola sono quindi necessarie in famiglia, e
soprattutto la scuola è considerata forse anche da loro stesse una perdita di
tempo, occorre convincerle a venire e i genitori a lasciarle andare. Sono i
risultati stessi a dimostrare l’utilità anche per le famiglie della scuola: il
ritmo intenso di frequenza, mattino e pomeriggio, permette di raggiungere buoni
risultati in poco tempo e gran parte delle alunne può disporre subito della
propria istruzione, soprattutto quella che riguarda i lavori manuali e
l’andamento della casa. I risultati balzano agli occhi, in casa sono in grado
di svolgere bene qualsiasi lavoro, molte fanno
a loro volta da maestre agli
stessi genitori.[82]
5.5 I contenuti dell’insegnamento
Il nucleo dell’insegnamento
delle scuole pie della Venerini, come abbiamo più volte ripetuto è costituito
dalla Dottrina Cristiana, quindi il catechismo occupa un ruolo centrale. La
linea in cui ella si colloca è quella indicata da Roberto Bellarmino:
Il Credo è necessario per la Fede, perché c’insegna quello che abbiamo da credere, il Pater Noster è necessario per la Speranza, perché c’insegna quello che abbiamo da sperare.
I Dieci Comandamenti sono necessari per la Carità perché c’insegnano quello che
abbiamo da fare per piacere a Dio. I Sacramenti sono necessari perché sono gli strumenti, con i quali si ricevono, e conservano le virtù necessarie per salvarci.[83]
Le esperienze maturate,
attraverso gli incontri di preghiera con le adulte e le fanciulle suggeriscono
che per liberare le fanciulle dell’ignoranza è opportuno:
Comunicare alle fanciulle…, la necessaria notizia dei divini ministeri…istruire le medesime nei lavori manuali…a far calzette, cucire, merletti a piombino, e simili…
Alcuna delle fanciulle di stato civile bramasse di imparare a scrivere a buon fine, per esempio di monacarsi o simile, non si proibisce, in maniera però che non risulti di disturbo delle altre; onde quella tale, preso l’esemplare, si pone in camera a parte separata dalla scuola per farlo.[84]
Si tratta di una scuola in
cui si insegna a pregare, a leggere a lavorare e qualche volta a scrivere:
Fu stimati bene […] di erigere per allora una Scuola, che poi si è moltiplicata per lo spirituale profitto da quella risultatone, con deputare in essa alcune Maestre di età provetta, di vita esemplare, e di carità convenevole non solo per comunicare alle fanciulle, che vi concorrerebbero, la necessaria notizia de’ Divini Misteri, ma anco per istruire le medesime nei lavori manuali, cioè di far calzette, cucire merletti a piombino e simili. […] non manchi il tempo e l’attenzione dovuta per l’insegnamento della Dottrina Cristiana ch’è lo scopo principale che si pretende.[85]
Il motivo per cui si insegna
a lavorare viene presentato da Rosa come un motivo legato a situazioni
concrete. Ella ben capisce che le famiglie, molto spesso non sono in grado di
capire il significato della scuola, l’importanza dell’istruzione e
dell’educazione, mentre sono più disponibili ad apprezzare le attività che
possono permettere alle fanciulle di imparare a svolgere quei lavori che ogni
donna è chiamata a svolgere e che consentono anche di realizzare qualche
piccolo guadagno.
Sicuramente è anche
consapevole della funzione educativa del lavoro, delle possibilità che
l’attività lavorativa offre agli effetti della crescita della persona.
Tuttavia, nella proposta di una scuola di lavoro possiamo leggere anche il suo
senso pratico, la capacità di capire le situazioni, le persone ed anche la
volontà di fornire alla donna delle abilità, delle competenze, che avrebbero
potuto consentire di rendersi autosufficiente anche dal punto di vista
economico.
La proposta di una scuola
dove invece si impara a leggere è invece strettamente legata alla volontà di
rispondere alla domanda di educazione della donna ed alla necessità di dare
alla stessa gli strumenti che le avrebbero consentito di approfondire la
propria istruzione religiosa, consentendole anche di crescere sul piano
spirituale.
Il saper leggere può infatti
permettere alla donna di continuare a farlo, anche dopo l’età comunemente
considerata scolastica, dei buoni libri di edificazione morale e cristiana.
Il fulcro dell’insegnamento
è comunque costituito dalla Dottrina Cristiana e ciò in coerenza con gli scopi
che le istituzioni educative fondate da Rosa si propongono di conseguire:
Questa [scuola] si fa gratis dalle Maestre, non aspettandosi altra ricompensa, che da Dio, e vi si insegna leggere, scrivere, vari lavori donneschi, e soprattutto la Dottrina Cristiana su quel libretto d’oro del Card. Bellarmino, la maniera di fare l’orazione vocale, e mentale, la modestia, con cui deve assistersi al divino sacrificio della Messa, l’esercizio degl’atti delle Virtù Teologali Fede, Speranza e Carità.[86]
A questi scopi è collegata
anche la valorizzazione della preghiera, alla quale viene dato ampio spazio.
La giornata scolastica
inizia con la preghiera, e ogni momento successivo, specificatamente scolastico
o di lavoro manuale è comunque
preceduto dalla preghiera,
quando è possibile, le alunne assistono alla celebrazione della S. Messa poi:
Lavorando, stando ognuna al proprio luogo…disputare gli Articoli del Credo, le petizioni del Pater Noster, i Dieci Comandamenti, li Santi Sacramenti, li Doni dello Spirito Santo, le Otto Beatitudini e simili, della Dottrina Grande del Bellarmino.[87]
Preghiera lavoro e lezioni,
e durante quest’ultime un esercizio tradizionale, ma adattato alle fanciulle:
gli interrogatori, i quali non vengono fatti tutti di un colpo, ma ora uno ora
l’altro: sono divisi in dieci paragrafi: la Ss.ma Trinità, Dio creatore,
incarnazione e vita di Gesù, giudizio e novissimi, confessione con norme molto
pratiche, misteri principali della fede, le cose da sapersi per salvarsi,
preghiere necessarie del cristiano e le virtù teologali. Tutto ciò non è in
contraddizione con il catechismo ufficiale, ma è il modo di presentarlo
adattato alla sua utenza.
5.6 Gli «Esercizi del Venerdì»
La caratteristica del metodo
di Rosa consiste in quegli esercizi del venerdì, cioè in una specie di
ricapitolazione delle cose più importanti e più pratiche della Dottrina
Cristiana, per mezzo di domande e risposte.
E’ un piccolo manoscritto di
68 pagine, il cui contenuto può dividersi in tre parti:
«Nota degli esercizi che si fanno ogni venerdì nelle scuole pie».
Una preghiera alle cinque
piaghe del Signore.
Un estratto dalle
rivelazioni di S. Brigida sulla passione del Signore.
La parte originale della
Venerini è la prima, perché la seconda e la terza non sono che trascrizioni
fatte per arricchire questi esercizi. In sostanza Rosa scrive un suo Catechismo
per le sue scuole. Si vede innanzitutto che l’autore non è certamente un
sacerdote, il quale si sarebbe espresso con linguaggio più teologico, ma forse
meno adatto alla mente delle fanciulle.
E’ la mano della Venerini,
non solo nel senso materiale della parola, ma nel senso di autrice dello
scritto.
Quando nel 1714 è stampata
per la prima volta la Relazione è
presente anche questo esercizio specifico. Lo scritto, prima di andare in
stampa, è riveduto da diversi ecclesiastici, infatti vi troviamo alcuni
ritocchi, fatti per aggiustare alcuni particolari presenti nel manoscritto di
Rosa. Questo poi paragonato alla Relazione
manca dell’ultima parte riguardante le opere buone.
Dal manoscritto:
M. Quante volte si muore?
R. Una volta sola
M. Quando moriamo, muore ogni cosa di noi come le bestie, che muoiono in tutto, anima e corpo?
R. Di noi muore solo il corpo, l’anima non muore mai.[88]
Dalla Relazione
M: Quante volte si muore?
R. Una volta sola
M. Quando moriamo, muore ogni cosa in noi?
R. Signora no; noi non moriamo come le bestie, che muoiono in tutto, nell’Anima e nel Corpo, per la separazione, che da esso fa l’Anima, la quale non muore mai[89]
E’ evidente come nel
manoscritto di Rosa, nella seconda risposta, c’è l’ansia di comunicare il
messaggio nel modo più semplice da risultare informale, mentre nella Relazione la risposta è più elaborata e
formale.
La redazione di questi Esercizi è il risultato anch’esso, di
prove, di verifiche che hanno permesso alla Venerini di sistemare
l’indispensabile della Dottrina Cristiana in modo da diventare patrimonio di
tutte le fanciulle che frequentano la sua scuola.
Questo testo ci testimonia
come Rosa ha capito che la differenza tra il modo di apprendere dei fanciulli e
dei preadolescenti e quello degli adulti non è di tipo quantitativo ma
qualitativo. Il suo catechismo infatti, sia per quanto riguarda i contenuti che
per quanto riguarda l’espressione, l’uso dei vocaboli, la costruzione del
discorso, il riferimento all’esperienza vuole essere adeguato alla cultura,
alle esigenze alle capacità di comprensione e di memorizzazione delle fanciulle
alle quali è destinato.
Nello stesso tempo la
Venerini dimostra di aver capito che lo studio catechistico, per sua stessa
natura, non tollera alterazioni, banalizzazioni, semplificazioni, che possano impedire
la conquista delle verità fondamentali della Dottrina Cristiana e quindi
ostacolare la realizzazione di un progetto di vita cristiana.
I contenuti degli Esercizi del Venerdì si riassumono così:
I Nuovissimi, una analitica illustrazione degli stessi e del Purgatorio,
l’Anima e la sua salvazione, l’Eucarestia, e le condizioni per riceverla, la
Chiesa, vista come casa di Dio e il modo di comportarsi in Chiesa, di
professare la propria fede, di fare gli atti di adorazione, di dolore, di
ringraziamento, di ammirazione della Gran Bontà di Dio, le opere buone, vive,
morte e mortificate. Si nota nella proposta di questi contenuti l’espressione
di un’attenzione particolare per il momento storico e la volontà di celebrare
quelle verità che la Riforma Protestante mette in discussione.
M. Che cosa è ostia consacrata?
R. E’ il corpo, il sangue, l’anima e la divinità del nostro Signor Gesù Cristo, sotto specie di pane, come parimente sotto le specie di vino nel calice.
M. Come si chiama l’ostia santissima dopo che è consacrata?
R. Si chiama Santissimo Sacramento dell’Eucarestia.
M. Ma quando ci viene Gesù Cristo Signor nostro nell’ostia?
R. Quando il sacerdote finisce di dire sopra di essa le parole della consacrazione.
M. Vediamo noi il Signore quando è venuto nell’ostia?
R. Non lo vediamo, ma crediamo fermamente che quell’ostia non sia pane, ma realmente il corpo, sangue, anima, e divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
M. Abbiamo noi da credere o vedere questo sì grande miracolo?
R. Dobbiamo crederlo fermamente.[90]
E’ ben visibile il
riferimento al dovere di «credere» a questo «sì grande miracolo» e di fuggire
il peccato di infedeltà, cui segue l’invito a pregare per l’esaltazione della
Santa Chiesa, per l’estirpazione dell’eresia, per la pace tra principi cristiani
e per la conversione degli infedeli.
La proposta dei contenuti
viene effettuata attraverso domande e risposte che seguono il criterio di
partire dal «generale» per arrivare al «particolare». Le domande e le risposte
sono semplici essenziali oltre ad avere la caratteristica dialogico-familiare.
Si ha l’impressione che esse
siano la sistemazione di conversazioni effettivamente effettuate, in cui i
quesiti sono inseriti in un discorso più ampio, condotto dalla maestra con
familiarità e con la volontà di adeguare il tono al modo di pensare e di
parlare degli interlocutori.
La maniera di porre le
domande e di proporre le risposte non è infatti uniforme; le domande sono
introdotte dal «quando», dal «dove», da «che cosa», dal «può essere» e talvolta
iniziano direttamente con il verbo e con il «dunque». Le risposte a loro volta
sono spesso ampie e discorsive e utilizzano solo parzialmente e non sempre le
parole usate per formulare le domande.[91]
M. Che cosa è l’Inferno?
R. La casa del Demonio, dove per tutta l’Eternità si patiranno da’ condannati tormenti maggiori di quanti mai ne abbiamo patiti, e ne patiranno tutte le creature fino alla fine del Mondo.
M. Puol’essere mai, che quelle Anime disgraziate possino sminuire le loro pene e ritrovare un poco di refrigerio?
R. Non puol’ essere, ma sempre peneranno, senza minima stilla di consolazione.
[…]
M. Che cosa è Paradiso?
R. E’ la Reggia del Supremo Monarca Dio.
M. Che cosa si fa in questa Reggia di Dio?
R. Si gode sempre in lui ogni desiderabile Felicità.[92]
Sia le domande che le
risposte sono espresse con la prima persona plurale e ciò fa pensare ad un
rapporto abbastanza ravvicinato tra chi domanda e chi risponde. Infine, per la
loro formulazione le domande invitano più alla riflessione che alla ripetizione
di formule non assimilate.
Per quanta riguarda il
lessico possiamo riscontrare un linguaggio familiare.
Alcune espressioni
colpiscono per la loro immediatezza come le descrizioni dell’Inferno e del
Paradiso, il primo definito «la casa del Demonio» e il secondo «la Reggia del
Supremo Monarca Dio».
Anche la scelta di alcuni argomenti sono di
interesse popolare: ad esempio la presentazione delle opere buone può essere
vista come risposta al bisogno di chiarire in che cosa consiste per i cristiani
fare il bene.
M. Di quante sorti possono essere le nostre opere buone?
R. Di tre sorti, cioè, opere vive, opere morte, ed opere mortificate.
M. Ma quali sono le opere vive?
R. Quelle che si fanno quando la persona sta in grazia di Dio, e da esse si ricevono tre grandi utilità, cioè il merito, l’impetrazione delle grazie, e la soddisfazione per le colpe.
M. Quali sono le opere morte?
R. Quelle che si fanno, quando la persona sta in peccato mortale.
M. Quali sono le opere mortificate?
R. Sono quelle, che si fanno stando in grazia di Dio, e poi peccando mortalmente restano mortificate, e di niun merito, fino, che la persona sta in peccato; e si dice che sono mortificate, e non morte, perché se la persona si confessa, e torna in grazia di Dio, torna ancora nell’Anima il merito di quelle opere; il che non succede delle opere morte, cioè di quelle, che si fanno quando si sta in peccato mortale; e però è bene anco in tale stato fare del Bene, udir prediche, fare orazioni ed elemosine e simili, ma sopra tutto presto confessarsi, ed intanto, fare spesso atti di Contrizione, con proposito di confessarsi quanto prima si può.[93]
La redazione degli Esercizi, elaborati nel tempo, ha
consentito alla Venerini di rivedere continuamente il suo modo di educare, di
perfezionarlo, per crescere sul piano personale e in capacità educativa.[94]
5.7 La scuola di preghiera per le adulte
La Venerini pur volendo
esprimere la sua volontà di apostolato attraverso la scuola, sa bene che
l’azione educativa è destinata ad andare oltre la scuola. Essendo convinta che
l’educazione deve iniziare in tenera età, ella è consapevole del fatto che
l’uomo è chiamato a realizzare il proprio autoperfezionamento, a crescere in
cultura, in spiritualità, in fede, in virtù durante tutto il corso della sua
esistenza.
Ella
inizia ad operare con le fanciulle e le loro madri ed anche dopo l’istituzione
della scuola continua a rivolgere una particolare attenzione alle adulte.
Inoltre avverte la necessità di seguire le fanciulle anche nelle ore
extrascolastiche.
Quando sono i giorni lunghi, né quali riesce un poco più di tempo, dopo la lezione, due volte alla settimana, una delle maestre conduce le fanciulle più capaci all’oratorio e le fa fare un quarto d’ora di orazione mentale…praticamente il modo di pricipiare, il porsi alla presenza di Dio, di riflettere, di fare gli atti di domanda, di dolore, di ringraziamento, dei buoni proponimenti appropriati alla loro capacità, come di essere più ubbidienti, più modeste per la strada, più devote in Chiesa, e cose simili.[95]
E’ una vera e propria scuola
di preghiera. In questo caso Rosa può mettere a disposizione ciò che da ragazza
ha appreso nel convento nonché dalla scuola spirituale fattale dai padri
gesuiti che ha come guide. In alcuni luoghi questa scuola si fa ogni giorno: al
termine delle lezioni le fanciulle più «grandicelle» vengono trattenute a
scuola dove sono accolte anche le
donne adulte per fare un po’
di meditazione insieme alla maestre:
Oltre a tutto ciò che si è detto, qui in Viterbo, quando sono i giorni lunghi, ne’ quali riesce un poco di tempo, dopo la lezione due volte la settimana, una delle Maestre
conduce le più capaci nell’Oratorio, e le fa fare un quarto d’ora scarso di orazione
mentale.[96]
In altri luoghi le donne
adulte sono accolte per la meditazione anche nelle ore della mattina a seconda
del tempo a disposizione:
In altri [luoghi] si pratica lo stesso mattina e sera: e quando questo esercizio sia riuscito fruttuoso l’esperienza l’ha dimostrato in tutti li Paesi, dove si è introdotto […] si procura nelle Scuole, particolarmente in paesi piccoli, far questo breve esercizio di sante riflessioni anche alle donne.[97]
La scuola, in questi casi si
configura come una comunità di preghiera, dove giovani e adulte si incontrano e
dove le maestre svolgono un’azione di animazione spirituale:
Della scuola di Cori ne abbiamo ottime nuove, che si fa del bene assai con le donne la sera nell’orazione. Di tutto ciò sia lodato e ringraziato sempre il nostro caro Signore Iddio, che si degna impiegarci in questa santa opera.[98]
Degna di nota è questa
attenzione per la meditazione e importante è il passaggio dalle preghiere che a
scuola si recitano in coro, secondo schemi prestabiliti e questi momenti di
riflessione, di silenzio, di meditazione, a guardare dentro se stessi.
Diverso è anche il ruolo
della maestra che nella scuola insegna mentre qui sollecita, esorta,
incoraggia, invita a parlare.
Carissima Figlia in Cristo.
[…] Questa vi servirà per rendere grazie a Dio che abbia esaudite le vostre orazioni; siccome io, e tutte le P.P. rendono grazie al sommo Bene per la protezione che si compiace di avere e di voi e di cotesta Scuola contro le insidie del comune Inimico. Sia questa a voi e a tutta la comunità stimolo ad accrescere sempre più la confidenza nella divina pietà.[…][99]
Pertanto con questa
particolare esperienza, mira a far sì che le formule catechistiche, ripetute
dalle fanciulle a scuola, siano interiorizzate e vuole anche che le adulte
esercitino la loro mente, la loro riflessione, per operare sempre, in ogni
momento della loro esistenza delle scelte meditate, sofferte, conquistate.
E’ convinta che la
riflessione porta alla coscienza del bene e la sua convinzione è sorretta dalla
certezza che Dio vuole che gli uomini si
rendano conto della loro
natura. Inoltre ella sa bene che non si ha educazione se non si ha la capacità
di un raccoglimento che serve a intendere se stessi, a valorizzare quella
scintilla divina che è nel nostro intimo, che si avverte solo quando si è
imparato a guardarsi dentro.
La Venerini è certa che la
capacità di scoprire questa sacra scintilla che è in noi si conquista molto
lentamente, con un’educazione appropriata e tanto più facilmente quanto più la
nostra mente viene coltivata.
L’azione educativa viene
completata dalla scuola di preghiera, dove si colgono i frutti del lavoro
effettuato nelle ore scolastiche e si completa l’opera già iniziata e dove
forse si può realizzare il fine ultimo di tutta l’azione educativa.
Anche il dialogo, che ella
raccomanda alle maestre, la lettura della vita dei Santi, che, a suo avviso,
può soddisfare la tendenza alla purezza, l’aspirazione alla santità
contribuiscono ad avviare alla riflessione, all’interiorizzazione del messaggio
e dei messaggi cristiani, coltivando la capacità di ascoltare la voce di Dio
che parla in noi.[100]
In questa appendice presentiamo alcuni scritti di Rosa Venerini, una lettera inviata a lei da P. Ignazio Martinelli e una breve nota cronologica, relativa alla sua vita.
L’appendice risulta così articolata:
1. Passi tratti dal Testamento del 1697.
2. Passi tratti dalla lettera alla maestra Cecilia Maltoni, 3/11/1723.
3. Lettera scritta da P. Ignazio Martinelli, marzo 1708.
4. Testamento del 1728.
5. Preghiera scritta da Rosa Venerini per S. Ignazio di Loyola.
6. Nota cronologica.
1. Testamentum
Servae Dei Rosae Venerini, die 7
septembris an 1697.
A. M. D. G.
A
gloria e onore della santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo, Dio
solo in essenza e trino nelle persone.
I.–Da
me, Rosa Venerini, indegna serva dei suoi servi, creduto, confessato e adorato
come mio Dio, mio creatore, mio conservatore, mio redentore nell’incarnato
Verbo,[…]
avendomi dalle vie torte e pericolose del mondo
richiamate alle sue dritte care e conducenti all’eterna salute, per mezzo della
vocazione al suo divino servizio, nell’indirizzo della pia educazione dei suoi
agnelli, cioè delle innocenti fanciulle.
II.-Quale vocazione per meglio esercitare, sbrigata
da ogni impedimento dei parenti, con il consiglio e approvazione del mio Padre
spirituale, il Padre Ignazio Martinelli, religioso della Compagnia dei Gesù, al
presente Rettore del Collegio di Viterbo, domandai licenza al Signor Orazio
Venerini, mio fratello, d’andarmene a stare con altre due zitelle viterbesi in
una casa, a questo fine già provveduta.[…]
III.-Me ne andai dunque l’anno 1685, con licenza del
mio carissimo fratello, ad abitare in detta casa, ai trenta d’agosto, prendendo
alcune pocche cosarelle per mio uso,[…]
[…]
XII-Confido nondimeno che alla pietà delle Maestre
che si affaticheranno nella vigna del Signore, col solo fine d’indirizzare la
gioventù nel sentiero della vita cristiana, con isegnarli i rudimenti della
nostra santa fede, et anco i lavori manuali sì per assuefarle a fuggire l’ozio,
sì anco acciò le povere possano supplire alle loro necessità cresciute che
saranno; e così ben educate, quelle che poi avranno figliuoli, possano
allevarli nel santo timor di Dio, e così sia del tutto scacciata la colpevole
ignoranza et abbian tutti sufficiente cognizione del loro Creatore e Redentore.
Confido, dico che a tal opera di pietà e i suoi operai, per essere molto grata
al benignissimo Signor Nostro Gesù, non mancheranno i sussidi necessari, non
solo per la Scuola che io lascio, ma che ne apriranno altre ancora; e quante ne
saranno necessarie; e questa santa opera sarà assistita e favorita sempre dal
nostro piissimo e eminentissimo Vescovo e i Suoi successori et altri Superiori,
e da tutta la venerabile Compagnia di Gesù, seguendo il zelo del loro santo
Fondatore Ignazio di Loiola; che però prego nelle viscere del Signore i
suddetti Signori Superiori, come anco il Reverendissimo Padre Generale della
Compagnie di Gesù a volere che i Padri di questo lor Collegio, alle altre loro
sante fatiche e opere di pietà, col solo fine della maggiore gloria di Dio,
aggiungano ancora questa di dirigere le anime delle Maestre suddette, che come
ho detto, desidero e voglio, che in tutto e per tutto seguino le regole che da
detto Padre spirituale gli saranno prescritte, per esercitar detta Scuola Pia e
obbediscano ai di lui santi consigli;[…]
[…]
Perché questa, e non altra, voglio che sia la mia
ultima volontà; in fede ho scritto e sottoscritto il presente testamento, di
mia propria mano,
questo dì 7 settembre 1697 Io
Rosa Venerini
testo e dispongo come sopra
M. P.
2. Passi della lettera alla Maestra Pia Cecilia Maltoni, 3 novembre 1723.
[…]
«Sorella carissima, faticate allegramente, e non vi
saziate mai di ringraziare l’eterno nostro Amore e sommo Bene per la nostra
vocazione a sì santo ministero; che certo l’è una grazia molto singolare, che
noi altre donniccciole ignoranti abbiamo la gran sorte, per mezzo delle pie
istruzioni della Dottrina cristiana, dar lume a tempo opportuno, cioè nell’età
tenera imprimere nell’anime delle fanciulle il santo amore e timore di Dio, la
stima delle cose eterne, e il poco conto e disistimazione delle cose
transitorie e caduche. Oh Signore mio caro, fateci per vostra bontà stimar sì
grande favore per procurar di corrispondere, quanto aiutare dall’efficacissima
vostra grazia ci sarà possibile!» […]
Roma, 3
novembre 1723 Umilissima
et obbligatissima Serva in Cristo Rosa Venerini.
3. Lettera di P. Ignazio Martinelli a Rosa Venerini, marzo 1708.
Alla molto illustre Signora
e Padrona osservantissima
La
Signora Maestra Rosa Venerini
Roma
P. C.
Carissima
Figlia in Cristo.
Figliuola mia, questa è una gran scuola per voi! Se
saprete approfittarvene, beata voi. Io ne tengo la ferma speranza, e credo che
Dio benedetto vi abbia chiamata a Roma per finir di purificare il vostro cuore,
con il perfettissimo distacco, e con la pienissima rassegnazione alle
disposizioni del cielo, tanto più rette, quanto meno conosciute dalla nostra
corta intelligenza. Io quello che vi consiglio è, che parliate fortiter et suaviter, senza rispetto
alcuno, ma con sommo rispetto. E quando vediate, che ciò non basti, prendete
qualche giusto pretesto, e ritornatevene a coltivar la vigna del Signore, che
vi aspettano e che hanno gran bisogno della vostra presenza; massime quella
dell’Oriolo, in cui vi sono de’ grandi disturbi in riguardo al nuovo
confessore; e quella di Viano, che sta molto sconcertata per i contrasti del
Ministro del Prencipe. Qui Madonn’Angela [Leonetti]
sta un po’ meglio: ma temo che presto potremo perderla. Vi rendono tutte
cordiali saluti, e pregate per tutti, e Dio vi benedica. Amen.
4. Alterum et ultimum Testamentum Servae Dei Rosae Venerini, conditum die
27 ianuraii an 1728.
In nome di Dio, della gloriosa sempre Vergine Maria,
e di tutta la Corte celeste.
Io Rosa Venerini, nata in Viterbo, trovandomi vicina
a partire da questo mondo, e portarmi, se sarò degna, a godere del mio
Creatore, essendo sana di mente, benché inferma di corpo, protesto, come,
essendo, vissuta sempre nella santa fede cattolica Romana, voglio in questa
morire, e desidero, che l’ultimo mio respiro sia invocar Gesù Crocifisso, nel
cui preziosissimo sangue pienamente confido, […]
E perché delle cose temporali non ho cos’alcuna da
lasciare, essendomene affatto spogliata, da che il mio Dio mi chiamò a questo
stato di Maestra Pia, in cui mi ritrovo, però mi rivolgo con tutto il mio
spirito a voi, mie dilette figliuole, e sorelle che aiutata m’avete a propagar
la gloria divina nell’esercizio delle Scuole Pie alle fanciulle, quale Dio
Signor nostro m’ha dato grazia d’introdurre in molti paesi, servendosi di me,
come si servì della mascella dell’asino in mano di Sansone. E in primo loco
benedicendovi tutte, giacché tutte vi porto in mezzo al cuore, con questo
scritto, mentre non posso in voce, sfogo con voi i sentimenti dell’anima mia.
Ah! Se volete essere sempre da Dio protette corrispondete alla vocazione che
egli v’ha dato. Vincete la propria volontà, e le naturali repugnanze, col
mantenere costantemente le vostre regole, perché queste coll’esperienza ho
veduto, che troppo sono necessarie nel mestiere distratto e pericoloso, in cui
siete. L’orazione mentale non la lasciate mai in ogni giorno, che questa è
l’alimento dell’anima per conservarsi nella giornata.[…]
Vi prego, che siccome l’abito del corpo deve essere
sempre in tutte l’istesso, cioè nero, e
composto così il fine dell’operare sia in tutte sempre il medesimo, cioè
attendere con ogni diligenza alla propria salute e insieme attendere a quella
de’prossimi, coll’usare tutta la carità e pazienza nell’insegnare alle fanciulle
col mezzo de’ manuali lavori, le massime della santa fede, la Dottrina
Cristiana, e i buoni costumi, istruendo ugualmente che le altre, le più povere,
e le meno civili, anzi queste con più amore che le altre. Siccome fuori di casa
non dovete andar mai sole per l’onestà, così in casa sia in tutte voi un amore
scambievole […]; e a quest’unione, e carità gioverà molto l’insistere, che il
confessore sia l’istesso per tutte le Maestre di ciascuna Scuola, che fomenterà
ancor in tutte quel zelo ardente, che in ciascuna di voi io tanto desidero.
In
oltre, perché al bene stabile di tutta l’opera è necessario, che ci sia un
capo, al quale spetti correggere i difetti, […] fondare or questa, or
quell’altra Scuola, secondo che il Signore si degnerà di aprire nuovo campo
alla messe, ammettere e questa e quella all’abito di Maestra, e cose simili;
perciò dichiaro a tutte, esser mia volontà, che seguita la mia morte sia
sostituita in loco mio, per correggere i miei difetti, in grado di Superiora a
tutte la Signora Chiara Candelari. […]
Tanto ho giudicato di dirvi con questo scritto,
fatto per altrui mano, e da me non potuto ne pure sottoscrivere per la
debolezza del braccio, e perché siate tutte più certe, esser questi i miei
ultimi sentimenti, avendo qui fatto il presente segno di Croce + alla presenza
delle due persone qui sottoscritte, faccio rogare il presente foglio per mano
del Signor Gio. Antonio Berini, notaro Capitolino in Campo Marzio, a cui lo
consegno in forma d’un quasi spirituale mio testamento , chiuso, e sigillato,
acciocchè da nessuno, prima della mia morte, si sappia questa mia ultima
volontà, con dar ampia licenza, che dopo essa sia questo aperto, e se ne mandi
a ciascuna Scuola una copia. A rivederci in cielo.
Dalla casa di S. Marco di Roma, questi dì 27 gennaro
1728.
5. Preghiera scritta da Rosa Venerini per S. Ignazio di Loyola.
A.M.D.G
Orazione a Sant’Ignazio Loiola, Protettore delle
Scuole.
O gloriosissimo Padre S. Ignazio, Che dal Signore
Iddio foste meravigliosamente dotato d’ardentissimo amore verso Sua Divina
Maestà, e infocatissimo zelo della salute delle anime, trasfuso per mezzo
vostro in tutto il mondo; oggi prostrata ai vostri piedi, v’eleggo per mio
avvocato, protettore e guida, umilmente pregandovi, per quell’acceso amore che
portaste e portate al Signore e per lo gran desiderio che aveste della salvezza
di tutto il genere umano, a degnarvi di tener special cura di me in tutte le
mie necessità, e di ottenermi grazia dall’onnipotente Dio che ora godete in
cielo, d’avere un vero conoscimento di me stessa, un gran dolore dei miei
peccati, un totale staccamento dall’affetto di queste cose terrene, e un vivo
desiderio delle celesti; attendendo continuamente al vero, sodo e stabile
profitto in ogni virtù, acciocché, seguendo in terra le vostre pedate, per
misericordia e clemenza dello stesso Dio, colla vostra benigna intercessione,
sia fatta finalmente degna d’essere ammessa alla visione beatifica in paradiso,
Amen.
Sant’Ignazio, impetrate all’anima mia
Coll’amore di Gesù quel di Maria.
6. Nota Cronologica
1656- Nasce a Viterbo il 9 febbraio, Rosa Venerini, figlia di Goffredo e di Marzia Zampichetti.
1676- Rosa chiede di essere collocata nel monastero di S. Caterina a Viterbo.
1677- Muore Goffredo Venerini e Rosa torna a casa.
1680- Muiono il fratello maggiore Domenico e la madre, dopo il matrimonio della sorella resta da sola in casa con il fratello Orazio.
1680/1685- Rosa riunisce le fanciulle e le donne del popolo in incontri di preghiera che si tengono al pian terreno della sua casa.
1685- Rosa il 30 agosto, apre la prima scuola pubblica per le fanciulle povere.
1692/94- Viene invitata dal Cardinale Barbarigo, vescovo di Montefiascone e Corneto, per fondare le scuole in questa diocesi.
1694- Torna a Viterbo per riorganizzare la sua prima scuola.
1699/1707- Rosa fonda numerose scuole nelle diocesi di Viterbo, Tuscania, Bagnoregio, Sutri,Nepi, Civita Castellana, Orte, Gallese.
1707- E’ chiamata a Roma per succedere a Lucia Filippini nella direzione di una Scuola Pia, ma a causa della diversità di metodo, fallisce.
1713- Apre la sua prima scuola a Roma.
1714- Rosa Venerini pubblica la Relazione degli esercizi che si praticano in Viterbo nelle scuole destinate per istruire le fanciulle nella Dottrina Cristiana.
1716- Il papa Clemente XI fa una visita solenne alla scuola delle Maestre Pie Venerini.
1728- Rosa muore a Roma il 7 maggio 1728.
Nota bibliografica
In questa nota viene elencato tutto il materiale bibliografico che è stato utilizzato per questa ricerca. Fondamentali per tracciare la figura e l’opera pedagogica di Rosa Venerini sono stati i documenti della Positio, soprattutto perché in essa sono presenti tutti gli scritti, oggi disponibili, della fondatrice delle Maestre Pie.
I trattati di pedagogia dei secoli ‘500, ‘600 e ‘700 che contengono le idee dei trattatisti sull’educazione femminile dell’epoca in cui visse ed operò Rosa Venerini, sono stati consultati all’interno di raccolte a loro dedicate.
I testi a carattere generale, i dizionari, le enciclopedie, le biografie e gli altri scritti su Rosa Venerini, anche se non tutti vengono riportati nelle note, sono presenti nella ricerca e sono stati a loro volta essenziali per l’inquadramento storico e sociale nel quale l’opera della fondatrice è sorta e per tracciare la sua vita spirituale che in gran parte è stata ricavata dagli scritti sulla spiritualità ignaziana.
1. Documenti della
congregazione
SACRA RITUUM CONGREGATIO SECTIO HISTORICA N.48, Romana seu Viterbien. Beatificationes et Canonizationis Servae Dei Rosae Venerini, Fundatricis Magistrarum Piarum quae ab eius cognomine nuncupantur:Positio super Virtutibus, Ex Officio Compilata, Roma, 1952.
In particolare:
Textus varii quibus partes illustrantur, quas habuit R. P. Ignatius
Martinelli S. I. in Serva Dei moderanda ac in eiusdem Servae Dei operibus
promovendis 1683-1716.
R. VENERINI, Testamento del 1697.
Textus varii de visitatione Scholae Piae Servae Dei a Clemente Papa XI
die 24 oct. an 1716 facta.
R. VENERINI, Nota degli Esercizi che si fanno ogni venerdì nelle Scuole Pie, scritta prima del 1714.
R. VENERINI, Relazione degli Esercizi che si pratticano in Viterbo, nelle scuole destinate per istruire le fanciulle nella Dottrina Cristiana, 1714, ristampa 1718.
Lettere scritte da Rosa Venerini.
Lettere ricevute da Rosa Venerini.
A. G. ANDREUCCI, Ragguaglio della vita della Serva di Dio Rosa Venerini, 1732.
Regole per le Maestre pie dell’Istituto della Serva di Dio Rosa Venerini, ricavate dalla vita, dalla relazione, dai manoscritti della medesima, Roma, dalla Tipografia della Rev. Cam. Apostolica, 1867.
Costituzioni della Congregazione delle Maestre Pie Venerini, Roma, 1973.
Conferenze introduttive alle celebrazioni del 3 centenario dell’opera
educativa della Beata Rosa Venerini 1685-1985.
La vita religiosa e il carisma vocazionale di Rosa Venerini. Corso di
educazione permanente.
2. Scritti di pedagogia del ‘500, ‘600, ‘700
S ANTONIANO, Dell’educazione cristiana e politica dei figliuoli, Verona, 1583.
J. M. BRUTO, La institutione di una fanciulla nata nobilmente, 1555.
J. DE CALASANZ, Breve relazione sul modo usato nelle scuole
pie per insegnare agli alunni poveri che d’ordinano sono più di settecento non
solo le lettere ma soprattutto il santo timor di Dio.
P. DE LA BARRE, De l’égalité des deux sexes, Paris, 1673.
F. FENELON, L’educazione delle fanciulle, [1687] Libreria editrice Canova, Treviso, 1955.
C. FLEURY, Traité sur le choix et la méthode des études, Paris, 1686.
M. DE MAINTENON, Lettres sur l’education des filles, Paris, 1854.
A. NECKER DE SAUSSURE, L’educazione progressiva, [1828] La Scuola, Brescia.
A. PICCOLOMINI, La Raffaella ovvero della bella creanza delle donne, 1540.
J. J. ROUSSEAU, Emile ou de l’education, Paris, 1762.
J. L. VIVES, De l’institution de la femme chretienne, 1523.
3. Testi a carattere
generale
R. AGO, Braccianti, contadini e grandi proprietari in un villaggio laziale nel primo settecento in Quaderni storici, 46, Bologna, Roma-Ancona, Il Mulino, 1981.
R. AGO, Conflitti e politica nel feudo: le campagne romane del settecento, in Quaderni storici, 63, Bologna, Roma-Ancona, Il Mulino, 1986.
I. AIT, Strade cittadine: atteggiamenti mentali e comportamenti a Roma nel XV secolo, in Studi storici, 4, Roma, Editori Riuniti Riviste, 1991.
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L. PASCOLI, Codicillo del Testamento politico stampato
nel 1733 in Colonia sotto il nome d’un Accademico fiorentino in cui si
aggiungono molti altri diversi progetti e necessari avvertimenti per utile e
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4. Dizionari e enciclopedie
Bibliotheca sanctorum, Roma, Città nuova editrice, 1966.
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5. Biografie e altri scritti
su Rosa Venerini e il suo Istituto
A. G. ANDREUCCI, Ragguaglio della vita della Serva di Dio Rosa Venerini viterbese, Istitutrice delle scuole delle Maestre Pie, Roma, nella stamperia di Antonio de Rossi, 1732, II ed. 1806, III ed. 1868. Il testo utilizzato è riportato interamente nella Positio, pp. 455-555.
R. ANGELI, Rosa Venerini, una guida per la gioventù, Livorno, Stella del mare, 1953.
G. CELLI, Le origini delle “Maestre Pie”, in La Civiltà Cattolica, vol. I, Roma, 1925.
P. CHIMINELLI, Profilo della Beata Rosa Venerini (1656-1728), Napoli, O.C.E.A.N., 1953.
G. V. GREMIGNI, La Beata Rosa Venerini, Roma, Tuminelli, 1952
G. GUARNIERI, La spiritualità della Beata Rosa Venerini (metodologia di un lavoro di ricerca), esercitazione scritta per l’istituto di teologia della vita religiosa Claretianum, Pontificia Università Lateranense, a.a. 1985-86.
G. GUARNIERI, L’opera educativa della Beata Rosa Venerini nel suo tempo, esercitazione scritta per l’istituto di teologia della vita religiosa claretianum, Pontificia Università Lateranense, a.a 1984-85.
MAESTRE PIE VENERINI, XI Capitolo Generale (20 luglio-11 agosto 2001), in Osservatore Romano, venerdì 10 agosto 2001.
S. S. MACCHIETTI, Rosa Venerini all’origine della scuola popolare femminile. L’azione educativa del suo Istituto dal 1685 a oggi, Brescia, ed. La Scuola, 1986.
G. MARTINA, Alle radici spirituali e culturali di Rosa Venerini. La Beata Rosa Venerini e il suo tempo, in Spiritualità e Cultura. Rosa Venerini (1656-1728) Antesignana della scuola femminile italiana, an. III, n. 2, 4 giugno 2001.
M. E. PIETROMARCHI, Vita della Beata Rosa Venerini fondatrice delle Maestre Pie, Roma, 1952.
Sono molti gli argomenti che possono costituire oggetto di studio, scoperta, analisi riguardanti la persona e l’opera di Rosa Venerini Tra i tanti quelli che seguono sono un promemoria di temi e di problemi ricorrenti in questo lavoro di ricerca il quale fissa l’attenzione sulla spiritualità dell’educatrice viterbese e sulla sua opera educativa, le quali si integrano compenetrandosi a vicenda.
Una spiritualità operativa di matrice gesuitica dalla quale scaturisce l’impegno educativo esclusivo, un progetto che si alimenta di una spiritualità di servizio. E’ per questo che si trovano vicine tematiche abitualmente lontane come l’«ascesi» e l’«azione» integrandosi a vicenda nell’opera di Rosa.
I temi elencati che ricorrono nell’intera ricerca sono stati ricavati indagando e approfondendo soprattutto la Positio super virtutibus che raccoglie la documentazione necessaria al processo di Beatificazione, alcuni scritti della fondatrice riguardo l’opera da lei iniziata in Viterbo, le sue lettere, i suoi testamenti.
Anche le diverse biografie che nel tempo sono state scritte, enciclopedie, dizionari e testi scientifici riguardanti la pedagogia e il periodo storico della Controriforma e di fine seicento sono state un contributo fondamentale.
Vagliando il valore di ciò che si è avuto tra le mani, soprattutto inserendo ogni documento nel contesto storico sono emerse le idee sotto elencate le quali sono state messe in relazione tra di loro stabilendo rapporti possibili e scoprendo anche nuove relazioni.
Aggiornamento, 170.
Apostolato, IV, VII, XXXI
sgg., XXXVIII, 46 sgg., 73, 79, 109, 116, 120, 124, 143, 160, 166, 175, 180,
195.
Ascesi, 46, 120, 143, 145,
180.
Autoeducazione, 68, 80, 109.
Autonomia, 9, 23, 34, 79,
88, 104, 130 sgg., 137.
Autorità, II, XXIX, XXXII,
7, 14 sgg., 19, 31, 35 sgg., 57, 63, 89, 127, 135,
160, 177, 189.
Azione, I, II, IV, V, VII,
XXI, XXVII sgg., XXXVI sgg., XLI, 3, 6, 23, 29, 30, 33, 43 sgg., 63, 64, 71,
75, 76, 81 sgg., 91, 94, 96, 98 sgg., 111, 115, 120, 122, 123, 137 sgg., 148
sgg., 157, 166, 170, 174, 189 sgg., 195.
Bene, 32, 66, 73, 97, 115.
Bisogno, VIII, X, XIII,
XXXVIII, 23, 81 sgg., 87, 94, 115, 149, 192, 195.
Borghesia, III, IV, V, XLII,
6, 51, 80.
Cammino spirituale, 66 sgg.,
74, 75.
Carità, XXII, XXX, XXXIV, 3,
44, 53, 61, 91, 97, 102, 116, 118, 135, 170, 171.
Catechismo, VI, VII, IX, XX,
XXXIX, XLI, 4, 10, 15, 30, 31, 38 sgg., 45, 58, 77, 81, 82, 85, 92, 100, 105
sgg., 116, 132, 158, 167, 176, 195.
Chiesa, VI sgg., XII,
XXVIII, XXXI, XXXV, XXXVIII sgg., XL, 14 sgg., 21, 29, 31, 34, 35, 36, 37, 42,
59, 80, 85, 91, 107, 135, 141, 152, 167, 176, 195 sgg.
Compagnia di Gesù, V, XXXII,
XXXIII sgg., 71, 73, 76, 78, 85, 98, 124, 129, 131 sgg., 173, 175, 179, 186.
Competenza, 84, 88, 93, 94,
105, 118, 128, 135, 167 sgg.
Comunicazione, 31, 94.
Comunità, VII, XII, XXXVII
sgg., 18, 19, 21, 25, 45 sgg., 48, 57, 76, 111, 132, 138, 143, 152, 191 sgg.
Concilio di Trento, VI, VIII
sgg., XL, 4, 14, 25 sgg., 29, 34, 36, 39,
43 sgg., 59, 74, 113, 142.
Concretezza, XXVI, XXXI.
Confusione spirituale, V,
VI, XXXVI, 46, 67, 68 sgg., 75, 120.
Conoscenza di sé, 74, 75,
79.
Conquista, 75, 77, 79, 82,
94, 112.
Consacrazione, X, XXXII
sgg., XXXVI, XXXVIII sgg., XLII, 27, 77.
Consapevolezza, XXII, XXIV,
XXVI, XXVII, XXXIX, XLI, 8, 110,
137 sgg., 152, 170.
Contemplazione, XXXVI, XL,
120, 143, 179.
Controriforma, IX, 6, 32,
35, 36, 59, 79, 97.
Cooperazione, VII, 9, 29,
36, 40, 76, 116 sgg., 120, 126, 127, 168, 180.
Coordinazione, 120, 170.
Coraggio, I, XL, 195.
Creatività, I, 125.
Cultura, I, II, IV, IX, X,
XXXIII, XLI, 4, 5, 7, 9, 11, 37, 44, 63, 80, 91, 94, 107, 110.
Didattica, 40, 41, 93, 94,
95, 128, 139.
Differenza, 97, 125, 144,
148.
Dio, II, III, X, XXXIII
sgg., XXXV sgg., XLI, 14, 21, 26, 29 sgg., 59, 62, 65 sgg., 71 sgg., 80, 84,
86, 98, 100 sgg., 110, 115, 117, 119, 125 sgg.,
130 sgg., 143 sgg., 148,
152, 167, 169, 172, 174, 176, 179, 184, 187.
Discernimento, 119, 173.
Disciplina, 35, 44, 145.
Disuguaglianza, XXI sgg.,
XL, 2, 3, 8, 10, 14, 24.
Donna, III, V, VII, XI sgg.,
XVIII, XX sgg., XXXII, XXXVI sgg.,
XXXIX sgg., 41, 2 sgg., 10
sgg., 19 sgg., 18, 23 sgg., 64, 77,
80 sgg., 91 sgg., 101, 104,
110, 115 sgg., 120, 127, 132, 134, 143, 148, 152, 156, 159, 167, 169, 172, 174,
183, 178, 190, 192, 195.
Dote, 24.
Dottrina Cristiana, VI, IX,
X, XII, 37 sgg., 40, 59, 83, 88, 92 sgg.,
100 sgg.,
113, 117 sgg., 138, 167
sgg., 172, 187, 189, 195.
Educazione, 30 sgg., 36, 40,
43 sgg., 45, 58, 59, 64, 71, 78 sgg., 86, 91,
93 sgg., 104, 109, 112 sgg.,
115, 117, 119, 121, 125, 127, 130, 148, 160, 172, 188, 189, 195.
Educazione cristiana, 36,
65, 75, 80, 83, 85, 96, 97, 143, 151.
Educazione femminile, I,
III, IX, XII, XIV, XXXIX, XL, 3 sgg.,
11, 14, 61 sgg., 80, 88,
115, 130, 137, 150, 156, 161.
Educazione materna, 2, 5,
11, 20 sgg., 58, 61, 62, 63, 64.
Educazione paterna, 58, 60,
61.
Educazione popolare, I,
XXII, 37 sgg., 80, 83, 87, 92, 128, 130.
Emarginazione, III, XXII
sgg., XXVIII.
Emulazione, XL, 41, 98.
Eredità spirituale, 178,
183.
Eredità pedagogica, 178,
185, 188.
Esercizi spirituali, XXXIV,
XXXVIII sgg., 74, 75, 167.
Esperienza, I, X, XXXVI
sgg., XLI, 6, 7, 14, 22, 34, 68, 71, 72, 74 sgg., 79, 83, 91, 93, 97, 103, 118,
120, 125, 129, 137 sgg., 149, 158, 160, 166, 168, 172, 173, 174, 193.
Eterna salute, VII, XXXIX,
21, 29, 30, 36, 59, 92, 130, 152, 175.
Evangelizzazione, III, VII,
XXXII, XXXIV.
Fama, 143.
Fame, 56, 145.
Famiglia, I, III, IV, V, IX,
X, XIII, XV, XXI sgg., XXV sgg., XXXI, XXXVI, XXXIX sgg., 2, 4, 5 sgg., 9 sgg.,
15 sgg., 23 sgg., 31, 38, 45, 51, 54, 56, 58, 60, 64 sgg., 79, 83, 84, 86, 101,
113, 115, 137, 152, 167, 179, 185, 190.
Fanciulle, V, VII, IX, X
sgg., XX sgg., XXXV, XXXVIII, XL, 2, 5 sgg.,
11 sgg., 21, 25 sgg., 38, 40
sgg., 45, 48, 65, 80 sgg., 91 sgg.,
95 sgg., 101 sgg., 110, 115
sgg., 121, 127, 130 sgg., 144 sgg., 147, 148, 150, 155, 158, 167, 168, 175,
177, 187, 191, 195.
Fede, IV, VI, VII, XXI sgg.,
XXXIII, XXXIX, 21 sgg., 29, 30, 34, 36, 38, 43, 59, 71, 81, 86, 97, 102, 105,
110, 184, 195.
Fedeltà, I, III, VI, VIII,
6, 59, 67, 84, 128, 185, 193, 196.
Formazione, III, VI, VIII,
IX sgg., XXVI, XXXIII, XXXVI sgg., 2, 6 sgg., 11, 30, 34, 36, 38, 42 sgg., 44
sgg., 46 sgg., 62, 74, 86, 97, 113, 123, 183, 196.
Gerarchia, III, 84, 85, 126,
132, 152.
Gesuiti, XII, XXXIII sgg.,
XL, 7, 38, 69, 73, 74, 77, 85, 93, 97, 98, 99, 110, 115, 123, 126, 133, 142
sgg., 144, 151, 152, 173, 176.
Gioventù, XII, 31, 34, 37,
40, 43, 58, 59, 60, 66, 82, 83, 88, 113, 132, 160.
Giustizia, 29.
Grazia, 14, 29, 30, 31, 35,
68, 74, 175.
Guida spirituale, XXXV, XL,
27, 35, 46, 69, 74, 77, 79, 98, 130, 144, 150,
161, 169, 170, 171, 175
sgg., 180, 188, 195.
Individualità, V,XXXVII, 33,
34, 43, 73, 174, 193.
Ignoranza, III, VII, XII,
XXXV sgg., XXXVIII, XXXIX sgg., XLI, 37, 40, 44, 58, 59, 68, 80, 81, 83, 87,
91, 92, 103, 125, 131, 132, 142, 175,
192 sgg., 195.
Incompetenza, 40.
Insegnamento, VI, VIII, IX,
XII, XXI, XXXIII, XXXVI, XL, 8, 11, 30, 33, 37, 39, 40, 41, 59, 60, 67, 84, 85,
87, 91, 92, 95, 96, 101, 113, 116, 120, 131, 133, 145, 167, 179, 187, 189.
Insegnamento
individualizzato, 93, 94, 100.
Insegnamento simultaneo, 99,
100.
Insuccesso, 134, 135, 147,
151, 153.
Integrazione, I, III, XXI,
XXXVIII, 73, 138, 174.
Intuizione, I, 73, 80, 81,
82, 125, 131.
Istruzione, IV, VII, IX,
XII, XXI, XXXIII, XXXVI, XXXVIII, XLII,
2 sgg., 10 sgg., 23, 25, 33,
37, 38, 41, 48, 74, 81, 82 sgg., 96, 99, 102, 103, 115, 116, 120, 145, 151,
158, 168, 177.
Lavoro, IV, VII, IX, XII, XV
sgg., XIX sgg., XXVI, XXIX sgg., XXXI,
XXXIX sgg., XLI, 2, 6, 12
sgg., 37, 39, 40, 86, 91, 93, 95 sgg., 100, 101, 103, 116, 124 sgg., 138, 144,
146, 150, 168, 177, 189 sgg., 193.
Legge, 48, 72, 172, 174,
175, 176, 179.
Leggere, IV, IX, XI, XIII,
XLI, 2 sgg., 9, 21, 38, 41 sgg., 61, 78, 80, 91,
94 sgg., 100, 103, 104, 112,
116, 124.
Libertà, XXVIII, XXXVI, 4,
25, 29, 31, 73, 76, 83, 87, 91, 103, 125, 131, 152, 167, 168, 185, 192.
Madre, V, XXI sgg., XXXIX
sgg., 3, 5, 6 sgg., 10, 11, 19 sgg., 35, 39, 61, 63, 65, 67, 82, 110, 113, 121,
127, 145, 146, 166, 195.
Maestra, V, XI, XXI, XXXVIII
sgg., XLI, 11, 23, 39, 84 sgg.,
91 sgg., 97 sgg., 104, 107,
108 sgg., 114, 116 sgg., 124 sgg., 131 sgg., 136, 144 sgg., 150, 152 sgg., 157,
159, 166 sgg., 169 sgg., 171, 174,
175 sgg., 183, 184, 187,
189, 192 sgg.
Matrimonio, XXVI, 6, 12, 14
sgg., 18 sgg., 20, 24, 66.
Meditazione, IV, 31, 74, 98,
111, 116.
Memoria, 40, 42, 75, 76, 93,
95, 96, 107, 127.
Metodo, VIII, XXXIV, XLI,
33, 40, 61, 74, 91 sgg., 94, 95, 97 sgg., 105, 115, 116, 118, 121, 127, 148,
149, 152, 153, 156, 178, 187.
Missione, VII, VIII, XXXII,
XXXVI, XXXIX, 4, 38, 123 sgg., 141, 143, 158, 167, 174, 180, 191, 193.
Moglie, V, XXXVIII, XL, 3,
6, 9, 11, 14, 16, 18, 24, 77, 166, 195.
Monaca, V, XXXII sgg.,
XXXVIII, XL, 3, 9, 23 sgg., 26, 27, 46, 48, 52, 65, 66, 77, 87, 88, 119, 121
sgg., 133, 166, 167, 195.
Natura divina, 83.
Necessità, XI.
Novità, I, III, XXVIII,
XXXIII, XXXVI, XL, 23, 46, 73, 96, 137, 148, 166,
168, 189.
Organizzazione, II, III,
XXI, 37, 40, 41, 59, 61, 62, 92, 93, 94, 96, 97, 101, 153, 161, 178.
Opera, II, VII, XIV sgg.,
XXXVI, XXXVIII, XL, XLII, 4, 6, 23, 30, 77, 82, 83, 86, 91, 111, 115, 118, 120,
121, 125, 130, 135, 139, 151, 156, 166, 175.
Opere buone, VII, VIII, 30,
31, 32, 34, 52, 59, 97, 107 sgg.
Opportunità, XXXIX, XL, 23,
42, 148.
Ozio, 9, 46, 432, 150.
Padri Domenicani, 68.
Peccato, IV, 29, 30, 31, 76,
97.
Pedagogia, I, 2, 3, 6, 9,
15, 30, 32, 34, 44, 49, 75, 178, 189.
Peste, XXXII, 54, 55, 56,
57, 58.
Pietà, IV, V, XXXV sgg., 22,
44, 63, 65, 88, 98, 123, 124, 132, 144, 146, 158, 178.
Pii Operai, 122, 123, 124,
143, 144, 145, 146.
Predicazione, VI, VII, 4,
122, 124, 142, 144, 150.
Preghiera, XII, XXII, XXX
sgg., XXXV sgg., XLI, 5, 23, 31, 36, 47, 52, 63, 67, 68, 75, 77, 84, 92, 97,
100, 101, 103, 104, 105, 110, 116, 145, 150, 173, 183, 186, 187, 195.
Professione, IV, XXXIX, 8,
11, 60, 65, 67, 101, 169.
Progetto, III, V, XXXIV,
XXXVI sgg., XXXVIII, XL, 10, 11, 65, 71, 75, 77, 78, 82, 84, 85, 86, 94, 115,
121, 125, 130, 150, 152, 155, 166, 179, 185, 195.
Programma, VI, 9, 45, 63,
66, 73, 82, 97, 98, 101, 116, 124, 132, 189.
Promozione umana, I, 80, 83,
92, 97, 104, 113, 137, 148, 152.
Popolo, III sgg., IX sgg.,
XXIII sgg., XXXIX, 2, 38, 43, 57, 59, 65, 77, 80, 92, 99, 113, 132, 145, 158,
179, 195, 196.
Povertà, III, V, IX, XXI
sgg., XXXIV sgg., XLII, 7, 11 sgg., 20, 22, 23, 25, 39, 41, 48, 52, 60, 73, 82,
86, 87, 88, 91, 113, 135, 141, 143, 150, 155, 157, 158, 192 sgg.
Realizzazione, 21, 73.
Regole, VIII, XXX, XXXI, 43,
44, 89, 116, 122, 124, 157, 170, 172, 187.
Responsabilità, V, XXVIII,
12, 19, 32, 62, 137, 151.
Ricerca, II, XXXVI, 33, 47,
66 sgg., 72, 75, 77, 79, 92, 93, 94, 96, 148, 152, 195.
Rigore, 91, 214.
Riforma cattolica, V, VII,
5, 7, 22, 45, 44, 74.
Riforma protestante, VI,
VII, XXVIII, 4, 22, 29, 31, 34, 44, 107.
Ritiro, 171.
Sacramenti, VI, XXXV, 14,
25, 29, 30, 31, 34, 35 sgg., 68, 81, 100, 102, 104, 118, 124, 126.
Santità, IV, XXXII, XXXVIII,
25, 34, 65, 67, 74, 98, 144, 166, 178, 195.
Scopo, III, IX, XXVI, XXXIX,
XLI, 3, 32, 47, 49, 59, 75, 92, 94, 98, 129, 137, 152, 160, 166, 195.
Scrivere, IV, XI, 2 sgg., 9,
20, 31, 34, 35, 37, 38, 81, 94, 95, 96, 99, 103, 116, 124, 183.
Scuola, VIII, X, XIII, XX
sgg., XXVI, XXIX, XXXVI, 2, 7, 31, 38, 39, 40, 42, 46, 53, 66, 74, 77 sgg., 96,
104, 113 sgg., 121, 123, 127, 144 sgg., 148, 156, 183, 192, 195.
Scuole della Dottrina
Cristiana, IX, XI, 4, 6, 37, 40, 41, 58.
Scuole Pie, V, VII sgg., XXXVI
sgg., XXXIX, 38, 94, 99, 122, 127,
130 sgg., 143, 150, 152.
Scuole Pontificie, XI.
Servizio, 22 sgg., 68, 72,
74, 77, 78, 94, 99, 115, 126, 179 sgg., 189.
Società, I sgg., XXI sgg.,
XXVI, XXIX, XXXI sgg., XXXIX sgg., 2, 4, 5, 9, 11 sgg., 15 sgg., 19 sgg., 23,
31, 34, 47, 55, 59, 91, 143, 166.
Soprannaturale, 29, 30, 34,
35, 172, 173.
Spiritualità, IV, VI, XXXI,
XXXIII sgg., XLI, 14 sgg., 31, 46, 65, 71, 73, 75, 76, 77, 80, 83, 98, 99, 110
sgg., 113, 119, 123 sgg., 128, 131, 143, 145, 169, 171, 172, 179 sgg., 195.
Sovranità papale, II, XXII,
XXVIII.
Spirito pratico, XXII,
XXXIV, 41, 64, 79, 97, 103, 178.
Status, III, XXXVIII, 23,
148, 169.
Studi, 8 sgg., 113, 114,
116.
Successo, 116, 125, 144,
146, 154.
Tirocinio, 168.
Tradizione, II, III, VIII,
X, XXXVIII, XXXVI, XLI, 3, 6, 31, 42, 81, 93, 94, 98, 105, 156, 192.
Utenza, XIII, XXI, 12, 16,
82, 94, 98, 105, 147.
Valori, VIII, XXXVI, XXXVIII
sgg., 21, 30, 32, 142.
Verifiche, 119, 170.
Vigilanza, 171.
Virtù, III, V, 10, 14 sgg.,
21, 33, 52, 62, 63, 86, 144.
Vita comunitaria, XXXII, 45,
166, 171 sgg.
Vocazione, X, XXXXVIII, 11,
25, 72, 75, 76, 79, 120, 130 sgg., 144, 170, 172.
Volontà, II, XII, XXXIV, 26,
47, 59, 65, 75, 79, 83, 98, 104, 109, 126, 148, 168, 170, 172, 186, 187.
Vita pubblica, 142.
AlessandroVII, XI, 39.
Andreucci G., 54, 64, 65, 66, 75, 79, 183.
Angarofoli M., 135.
Aporti F., 188.
Astell M., 8.
Atti (degli) G., 153, 154, 155, 160.
Baldinucci A., 142, 150, 156, 161, 185.
Baldossi Giovanni, 127.
Baldossi Giuseppe, 127.
Baldossi O., 89,127
Balestra D., 76, 77, 80, 92.
Barbarigo M. A., XXIX, XXXVI, 113, 116, 119, 121
sgg.,
125 sgg., 133, 144, 177, 178.
Bandinelli V., 69, 74, 75, 76.
Bellarmino R., 40, 41, 97, 99, 102, 104, 159.
Benedetto XIII, 156.
Bonaccorso B., 57.
Bonaventura mons., 160.
Borromeo C., VIII, 5.
Brugiotti A., 84, 85, 89.
Bussi A., 153.
Calasanzio G., IX, 30, 41, 94, 95.
Candelari C., 188.
Capponi G., 188.
Carafa C., 123.
Casati G., 189.
Celli S., 69.
Chantal J., 7.
Clemente VIII, 40.
Clemente XI, 141, 155, 156, 157 sgg., 160, 185.
Clemente XII, 156.
Coluzzelli G., 84, 154.
Comaschi C., 122.
Corradini M., 156.
Corsini card., 156.
Defoe D., 11.
De Rossi G. B., 143.
Erasmo da Rotterdam, 4.
Fénelon F., 9, 10.
Filippini L., XXXVII, 97, 119, 120 sgg., 124, 125,
143 sgg., 168.
Fleury C., 9.
Fourier P., 7.
Francesco I, 71.
Gai A., 127.
Gai M., 127.
Gentili card., 156.
Granada L., 75.
Innocenzo XI, 113.
Innocenzo XII, XXIX, 141.
Innocenzo XIII, 156.
Keller A., 191.
La Barre (de) P., 8.
Lambruschini R., 188.
La Salle (de) G. B., IX, 38, 195.
Laziosi O., 53, 88, 89.
Leonardi C. S., 51.
Leonardo da Porto Maurizio, VII, 143.
Lenti L., 134.
Lenti M., 134.
Leonetti A., 127, 128 sgg., 174.
Lestonnac J., 7.
Liguori (de) A. M., 143.
Locke J., 11.
Loyola (di) I., XXXIII, XXXVI, 69, 71, 72 sgg., 88,
98, 131, 169,
173, 175, 176, 179 sgg.
Lutero M., 4, 71.
Majella G., 143.
Malebranche (de) N., 8.
Maintenon F., 10.
Maltoni C., 150, 156, 183, 184, 185.
Marescotti G., XII, 52.
Marillac L., 7.
Martinelli I., 77, 78, 82, 85, 87, 89, 98, 115, 123,
126 sgg., 130 sgg., 136, 148 sgg., 154, 161, 179.
Massei card., 156.
Merici A., X.
Mieli A., 122.
Molière, 8.
Moirani, 115.
Morani B., 122.
Noyelle C., 85.
Oldi mons., 153.
Paolo III, 72.
Paolo della Croce, VII, 143.
Paoli (de’) V., 7.
Petrucci L., 51.
Pignatelli G., 142.
Pio V, 45, 47.
Ponte (da) L., 75.
Rabelais F., 4.
Ricciotti O., 133.
Rosmini A., 188.
Rousseau J. J., 10.
Ruspoli card., 156.
Sacchetti U., V, 85, 173.
Sacripanti card., 156, 160, 161.
Sales F., 7.
Scudery (de) M., 8.
Setoli M., 146, 149.
Sevigné M., 8.
Spinola A., 75.
Swift J., 11.
Tondi L., 51, 88.
Venerini D., IV, 53, 60, 67, 68.
Venerini G., IV, 51, 52, 53, 54, 58, 60, 64, 67.
Venerini M. M., 53, 67, 68, 88.
Venerini O., IV, 51, 53, 58, 60, 65, 67, 68, 115,
129, 130.
Ward M., XXXI, 7, 46.
Zampichetti C., 51, 52, 66, 67.
Zampichetti F., 51, 85, 88, 129.
Zampichetti M., IV, 51, 52, 53, 54, 64, 65, 67.
Indice delle Tavole
TAV.1 Anonimo, Ritratto
di Rosa Venerini. Olio su tela del 1699
TAV.2 Martin de Vos(?), Allegoria del potere delle donne fine XVI sec.
TAV.3 Incisione
sull’educazione, XVII sec.
TAV.4 Giuseppe
Calasanzio
TAV.5 Giovanni
Battista de La Salle
TAV.6 Antica
pianta della città di Viterbo
TAV.7 Transazione
finanziaria autografa di Rosa Venerini,
25 settembre 1686
TAV.8 Prima
pagina autografa di Rosa Venerini degli Esercizi
del Venerdì
TAV.9 Cartina
delle scuole fondate da Rosa Venerini
TAV.10 Memoriale
dei padri di famiglia di Caprarola
TAV.11 Scuola
pia Venerini a Roma,1716
TAV.12 La
scuola pia Venerina Romai presso l’arco Ginnasi,1731-1736
TAV.13 Anonimo, Visita
di Clemente XI alla scuola di Rosa Venerini,
24 ottobre 1716. Olio su tela dell’epoca
TAV.14 Seconda
edizione della Relazione, di Rosa Venerini,1718
TAV.15 Copertina
delle Costituzioni, di Ignazio di Loyola, copia su pergamena del 1594
TAV.16 Passi
della lettera di Rosa Venerini alla Maestra Cecilia Maltoni,
3 novembre 1723
TAV.17 Passi
del primo testamento autografo di Rosa Venerini,
7 settembre 1697
TAV.18 Veduta
di Viterbo in un’antica stampa
TAV.19 Prima
biografia di Rosa Venerini, scritta dal gesuita
A.G. Andreucci, fu pubblicata nel 1732
Indice dei siti internet
I seguenti siti internet
sono stati utili per avere un quadro riassuntivo e schematico di ogni argomento
trovato, visto che di specifico nella rete telematica non è stato incontrato
molto.
http://www.gesuiti.it (Compagnia di Gesù)
http://utenti.trpod.it/sant_ignazio
(Ignazio di Loyola)
http://www.istitutosociale.it/ignazio.htm
(Ignazio di Loyola)
http://www.lunigiana.it/padretad/diz/ignazio.htm
(Ignazio di Loyola)
http://digilander.iol.it/mmarcella/laici/laici.htm
(Apostolato)
http://www.santiebeati.it (Santi e Beati)
http://it.geocities.com./storia_moderna/ita600.htm
(Storia del ‘600)
http://digilander.iol.it/cacciaallestreghe/lutero-contro4.htm
(Riforma Protestante)
http://www.liceomarconi.it/progetti/PEE1999_2000/riforma/riforma9i.html
(riforma Cattolica,Controriforma)
http://istitutosociale.it (gesuiti)
http://www.arecco.ge.it/a-scuola/ppi/page16.htm
(pedagogia gesuitica)
http://digilander.iol.it/letteratura/lette_ita/seicento(Letteratura
del Seicento)
http://liturgia.silvestrini.org/santi/Roberto_bellar.htm
(Roberto Bellarmino)
http://digilander.iol.it/Einsam/raccontidiroberto.htm
(Roberto Bellarmino)
http://digilander.iol.it/adbita/settecento.htm
(Storia moderna, Settecento)
Indice generale
INTRODUZIONE………………………………………………………p. I
I
IDENTITA’ FEMMINILE……………………………………………… 1
1.1
L’educazione femminile………………...….………………………… 2
1.2
Il lavoro…………………………………………………………..…. 12
1.3
Possibilità di matrimonio…………………………………………….
14
1.4
Il ruolo materno…………………………………………………...… 19
1.5
La fede delle donne………...……………………………………….. 21
1.6
Il convento: vita di
clausura……………………………………….. 23
II
QUALE PEDAGOGIA……………………………………………… 28
2.1
Rinnovamento interiore dell’uomo e responsabilità
dell’educazione………………………………………………………….
29
2.2
Significato dell’educazione……………………………………...…. 32
2.3
Compito dell’educazione…………………………………………… 35
2.4
L’istruzione popolare dopo il Concilio di Trento…………………… 37
2.5
La formazione dei sacerdoti……………………………………...… 42
2.5
Catechismo e istruzione elementare:le nuove congregazioni
religiose…………………………………………………………………
45
III
EDUCAZIONE FAMILIARE……………………………………… 50
3.1
La famiglia Venerini……………………………………………….. 51
3.2
L’anno 1656………………………………………………………... 54
3.3
Educazione paterna…………………………………………………. 58
3.4
Educazione materna: in casa………………………………………… 61
3.5
Tra famiglia e convento………………………………………..…… 64
3.6
Aridità e confusione spirituale………………………………………. 67
IV
FORMAZIONE SPIRITUALE:UNA PREGHIERA CONSAPEVOLE CONDUCE
ALL’AZIONE…………………………………………….. 70
4.1
Ad maiorem Dei gloriam…………………………………………... 71
4.2
Alla scuola dei gesuiti……………………………………………… 74
4.3
Strumenti di chiarezza…………………………………………...… 76
4.4
All’inizio, il catechismo domestico…………….…………………… 79
4.5
Viterbo 30 agosto 1685: né matrimonio né convento…………...…. 82
4.6
«Far scuola gratis alle fanciulle povere»…………………………… 86
V
IL METODO………………………………………………………… 90
5.1 Un «metodo» da conquistare……………………………………….. 91
5.2
La lettura e la scrittura……………..………..……………………….. 94
5.3
Il programma scolastico…………………………………………… 96
5.4
Orario giornaliero della scuola…………………………………….. 99
5.5
I contenuti dell’insegnamento..…………………………………… 102
5.6
Gli «Esercizi del Venerdì»………………………………………… 105
5.7
La scuola di preghiera per le adulte……………………………….. 109
VI
ATTRAVERSO LE DIOCESI DEL LAZIO……………………… 113
6.1
Le scuole di Rosa a Montefiascone………………………….…… 114
6.2
Lucia Filippini………………………….…………………………. 119
6.3
Le due spiritualità………………………….……………………… 123
6.4
La «casa santa»: scisma superato…………………………………. 125
6.5
Testamento del 1697………………………………………………. 129
6.6
Ronciglione……………………………………...………………… 133
6.7
Caprarola…………………………………………………………… 136
VII
L’ESPERIENZA ROMANA……………………………………… 140
7.1 Roma difficile………………………………………………………. 141
7.2 La scuola di Lucia a Roma……………………………………….. 143
7.3 L’insuccesso di Rosa……………………………………………... 146
7.4 «Come in un deserto»…………………………………………….. 150
7.5 La scuola di Roma………………………………………………….. 153
7.6 Le scuole per la «santificazione di Roma»……………………….. 156
7.7 Influsso numerico……………………...…………………………. 162
VIII
CODICE VITALE……………………………………………….. 165
8.1
La comunità delle maestre………………………………………… 166
8.2
La Relazione: legge di
vita………………………………………… 172
8.3
Contenuto vitale…………………………………………………..... 175
8.4
La regola scritta…………………………………………………… 177
8.5
Rosa: una mistica di servizio……….………………………………. 179
IX
«FATICATE ALLEGRAMENTE»………………………………. 182
9.1 Le Lettere………………………………………………………… 183
9.2 Il Testamento del 1728…………………………………………… 185
9.3 Nuovi campi d’azione………………………………………...….. 188
9.4 Dall’antico Stato Pontificio ai vari paesi del mondo……………... 191
Nota
conclusiva……..……………………………………………….. 195
Appendice……………………………………………………………..
197
Nota bibliografica……………………………………………………. 203
Indice delle tematiche
ricorrenti………………..………….………..
210
Indice dei nomi………………………….…………………………… 219
Indice delle Tavole…………………………………………………… 223
Indice dei siti internet………………………………………………… 224
Indice generale………………………………………………………… 225
[1] R. VILLARI (a cura di), L’uomo barocco, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. IX.
[2] Ivi, p. XI.
[3] Ivi, pp. 368-369.
[4] Ivi, p. 370.
[5] SACRA RITUUM CONGREGATIO SECTIO HISTORICA N. 48, Romana seu Viterbien. Beatificationis et Canonizationis Servae Dei Rosae Venerini, Fundatricis Magistrarum Piarum quae ab eius cognomine noncupantur (1728). Positio super virtutibus ex officio compilata, Tytis Polyglottis Vaticanis, 1952, p. XIX.
[6] R. VENERINI, Lettera alla Maestra Pia Cecilia Orioli, Viterbo, 1/1/1721, in Positio, doc. XXIII,
p. 416.
[7] R. VILLARI, op. cit., p. 140.
[8] Ivi, p. 171.
[9] A .G. ANDREUCCI, Ragguaglio della vita della Serva di Dio Rosa Venerini viterbese, Istitutrice delle Scuole delle Maestre Pie. E’ la biografia che costituisce il documento base nel processo di beatificazione. Fu scritta nel 1732, quattro anni dopo la morte della Venerini, è riportata interamente nella Positio, doc.XXVIII, p. 547.
[10] L. PAZZAGLIA (a cura di), Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione ed Unificazione, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 48-55.
[11] G. ROCCA, Maestre Pie Venerini, in G. PELLICCIA, G. ROCCA, Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. 5, ed. Paoline, Roma, 1978, p.835.
[12] Ibidem.
[13] A. MARGONI, Angela Merici. L’intuizione della spiritualità secolare, Catanzaro, Rubbettino, 2000, pp. 48-51.
[14] G. ROCCA, op. cit., p. 836.
[15] G. BARBIERI, Viterbo e il suo territorio, Roma, Quasar, 1991, pp. 6-12.
[16] G. PATRIGNANI, Vita Patris Ignatii Martinelli S.I. (1645-1716) una cum relatione de Scholis Piis a Serva Dei Rosa Venerini fundatis, in Positio, doc. VI, p. 99.
[17] F. FEDELI, P. BERNARDINI, E. SIMEONI (a cura di), Ricerca e territorio: lavoro, storia e religiosità nella valle dell’Aniene, Roma, Leonardo de Luca, 1991, p. 58.
[18] Ivi, pp. 61-65.
[19] Ibidem.
[20] F. FEDELI, P. BERNARDINI, E. SIMEONI, op. cit., p. 122.
[21] Ivi, p. 66.
[22] Ivi, p. 115.
[23] Ivi, p. 118.
[24] Ivi, pp. 105-113.
[25] F. FEDELI, P. BERNARDINI, E. SIMONI, op. cit., pp. 177-179.
[26] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 500.
[27] Ivi, p. 472.
[28] Ivi, p. 467.
[29] L. PASCOLI, Osservazioni sopra lo stato in cui si trova presentemente il commercio interno, ed esterno del dominio ecclesiastico con alcuni progetti per il loro risorgimento e per regolarvi il corso delle monete, in L. DAL PANE, Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del settecento, Milano, Giuffré, 1959, p. 213.
[30] Ivi, p. 222.
[31] L. DAL PANE, Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del settecento, Milano, Giuffré, 1959, pp. 214-216.
[32] L. PASCOLI, op. cit., in L. DAL PANE, op. cit., p. 217.
[33] L. PASCOLI, Codicillo del Testamento politico stampato nel 1733 in Colonia sotto il nome d’un Accademico Fiorentino in cui si aggiungono molti altri diversi progetti, e necessari avvertimenti per utile, e vantaggio dello Stato della Chiesa, in L. DAL PANE, op. cit., p. 214.
[34] R. AGO, Braccianti, contadini e grandi proprietari in un villaggio laziale nel primo settecento, in Quaderni storici, 46, Bologna, Ancona-Roma, Il Mulino, aprile 1981, pp. 60-62.
[35] F. G. ROSSI, Monelli e monelle nell’agro romano un proletariato agricolo del settecento nelle visite pastorali del card. Razzonico, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 3, Roma, ed. di storia e letteratura, 1979, p. 323.
[36] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 500.
[37] M. CAFFIERO, L’erba dei poveri. Comunità rurali e soppressione degli usi collettivi nel Lazio (secoli XVII-XIX), Roma, 1983, p. 21.
[38] R. VOLPI, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato Pontificio, Bologna, Il Mulino, 1983, pp. 183-186.
[39] P. PRODI, Il sovrano pontefice, in La Chiesa e il potere politico, Storia d’Italia, Annali 9, Torino, Einaudi, 1986, pp. 198-210.
[40] A. S. R., Bandi, b. 39. o A. S. V., Fondo Carpegna, 49, 15, f. 282, in M. FATICA, La reclusione dei poveri a Roma durante il pontificato di Innocenzo XII (1692-1700), in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 3, ed. di storia e letteratura, 1979, pp. 147-148.
[41] M. FATICA, op. cit., pp. 150-151.
[42] G. DUBY, M. PERROT, Storia delle donne in Occidente. Dal Rinascimento all’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 178-179.
[43] G. MARTINA, Alle radici spirituali e culturali di Rosa Venerini. La Beata Rosa Venerini e il suo tempo, in Spiritualita e Cultura, anno III, n. 2, 4 giugno 2001, p. 3.
[44] R. G. VILLOSLADA, Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, santo, in Bibliotheca sanctorum, vol. VII, Città Nuova editrice, Roma, 1966, p. 690.
[45] I. di LOYOLA, Lettera del 1 maggio 1551, in Bibliotheca sanctorum, vol. VII, p. 692.
[46] L. CHIARINELLI, «Rosa»: un seme ancora fecondo, in Osservatore Romano, 10 agosto 2001, p. 6.
[47] L. PAZZAGLIA, op. cit., p. 94.
[48] Ivi, pp. 98-99.
[49] P. H. KOLVENBACH, L’Università gregoriana e la visione di Sant’Ignazio. Il 450o anniversario dell’Università, in La Civiltà Cattolica anno 152, quaderno 3621, 5 maggio 2001, p. 216.
[50] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 466.
[51] G. MARTINA, op. cit., p. 3.
[52] A. M. TASSI, Donna decisa e volitiva, aprì la prima scuola pubblica femminile in Italia, in Osservatore Romano, 10 agosto 2001, p. 6.
[53]
Ibidem.
[54] G. BARBIERI, op. cit., p. 7.
[55] M. T. CRESCINI, Significato e specificità dell’insegnamento cristiano, in Osservatore Romano, 10 agosto 2001, p. 6.
[56] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 497.
[57]
Ibidem.
[58] R. VENERINI, Relazione degli Esercizi che si pratticano in Viterbo nelle scuole destinate per istruire le Fanciulle nella Dottrina Cristiana, in Positio, doc. XXI, p. 341.
[59] S. S. MACCHIETTI, Venerini, Rosa – Beata, educatrice, in M. LAENG (a cura di), Enciclopedia Pedagogica, vol. VI, La Scuola, Brescia, 1994, p. 12.247.
[60] M. LORENZETTI, Il desiderio ardente di porsi alla sequela di Gesù Salvatore, in Osservatore Romano, 10 Agosto 2001, p. 6.
[61] G. MARTINA, op. cit., p. 3.
[62] R. VENERINI, Alterum et ultimum Testamentum Servae Dei Rosae Venerini conditum die 27 ianuarii an 1728, in Positio, doc. XXV, p. 436.
[63] S. S. MACCHIETTI, op. cit., pp. 110-112.
[64] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 488.
[65] G. GIAMPIETRO, F. TROSSARELLI, La pedagogia nella tradizione culturale dei gesuiti, in Nuove questioni di storia della pedagogia, vol. I, Brescia, La Scuola, 1977, p. 749.
[66] S. S. MACCHIETTI, op. cit., pp. 74-77.
[67] SAN JOSE’ DE CALASANZ, Breve relazione sul modo usato nelle scuole pie per insegnare agli alunni poveri che d’ordinano sono più di settecento non solo le lettere ma soprattutto il santo timor di Dio, in L. VOLPICELLI, op. cit., p. 561.
[68] R. SANI, op. cit., p. 608.
[69] I. di LOYOLA, Costituzioni della Compagnia di Gesù, a cura di Giuseppe Silvano, S. J, parte quarta,
c. XVI n. 483, Milano, Ancora, 1969, p. 204.
[70] R. SANI, op. cit., p. 607.
[71] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 500.
[72] M. E. PIETROMARCHI, op. cit., p. 94.
[73] A. G. ANDREUCCI, op. cit., p. 500.
[74] Ivi, p. 501.
[75] I. IPARRAGUIRRE, Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, santo, in Bibliotheca sanctorum
vol. XI, pp. 248-259.
[76] R. VENERINI, Relazione degli Esercizi che si pratticano in Viterbo, 1718, in Positio, doc. XXI,
p. 351.
[77] Ibidem.
[78] S. S. MACCHIETTI, op. cit., pp. 79-80.
[79] M. E. PIETROMARCHI, op. cit., p. 93.
[80] R. VENERINI, op. cit., in Positio, doc. XXI, p. 352.
[81] M. BARBAGLI, Sistemi di formazione della famiglia in Italia, in SIDS, Popolazione, società e ambiente: Temi di demografia storica italiana (secc. XVII- XIX), Bologna, Clueb, 1990, p. 9.
[82] R. ANGELI, op. cit., p. 43.